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La fabbrica degli alberi

Immagine di copertina

Treedom è una startup creata da due italiani che esporta piante in tutto il mondo come riparazione delle industrie per l'anidride carbonica prodotta

FarmVille è un giochetto su Facebook in cui si fanno lavori agricoli, compreso piantare alberi, fare raccolti eccetera.

S&D

Esiste dal 2009 e, come fa sapere Wikipedia, ha raggiunto i 13.400.000 di utilizzatori giornalieri, un totale di 82,7 milioni di utenti attivi al mese e 29 milioni di fan, diventando la più diffusa applicazione Facebook.

FarmVille è nato dalle costole di Farm Town, già popolare sul social network. Altre varianti sono Happy Farm, oppure videogame come Harvest Moon.

Ma è su FarmVille che molti adepti di Facebook si divertono a fare i contadini virtuali.

Tra questi milioni di giocatori a noi ne interessano però al momento solo due, un paio di giovanotti all’epoca – siamo nel 2009 – ancora lontani dai trent’anni, un ventottenne (Federico) e un ventitreenne (Tommaso).

Il primo fiorentino, il secondo romano. Siamo a Firenze di fronte allo schermo di un computer, i due stanno giocando e piantano un po’ di alberi. Quali fossero quel giorno gli alberi Federico Garcea non ricorda. E probabilmente li ha dimenticati anche Tommaso Speroni.

Alberi virtuali. Boh. Divertente, ma piuttosto impalpabile, no? Nella vita ci sono domande che ti capitano in testa, così, all’improvviso. Magari prendendoti anche alla sprovvista.

Quel giorno i due giocatori sono stati colti da un fulminante quesito: “E se gli alberi li piantassimo per davvero?”Il futuro Treedom aveva appena fatto capolino, ma i due ragazzi ancora non lo sapevano.

In fin dei conti Tommaso Speroni in Camerun di alberi veri se ne stava già occupando come lavoro, arrabattandosi in un’impresa di amici sulle decantate virtù di una pianta promettente come la jatropha.

Parentesi sulla jatropha. Dalla pianta tropicale, che non è commestibile, si può ricavare un combustibile biodiesel.

La jatropha produce con i suoi semi un olio che, come resa, oscilla tra il 28 e il 38 per cento: un ettaro di piantagione può produrre fino a una tonnellata e mezzo di olio.

I residui dei semi spremuti sono un ottimo fertilizzante, le radici della pianta proteggono il terreno, con l’olio si fabbricano anche saponi.I semi sono fondamentalmente usati per produrre l’olio che può essere utilizzato direttamente come normale combustibile o, previa filtrazione, come carburante in appositi motori specificatamente modificati.

Con procedimenti particolari si arriva al biodiesel.

La jatropha permette di produrre un combustibile di buona qualità, a bassa viscosità, secondo all’olio di palma, la coltivazione richiede tuttavia notevoli quantità di acqua.

L’India ha incluso la jatropha nel programma per l’indipendenza energetica.

Il Madagascar ha stipulato accordi con società italiane per coltivare 100 mila ettari di terreno a jatropha. Fine della parentesi.

Da tre anni la società in cui si erano conosciuti Federico e Tommaso stava effettuando ricerche per valutare se la pianta fosse davvero alternativa ai biocombustibili.

La risposta, che è venuta da alcuni esperimenti eseguiti in Ghana, Camerun e Senegal è stata interlocutoria. Insomma la jatropha, pur generosa, non è ancora la pianta dei miracoli.

Però questa esperienza ha fatto conoscere ai due giovani una rete di cooperative africane che in alcuni Paesi come il Camerun hanno una grande necessità di nuove piantumazioni in seguito alla massiccia deforestazione dovuta a spietate multinazionali.

Ancora un cenno sui due “giocatori”. Federico, dopo la laurea in Scienze politiche ed economiche, ha speso un po’ di anni della sua vita, oltre che sulla jatropha, anche nelle banche: per quattro anni è stato in Spagna, ultima tappa Barcellona, dipendente di Citybank.Ma che noia fare il bancario!

Tommaso si è invece laureato in Relazioni internazionali a Roma Tre. Quel giorno a FarmVille i due si sono scambiati anche altre riflessioni, del tipo: “Produciamo troppa anidride carbonica, forse qualche azienda sarà pure interessata a rimediare in qualche modo magari con alberi che producono ossigeno, noi possiamo mettere le aziende in contatto con le cooperative locali e favorire così, oltre a un gesto solidale, la ripiantumazione…”

Il 4 maggio 2010 nasce Treedom srl. In cinque anni il ragionamento di Federico e Tommaso ha conquistato alla causa parecchie aziende e parecchi testimonial con il risultato di 200 mila nuovi alberi che sono stati piantati in giro per l’Africa ma anche in altre parti del mondo, compresa la Sicilia.

Otto sono i progetti attuati in altrettante nazioni: Senegal, Camerun, Burkina Faso, Malawi e Kenya in Africa, Argentina e Haiti nelle Americhe, e Sicilia in Italia.Tra le aziende coinvolte ci sono Enel, Naturasì, Axa assicurazioni, Unilever, Volkswagen, Sofidel Carta regina.

Il primo progetto è stato un po’ il fiore all’occhiello perché ha coinvolto Jovanotti, sponsorizzato dall’Enel, che da solo ha finanziato la riforestazione di 12 mila nuovi alberi. “Ha usato i nostri servizi per compensare l’emissione di anidride carbonica di un suo tour…” spiegano gli ideatori di Treedom.

A chi sono destinati i nuovi alberi? A cooperative locali che, grazie ai finanziamenti che ricevono con i progetti Treedom, organizzano innanzitutto vivai di pianticelle che poi mettono a dimora per lo più in common lands, terre comunitarie.

Quasi sempre si tratta di sistemi agroforestali misti, ma molto spesso prevalgono gli alberi da frutto (mango, avocado, guava, karité, aranci, anacardi), i cui prodotti vengono poi commercializzati dalle stesse cooperative.In un ritorno virtuoso la produzione viene destinata al mercato: così ci sono cooperative senegalesi che, ottenuto il Fair Trade per commerciare, hanno contratto accordi in Italia con la Coop Adriatica e fanno arrivare mango nei nostri supermercati…

Piantare alberi costa dai 7 ai 50 euro, a seconda del tipo: così si va dai costosi baobab alle acacie o ai meno noti beechwood. I ragazzi di Treedom ricavano una piccola commissione per ogni albero venduto.

Offrono questo servizio che mette in contatto il capitalismo desideroso di rimediare un po’ ai danni prodotti dall’industrialismo con le realtà associative del terzo mondo in cerca di aiuti per la propria agricoltura.

In Italia poi hanno stretto accordi con Libera Terra per piantare alberi in sei ettari confiscati a una famiglia vicina alle cosche, consegnandoli alla cooperativa Beppe Montana Libera Terra a Lentini (Siracusa).

Il terreno era stato bruciato. Ora, in sostituzione dei fusti perduti nel rogo, si sono piantati ulivi e aranci.

“Grazie a questa collaborazione” ha dichiarato Alfio Curcio, presidente della Cooperativa Beppe Montana Libera Terra, “l’impegno della cooperativa, nata nel 2010 e la prima di Libera Terra sui terreni confiscati alle mafie delle province di Catania e Siracusa, proseguirà quindi ancora più forte nell’obiettivo di legalità e giustizia che persegue dando valore alla terra, partendo dal riutilizzo sociale e produttivo dei beni liberati dalle mafie per ottenere prodotti di alta qualità, attraverso metodi rispettosi dell’ambiente e della dignità della persona”.

Treedom, che fattura mezzo milione di euro all’anno, ora si è permessa una fetta di casale in affitto nella soleggiata San Domenico, un po’ sotto Fiesole, a Firenze.

È il nuovo quartier generale in cui con i due primi soci si ritrovano anche altri toscani (il grossetano Riccardo Alessandrini e i fiorentini Carlo Volpi, Lorenzo Martelletti, Filippo Taccetti e Tommaso Signorini) più il romano Vittorio Picello.

Tutti giovani e determinati, e dalla primavera 2015 anche alle prese con una nuova creatura, un orto “aziendale” di cento metri quadri, perché oltre agli alberi si possono far crescere i pomodori, le zucchine, le melanzane eccetera.Insomma bisogna avere passioni, come quelle che trasudano dal loro blog, dove si scoprono anche le piante della Luna.

Alberi che sono stati sul nostro satellite? Ebbene sì: “Esistono alberi che hanno viaggiato tanto, più di molti di noi” scrivono quelli di Treedom nel blog.

“Sono arrivati fin sulla Luna, un viaggio di andata e ritorno. Ora crescono, all’insaputa di tutti, in America.

Molti di voi forse non sapranno che con la missione Apollo 14 del 1971, all’interno del modulo di comando che ha girato intorno alla Luna per 34 volte, sono stati portati anche 500 semi di pianta per un esperimento congiunto tra Nasa e Forest Service.

Di ritorno dalla missione lunare, questi semi sono stati piantati e, nel silenzio, sono diventati dei bellissimi alberi.

Nel 2011 la Nasa ha deciso di mappare questi alberi della Luna cercando di rintracciarli (uno di quei semi fu dato in dono all’imperatore del Giappone Hirohito).

Al momento sono stati individuati circa 50 esemplari di “Moon Tree”: uno è a Monterey, in California, un altro è nel prato di fronte al Parlamento dell’Indiana, un terzo cresce tacitamente nel Wilson Park di Salem, in Oregon.

Un altro ancora è nella Washington Square, a Philadelphia, mentre un altro, purtroppo, è caduto vittima dell’uragano Katrina, a New Orleans.

Così adesso sapete che ci sono alberi per le strade d’America che restano fermi, con le radici ben piantate in Terra, ma che sono stati sulla Luna”.

Il testo è tratto dal libro “Ho avuto un’idea” del giornalista e scrittore italiano Paolo Brogi. Per saperne di più sul suo libro sulle startup italiane clicca qui.

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