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Il mio 8 marzo è al lavoro, perché sono femminista

Immagine di copertina

Oggi avrei voluto fosse un giorno normale, per donne normali che serenamente ricordano le loro conquiste. Il commento di Lara Tomasetta sullo sciopero dell'8 marzo

Per inviare una foto della mimosa su Facebook o Whatsapp si impiegano dai tre ai cinque secondi. Per scrivere “buona festa delle donne” quattro secondi, per pronunciare la parola “auguri” due secondi.

Di quei secondi non ho bisogno. Non ho bisogno di frasi preconfezionate, e ugualmente non ho bisogno dello sciopero globale delle donne. Non oggi.

Oggi ho preso la mia auto, ho attraversato una capitale intasata dal traffico per 85 minuti, ho parcheggiato in zona rimozione – comportandomi da incivile più che da donna – e ho corso per arrivare al mio luogo di lavoro.

Non rinnego i motivi dello sciopero, anzi, sottoscrivo ognuno dei punti sollevati dalla protesta. Tutti e gli otto punti elencati da Non una di Meno hanno valore e ragione di esistere. Credo fermamente che si debbano combattere le disparità di genere, sono convinta che il cammino sia lungo e tortuoso e credo ancora – incredibilmente – nella potenza della piazza, della mobilitazione popolare.

Mi si illuminano gli occhi quando ripenso alle ultime rivoluzionarie proteste in Romania e sono certa che la protesta pacifica e il confronto siano fondamentali.

Ma oggi no.

Oggi ho creduto che il modo più sensato per dare valore al mio nascere donna, alle conquiste che abbiamo dovuto sudare come sesso, alle sofferenze che patiamo per il corpo che ci è dato e alle discriminazioni che viviamo per avere una vulva e non un pene sia quello di recarmi al lavoro e comportarmi esattamente come un uomo.

Non emulando un uomo – non “voglio i pantaloni” come scriveva Lara Cardella in un suo libro – ma godendo degli stessi privilegi e degli stessi obblighi del mio omologo maschile nella razza umana.

Ho un lavoro che amo. Il lavoro che mi permette di raccontare agli altri quello che altrimenti non avrebbe voce. Sono una giornalista, ma avrei potuto guidare treni, cucire pantaloni o scoprire nuovi vaccini. La questione sarebbe la stessa.

Voglio superare gli stereotipi di genere ignorandoli. Voglio combattere la violenza sulle donne rendendo più semplice la vita, alle donne.

Voglio disporre del mio utero, rivendicare l’autonomia decisionale delle donne, voglio poter assumere la pillola abortiva, confrontarmi con i miei colleghi e i miei superiori di sesso maschile senza paure. Voglio votare, candidarmi in politica e presentarmi a un colloquio di lavoro senza il supporto di quote rosa, senza l’alibi di una presunta debolezza al femminile che necessità di una particolare sensibilità.

Voglio godere di una partita di calcio, di una serata tra maschi senza bassi giochi di parole e di viaggi alla scoperta del mondo senza i limiti della sicurezza per la mia incolumità.

So che posso ottenere molto nella mia vita individuale rispettando in primis me stessa, i miei bisogni di donna e miei sogni di essere umano. So altrettanto bene che non otterrò tutti i diritti che mi spettano restando isolata nella mia pratica individuale e che l’unione della piazza è necessaria per smuovere le coscienze sociali e politiche.

Ma non era oggi il giorno in cui questi movimenti andavano ingaggiati. Oggi resterà una protesta legata a un colore, a una festa che quasi nessun uomo al mondo considera storicamente valida.

Oggi avrei voluto fosse solo un giorno normale, un giorno da vivere senza la pena del traffico per lo sciopero dei trasporti – attivato contestualmente a quello delle donne – senza l’incubo delle donne che stanotte dovranno tornare a casa e saranno in difficoltà perché i bus notturni a Roma non sono garantiti.

Oggi avrei voluto non vedere mimose costose e millantatrici, e nemmeno cortei fumanti di donne ai bordi delle strade.

Oggi avrei voluto fosse un giorno normale, per donne normali che serenamente ricordano le loro conquiste dell’ 8 marzo e orgogliose portano avanti la loro vita.

“La mia definizione di femminista è: femminista è un uomo o una donna che dice ‘sì, c’è un problema di genere oggi come oggi, e dobbiamo risolverlo, dobbiamo fare meglio’”, disse la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie durante una TED Talk del 2013.

La lotta – quella quotidiana – avrebbe potuto avere luogo domani e “fare meglio”.

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