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“Giusto avere sciolto bimbo nell’acido”, le intercettazioni shock dei presunti fiancheggiatori di Messina Denaro

Immagine di copertina
Giuseppe Di Matteo.

Con l'operazione "Anno Zero" sono finiti in cella 21 presunti affiliati delle famiglie mafiose del trapanese. Le intercettazioni:

Messina Denaro, arresti a Trapani oggi | Le intercettazioni | Gli arresti dell’operazione “Anno Zero” | Chi è Matteo Messina Denaro | Faida tra le famiglie di Campobello di Mazara e Castelvetrano

“Non ha fatto bene? Ha fatto bene!”. Con queste parole il 19 novembre 2017 uno dei presunti fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro sosteneva che il capomafia corleonese Totò Riina avesse fatto bene a ordinare di uccidere Giuseppe Di Matteo e di sciogliere il suo corpo nell’acido.

Il tredicenne figlio del pentito Santino Di Matteo era stato sequestrato e tenuto prigioniero per oltre due anni, per indurre il padre a ritrattare le dichiarazioni con cui inchiodava i mafiosi.

Le intercettazioni

La voce nell’intercettazione appartiene a uno dei fermati nell’operazione “Anno zero”, scattata all’alba del 19 aprile in provincia di Trapani con 21 persone fermate. Si tratta di presunti affiliati alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna.

L’azione di polizia, carabinieri e Direzione investigativa antimafia (Dia) ha smantellato la rete di comunicazione di Matteo Messina Denaro, composta da chi smistava i suoi “pizzini”.

Le accuse nei confronti degli indagati sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni. Tutti reati aggravati dalle modalità mafiose.

“Se la stirpe è quella… suo padre perché ha cantato?”, sostiene il presunto fiancheggiatore commentando la decisione di Riina. Secondo lui, Santino Di Matteo “ha rovinato mezza Palermo”.

Certo, risponde l’interlocutore, “il bambino è giusto che non si tocca, però settecento giorni sono due anni … tu perché non ritrattavi tutte cose? Se tenevi a tuo figlio, allora sei tu che non ci tenevi”.

“Una persona la puoi ammazzare una volta, ma la puoi far soffrire un mare di volte”, risponde l’altro.

Dalle intercettazioni degli inquirenti emerge anche che Matteo Messina Denaro sarebbe venerato un santo, come Padre Pio. “Vedi, una statua gli devono fare”, si sente in una intercettazione a uno dei fermati nell’ambito dell’operazione. “Una statua, Padre Pio ci devono mettere allo zio Ciccio e a quello accanto. Quelli sono i santi”.

Il riferimento è al capomafia castelvetranese Francesco Messina Denaro, padre di Matteo, Morto da latitante nel 1998 e fatto rinvenire cadavere in una campagna di Castelvetrano.

“Io ho le mie vedute, è potuto essere stragista”, prosegue l’intercettato. “Ma voialtri”, dice riferendosi ai politici, “state facendo diventare l’Italia un Paese, uno Stivale pieno di merda e le persone sono scontente”.

Gli arresti dell’operazione “Anno Zero”

Le indagini hanno confermato sia il ruolo di vertice di Messina Denaro sulla provincia di Trapani sia quello del cognato, reggente del mandamento di Castelvetrano in seguito all’arresto di altri familiari.

Tra le 21 persone fermate nell’operazione del 19 aprile ci sono due cognati di Matteo Messina Denaro:Gaspare Como e Saro Allegramariti di Bice e Giovanna Messina Denaro.

Tra gli arrestati c’è anche un giovane imprenditore di Castelvetrano, Carlo Cattaneo, che si occupa di scommesse on line, ed è titolare di alcune agenzie.

Secondo le indagini nella cassaforte della cosca mafiosa di Castelvetrano sarebbero finiti parte dei i soldi guadagnati nel business delle scommesse che sarebbe stato nelle mani dei cognati del boss latitante Messina Denaro.

Pedinamenti, appostamenti e intercettazioni hanno ribadito come Cosa nostra eserciti un controllo capillare del territorio e ricorra sistematicamente alle intimidazioni per infiltrare il tessuto economico e sociale.

Chi è Matteo Messina Denaro

Matteo Messina Denaro, capomafia di Castelvetrano, comune della Valle del Belice, è latitante dal 1993.

Nonostante numerose operazioni delle forze dell’ordine abbiano sgominato i suoi fiancheggiatori e prestanome negli ultimi anni, portando in carcere anche la sorella Patrizia Messina Denaro, il boss resta in fuga.

“Dice che era in Calabria ed è tornato”, diceva uno degli arrestati nell’operazione del 19 aprile, “passa qua e i cristiani ci vanno”. Altre intercettazioni confermano che il padrino di Castelvetrano viaggerebbe molto.

Matteo Messina Denaro è l’unico italiano comparso nella lista stilata dalla rivista Forbes nel 2011 dei dieci fuggitivi più ricercati al mondo.

Secondo alcuni inquirenti è il capo assoluto di Cosa Nostra dopo l’arresto di Bernardo Provenzano del 2006 e la morte di Totò Riina.

Messina Denaro ha preso parte attiva alle azioni di Cosa Nostra durante la stagione delle bombe del 1992-1993 ed è ricercato per associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto e altro.

 

Faida tra le famiglie di Campobello di Mazara e Castelvetrano

Secondo gli inquirenti, stava per scoppiare una nuova guerra di mafia nel trapanese dopo l’uccisione a luglio 2017 di Giuseppe Marcianò, genero del boss di Mazara del Vallo, Pino Burzotta ed esponente della “famiglia” di Campobello di Mazara.

Vi sarebbe infatti una faida in corso tra le famiglie di Campobello di Mazara e di Castelvetrano. Proprio questo ha spinto gli inquirenti ad agire con provvedimenti di fermo.

“A partire dal 2015”, si legge nel provvedimento della Direzione distrettuale antimafia, “si registra un lento progetto di espansione territoriale da parte della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, che ha riguardato anche il territorio di Castelvetrano, divenuto ‘vulnerabile’ a causa, per un verso, della mancanza su quel territorio di soggetti mafiosi di rango in libertà, e, per altro, dalla scelta di Messina Denaro che, nonostante gli arresti dei suoi uomini di fiducia e dei suoi più stretti familiari, non ha autorizzato omicidi e azioni violente, come invece auspicato da buona parte del popolo mafioso di quei territori”. Proprio Marcianò si era molto lamentato del comportamento del latitante”.

“Da tale pericolosissimo contesto (certamente idoneo, come la tragica storia di Cosa nostra insegna, a scatenare reazioni cruente contrapposte, e quindi dare il via ad una lunga scia di sangue) in uno col pericolo di fuga manifestato da alcuni indagati, si è imposta la necessità dell’adozione del fermo”.

 

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