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Da dove nasce l’espressione “ministro della malavita” che Saviano usa contro Salvini

Immagine di copertina
Lo scrittore campano Roberto Saviano e il ministro dell'Interno Matteo Salvini.

Lo storico Gaetano Salvemini nel 1909 scrisse "Il ministro della malavita". Nel libro denunciava la violenza politica dei governi Giolitti

Quando il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha palesato la possibilità di togliere la scorta a Roberto Saviano, lo scrittore campano ha risposto apostrofando il vicepremier come “ministro della malavita”.

“Le parole pesano – diceva Saviano in un video pubblicato il 21 giugno scorso sulla sua pagina Facebook – e le parole del Ministro della Malavita, eletto a Rosarno (in Calabria) con i voti di chi muore per ‘ndrangheta, sono parole da mafioso”.

Salvini aveva risposto promettendo una querela, che, puntale, è arrivata in carta intestata del Viminale.

L’espressione incriminata, però, non è stata coniata dallo scrittore campano. A pronunciarla – anzi a scriverla – è stato Gaetano Salvemini, più di un secolo fa.

Lo storico antifascista intitolava così un saggio scritto nel 1910 tutto incentrato sui rapporti tra la società italiana di inizio XX secolo e la politica di Giovanni Giolitti.

Era lui il ministro della malavita per lo storico che passò la vita a studiare l’Italia spaccata, il divario tra il sud e il nord: Il ministro della malavita: notizie e documenti sulle elezioni giolittiane nell’Italia meridionale.

Salvemini nel corso della sua opera non fa altro che ricostruire le modalità con cui diversi candidati giolittiani conducono le elezioni politiche del 1909.

Prima a Gioia Del Colle, in provincia di Bari, dove il candidato in questione è Vito De Bellis, che, con la complicità degli apparati statali e delle forze dell’ordine, ordisce brogli e mette in atto violenze per guadagnarsi i voti.

Dalla Puglia alla Sicilia, la situazione non cambia. Secondo e terzo capitolo del libro denunciano raggiri e intimidazioni con cui i filo giolittiani siciliani avevano manipolato le elezioni.

Salvemini aveva ripreso le denunce di un ex combattente dei fasci siciliani dei lavoratori, Giuseppe De Felice Giuffrida, che puntava il dito contro alcuni gravi episodi clientelari, atti intimidatori e violenze perpetrate ai danni di esponenti di partiti avversari.

Nel quarto e quinto capitolo Salvemini resta in Sicilia e continua a riprendere le denunce di De Felice. Ancora i giolittiani al centro dell’attenzione dello storico.

In particolare si parla dei brogli nelle elezioni del 1904 a Castelvetrano, nel Trapanese.

Nelle conclusioni dell’opera, lo storico auspica l’introduzione del suffragio universale, a cui si arriverà solo nel 1912.

Nelle votazioni che si tengono l’anno successivo, Salvemini viene candidato in due collegi pugliesi.

Viene sconfitto in entrambi, ma anche stavolta – come in tutte le altre tornate elettorali denunciate dallo storico – le votazioni sono fumose. Diversi gli episodi gravi che vedono il coinvolgimento anche delle forze dell’ordine.

L’episodio più grave è stato sicuramente l’attentato alla vita di Salvemini, a Terlizzi. Lo storico si salva solo perché il revolver impugnato dal suo attentatore si inceppa.

I fatti concernenti le elezioni del 1913 finiscono nella seconda edizione del Ministro della malavita. In questa edizione Salvemini pone l’accento sulla violenza politica giustificata e promossa dagli ultimi governi Giolitti.

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