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L’Italia è il paese che amo: storia del videomessaggio che cambiò la politica italiana

Immagine di copertina

Il 26 gennaio 1994 Silvio Berlusconi "scendeva in campo" con un messaggio registrato che segnò l'inizio di una carriera politica che in pochi avrebbero previsto

“L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare”. 

Sono parole che, negli ultimi 23 anni, moltissimi italiani hanno ascoltato o letto, nella loro versione originale oppure citate, imitate parodiate in infinite varianti, forse perché, nella loro apparente semplicità, hanno segnato l’inizio di un’epoca durata un ventennio e che ha ancora oggi ripercussioni enormi sulla politica e sulla società italiana.

Quelle parole furono infatti pronunciate da Silvio Berlusconi il 26 gennaio 1994, esattamente ventitré anni fa, in un video di nove minuti e venticinque secondi registrato in uno scantinato rimesso a nuovo nella sua villa di Arcore e inviato a tutti i telegiornali del paese. 

Al suo interno, la dichiarazione di quello che fino a quel momento era stato un notissimo imprenditore in campo calcistico, editoriale, edile e soprattutto televisivo – già all’epoca ironicamente soprannominato “Sua Emittenza” – di voler scendere in politica con un partito totalmente nuovo.

Quel partito era Forza Italia, e la sua creazione fu un’iniziativa senza precedenti per il panorama politico italiano, per diverse ragioni: innanzitutto perché mai prima d’ora un personaggio così noto e potente (Berlusconi era proprietario delle tre reti televisive Fininvest, nonché di Mondadori e del Milan) si era convertito alla politica; in secondo luogo perché le elezioni erano state fissate, pochi prima dell’annuncio, per il 27 e 28 marzo dello stesso anno, e nessun partito aveva mai preso vita in così poco tempo; infine, ma non meno importante, perché quel partito mai sentito, che andava a sfidare tradizioni politiche esistenti da decenni, riuscì effettivamente a vincere quelle elezioni, e al di là del singolo risultato, cambiò per sempre la politica italiana.

Il videomessaggio, secondo una ricostruzione del Fatto Quotidiano, era stato scritto da diversi nomi noti dell’area berlusconiana: “La prima bozza è di Paolo Del Debbio […]. In seconda istanza la bozza passa a Gianni Letta, per levigarlo di virgole. Poi a Giuliano Ferrara che è il più colto del gruppo. Lo leggono quelli del giro stretto: Fedele Confalonieri, Previti, Dell’Utri, Nicolò Querci. Lo legge Mike Bongiorno che il Dottore considera il suo personale misuratore di aspirazioni comuni e comune sintassi”.

Tra i passaggi principali del discorso, la decisione di dare le dimissioni dalle proprie società (tranne il Milan) e l’attacco ai suoi futuri rivali: “La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti, lascia il Paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio a una nuova Repubblica”. 

Già da questo primo messaggio emergeva poi l’avversione senza sconti al comunismo: “Le nostre sinistre pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate liberaldemocratiche. Ma non è vero. I loro uomini sono sempre gli stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti, i loro comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono nell’iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell’individuo”. 

Come risposta a queste “vecchie facce”, un movimento basato sulla novità: “Ciò che vogliamo offrire agli italiani è una forza politica fatta di uomini totalmente nuovi. Ciò che vogliamo offrire alla nazione è un programma di governo fatto solo di impegni concreti e comprensibili. […] Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano.” 

Quando il videomessaggio, dopo essere stato registrato su una serie di nastri e inviato alle emittenti televisive affinché potesse essere mostrato durante i Tg della sera, fu visto da milioni di italiani, si trattò di un evento fino ad allora assolutamente inedito, sia per la notizia di una nuova forza politica, che per il protagonista del video, nonché per la forma innovativa di comunicazione, che superava comunicati e conferenze stampa per parlare direttamente al cittadino, anzi allo spettatore.

In una dichiarazione ripresa da La Stampa, Berlusconi disse al riguardo: “Il problema è che questo è il mio esordio in politica e quindi voglio fare un discorso di programma. Ecco il motivo per cui non ho convocato i giornalisti. Non voglio essere distratto né interrotto nell’esposizione del mio pensiero”. Nello stesso articolo, l’allora direttore del Tg di Telemontecarlo Sandro Curzi commenta: “Siamo alla barzelletta! I miei colleghi giovani dicono che sono esagerato. E io rispondo: guardate gli Usa. Laggiù, in campagna elettorale, ogni volta che appare in tv il Presidente ha sempre almeno due giornalisti che gli fanno domande vere”. 

Il primo a mostrare il video fu Emilio Fede, che già alle 17.30 lo mandò in onda nella sua interezza, e poi di fila le reti Fininvest e quelle della Rai, ognuna scegliendo a propria discrezione se trasmetterlo in versione integrale (il Tg4 e Studio Aperto) o solo a stralci (RaiUno 1’50”, Canale 5 3’47”, RaiTre 59”).

Il discorso sembrava voler puntare tutto sulla differenza del Cavaliere dai partiti politici dell’epoca, ormai ridotti in macerie dall’uragano giudiziario di Tangentopoli (nonostante fossero noti i rapporti strettissimi di Berlusconi col segretario del PSI Bettino Craxi), oltre a promettere un “nuovo miracolo italiano” che applicasse al paese il successo raggiunto da Berlusconi come imprenditore, a partire già da quel nome, Forza Italia, più vicino a un’esortazione sportiva che ai classici nomi della politica di allora.

I commentatori dell’epoca, però non sembrarono particolarmente fiduciosi nelle chance di Berlusconi di ottenere risultati positivi alle elezioni, e anzi in molti videro quel messaggio come un goffo tentativo di salvare le proprie aziende dal fallimento economico, destinato a fallire a causa dell’inevitabile superiorità organizzativa della “vecchia politica”.

In molti si concentrano sull’estetica: Concita de Gregorio su La Repubblica commentò per esempio così il quadro offerto: “Fondo rosa scuro, libreria e scrivania di legno biondo, libri rilegati di pelle rosso ciliegia. Rassicurante, tranquillizzante. Contorni del viso e spigoli delle pareti sfumati da un vecchio trucco, una calza da donna sull’obiettivo buona anche per cancellare le rughe. Luce d’ambiente, tagliacarte d’argento in primo piano, alle spalle i libri un po’ in disordine perché sia chiaro che si usano, non sono lì per arredare. Due cornici d’argento con le foto dei figli piccoli: al mare, tutti nell’acqua, in campagna, sulle spalle di papà. Accanto una scultura di pietra grigia: Cascella. Nelle case degli italiani, ecco Silvio Berlusconi nel suo habitat”.

Furio Colombo, da tempo esperto di politica statunitense, si concentrava invece sullo stile della ripresa: “Sì, c’era una certa fissità nel messaggio. Rispetto alle possibilità del mezzo ha scelto la prudenza, uno stile conservatore. Un malevolo potrebbe dire che ha scelto la solennità del messaggio presidenziale. Ross Perot è sceso in campagna così”.

Indio Montanelli, decano del giornalismo italiano che solo pochi giorni prima si era dimesso da direttore del Giornale edito dallo stesso Cavaliere, commentò in un’intervista all’Espresso: “Il Berlusconi politico distruggerà il Berlusconi imprenditore… La sua scelta di scendere in politica è un grave errore e anche un clamoroso passo falso… Oggi che ha compiuto questo passo sono un suo nemico dichiarato”.

Achille Occhetto, segretario del Partito Democratico della Sinistra che sarebbe poi stato lo sfidante principale di Berlusconi alle urne, fu piuttosto sprezzante il giorno dopo la diffusione del messaggio: “Un discorso insieme risibile, drammatico e inaccettabile” di cui salverebbe “solo le parti comiche”, aggiungendo “Al massimo Berlusconi può gridare ‘Forza Milan’, perché ‘Forza Italia’ lo gridiamo tutti noi e lo hanno gridato per primi quei partigiani che hanno salvato l’Italia”, mentre Massimo D’Alema, secondo le cronache dell’epoca, parla di “incitamento all’odio verso una parte così rilevante del paese” e di “kitsch”. 

Curzio Maltese, dalle colonne de La Stampa, analizzò in senso linguistico il discorso, e i giudizi non sono dei più lusinghieri: “I toni sono da tema scolastico di quarta elementare. Misura standard (quattro fogli), nessuna parola difficile, poche subordinate, molti slogan, frequenti ripetizioni, spruzzi abbondanti di retorica e frasi fatte (cfr. il passaggio: “mai come ora l’Italia ha bisogno di persone con la testa sulle spalle… capaci di darle una mano per far funzionare lo Stato”). La parola più gettonata è libertà, sette volte, una ogni settanta secondi. La radice liberal (liberale, liberismo, liberaldemocratico, ecc…) ricompare altre cinque volte. Segue il gruppo patriottico, Italia (sei), italiani e Paese (cinque). Tra i valori caldi inseguono a quota tre i valori, per l’appunto, e poi esperienza, imprenditore, speranza, serenità, ordine, sogno, più gli odiati comunisti. Tra le formule vince la calcistica scendere in campo, usata ben cinque volte e ribadita nei titoli dei tg Fininvest. Tra le forme verbali spicca noi vogliamo (cinque volte) e gli evangelici io credo e io vi dico (quattro ciascuno), in opposizione ai soliti comunisti che naturalmente non credono al mercato, all’individuo e, in definitiva, «non credono a niente». Ultima nota, nel tema il candidato Silvio Berlusconi cita direttamente una sola persona, il suo papà. Ma in definitiva, in televisione come sempre conta il modo e non il contenuto del discorso. In questo senso, Silvio Berlusconi ha realizzato ieri la più oscura profezia mai partorita sulla videopolitica, quella contenuta nel romanzo Presenze di Jerzy Kosinski, meglio noto nella traduzione cinematografica (Oltre il Giardino con Peter Sellers). Ovvero, la banalità al potere”.

Quella “banalità”, per molti aria nuova rispetto alla Prima Repubblica, per molti altri una sciagura che avrebbe segnato l’Italia fino a oggi, sarebbe stata in ogni caso una forza con cui confrontarsi, volenti o nolenti, ancora per molto tempo a partire da quel 26 gennaio.

Il video:

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