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I giovani non lavorano

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L'Italia tra disoccupazione, precariato e salari bassi. Siamo veramente una generazione perduta?

“Quanto guadagni?”. “Mille euro al mese”. “Beato te!”. Quello che in Italia una decina di anni fa era un reddito popolare, quasi una garanzia per ogni lavoratore, adesso è diventato più o meno un obiettivo, un’aspirazione.

S&D

Una soglia minima di riferimento, molto spesso da raggiungere, soprattutto per i più giovani. Come potrebbe non esserlo, in un Paese dove il tasso di disoccupazione nella fascia d’età 25-34 anni è in costante incremento e oggi supera il 43 per cento? Il valore raggiunge il 46 per cento se si considera la fascia tra i 15 e i 24 anni.

Il dato uscito in questi giorni registra il record più alto dal 1977: il 13,6 per cento degli italiani sono disoccupati. Questo significa che i più colpiti dalla crisi economica e lavorativa sono con larga maggioranza quelli che oggi si affacciano al mondo del lavoro. È triste pensare che il problema italiano stia raggiungendo una dimensione tale da essere preso come modello negativo di riferimento: siamo una “generazione perduta”?

D’altronde, è difficile ignorare il fenomeno: i costi sociali prodotti sono stati enormi. Le iscrizioni universitarie calano e aumentano gli abbandoni: circa il 56 percento degli studenti ha lasciato gli studi nel corso dell’anno accademico 2012-2013. Si stima che quest’anno oltre centomila giovani andranno a cercare fortuna lontano dall’Italia.

Nuovo record negativo per le nascite che toccano i minimi storici: sono solo 500 mila i nuovi nati nel 2013. Si allarga anche la forbice tra nord e sud Italia: nel sud il 60 per cento dei giovani è senza lavoro. Se si considerasse il Mezzogiorno come un Paese a sé, sarebbe il terzo in Europa per tasso di disoccupazione, dietro Grecia e Spagna.

L’innalzamento dell’età pensionabile è la principale causa della situazione, cui si aggiunge il precariato del lavoro giovanile dovuto alla diffusione di stage e tirocini, molto spesso poco o per niente retribuiti dalle imprese per mera convenienza contrattuale. A 9 giovani su 10 in cerca di lavoro vengono offerti contratti temporanei. Difficile, poi, ignorare la critica situazione economica del Paese: l’anno passato hanno chiuso i battenti 372 mila imprese e non sembrano esserci grossi segnali di miglioramento.

Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi è stato più che chiaro: “Stiamo strisciando sul fondo”, ha detto. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, commentando i dati usciti sul primo trimestre dell’anno 2014, ha assicurato che ci sarà “un’inversione di segno entro fine anno” e ha aggiunto che la situazione è strettamente legata alla diminuzione del Pil dello 0,1 percento nel periodo considerato.

L’Italia preoccupa, non solo perché Paese cruciale per l’Europa, ma anche perché nelle mani del nuovo premier Matteo Renzi sono state affidate molte delle speranze per la ripresa generale del Vecchio Continente. Renzi, che ha promesso una consistente riforma del mondo del lavoro, è stato salutato dallo scenario internazionale con grande ottimismo e riconosciuto come l’uomo che avrebbe permesso all’Italia di contribuire a rimettere in moto l’economia europea.

Al momento, i dati sull’occupazione restano ben sotto la media: le stime Eurostat accusano un lieve calo ad aprile, sia per l’Eurozona che per l’UE-28, con valori che si attestano intorno al 11,7 per cento. La disoccupazione giovanile invece si aggira intorno al 23,5 per cento nell’Eurozona e al 22,5 percento nell’intera Unione Europea.

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