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Il governo del cambiamento ha approvato molte meno leggi degli esecutivi PD e ha reso il parlamento inattivo: i dati

Immagine di copertina

La maggior parte dei (pochi) provvedimenti approvati finora dall'esecutivo gialloverde sono decreti governativi: il parlamento è stato scarsamente coinvolto, e la produzione legislativa è ai minimi storici

Tempo di bilanci per il governo Conte, dopo i primi sei mesi di attività. Per il giuramento, il primo giugno scorso, ci sono voluti oltre 90 giorni, un tempo di attesa inedito in tutta la storia repubblicana.

S&D

Fin dalla campagna elettorale, il cambiamento è stato il fil rouge psicologico e politico delle forze che sono andate poi, successivamente, a comporre il mosaico dell’alleanza di governo: da una parte il Movimento 5 Stelle, con la sua volontà di superamento della vecchia classe dirigente al potere e del sistema tradizionale dei partiti.

Dall’altra la Lega – non più “Nord” dalle ultime elezioni politiche – che, abbandonato il settentrionalismo e l’etno-nazionalismo si è reinventata fino al punto di cannibalizzare Forza Italia.

È certamente vero che il tempo trascorso dall’insediamento del governo a Palazzo Chigi è appena sufficiente a giudicare l’attività legislativa, così come che i primi cento giorni, storicamente cruciali per la presentazione delle riforme chiave, sono stati lenti, di assestamento, anche per la necessità di stabilire una maggioranza nuova, in particolar modo in Senato.

Incrociando i dati di Openpolis, di Open Parlamento e quelli disponibili sul sito di Palazzo Chigi e di Palazzo Montecitorio emerge però un dato interessante: durante i primi sei mesi di governo, timidi e deboli, l’attività del Consiglio dei Ministri e del Parlamento è stata contorta, molto meno incisiva rispetto ai proclami e alle dichiarazioni pubbliche.

Innanzitutto, i decreti legge presentati nelle varie conferenze stampa dal governo sono arrivate “tardi” in Aula – spesso dopo una settimana – con modifiche e variazioni poco tracciabili, monopolizzando l’attività legislativa delle due Camere, relegando il Parlamento a organo di secondo ordine.

In secondo luogo, la stragrande maggioranza dei disegni di legge di iniziativa parlamentare sono ad oggi bloccati nelle varie commissioni, o non sono ancora stati depositati: da inizio legislatura sono state 2.236 le proposte depositate su iniziativa dei deputati di Montecitorio, delle quali oltre 2.220 “sospese”, non essendo state ancora approvate o ritirate.

Se si confrontano i dati dei primi sei mesi di governo con quelli dell’esecutivo Letta per esempio, si può notare come il 77 per cento dei provvedimenti di iniziativa parlamentare fossero già stati assegnati alla commissione competente, mentre per il governo Conte la percentuale si abbassa al 59,10 per cento.

Oltretutto, sempre nel governo Letta solamente il 5,65 per cento dei disegni di legge parlamentare attendeva di essere assegnata ad una commissione, mentre la percentuale dell’attuale esecutivo sale al 35,59 per cento.

Forse il dato più interessante è il 5,04 per cento dei disegni di legge – di iniziativa parlamentare – che hanno avviato il proprio iter in commissione nei primi sei mesi del governo giallo-verde, a confronto con il 14,88 per cento dell’esecutivo Letta.

governo leggi

Dall’analisi di questi dati appare chiaro che il Governo abbia monopolizzato e congelato l’attività legislativa parlamentare, organo ad elezione diretta per eccellenza in Italia.

Nelle 29 riunioni del Consiglio dei Ministri svolte fino ad oggi – il numero più basso dal governo Letta, tutti gli altri compresi, fino ad oggi – 21 sono i provvedimenti legislativi deliberati.

È l’esecutivo che dei quattro analizzati – insieme a quelli di Letta, Renzi e Gentiloni – ne ha prodotti di meno. Solo il governo Gentiloni aveva presentato un numero inferiore di provvedimenti, controbilanciato da un numero maggiore di decreti legge.

governo leggi

Ovviamente il vaglio numerico non basta per giudicare l’attività di un governo, ma se si analizza il contenuto delle proposte normative si trovano altri dati interessanti.

Sono infatti sei i decreti legge che hanno affrontato situazioni straordinarie ed eccezionali: il decreto per il funzionamento dei Tribunale di Bari, quello per il riordino dei ministeri, il decreto Genova, quello per le navi alla Libia e quello per la fatturazione elettronica dei benzinai, a cui si aggiunge il cosiddetto decreto “milleproroghe” che in realtà, però, viene approvato ogni anno.

Il decreto “anti-corruzione” risulta ancora da approvare. Sono stati tre invece gli unici decreti deliberati e approvati per avanzare proposte politiche ben specifiche, quindi fuori dalle logiche di urgenza: il decreto dignità, il decreto sicurezza e immigrazione e il decreto fiscale – nella cornice della manovra finanziaria, approvata lo scorso 31 dicembre.

L’immagine che questi dati ci restituiscono è quella di una produzione legislativa molto più scarsa rispetto ai governi precedenti, con un esecutivo che al contempo egemonizza l’attività del Parlamento e che dietro alle conferenze stampa, agli annunci in pompa magna sui canali social e alle dichiarazioni, nasconde un atteggiamento opposto.

Tutto ciò risulta maggiormente chiaro dal confronto con i quattro governi precedenti. Durante i primi sei mesi del governo Letta le principali proposte avanzate dal governo furono il decreto del fare, il decreto per la sospensione dell’Imu, il decreto lavoro, lo svuota-carceri, il decreto anti-femminicidio e il decreto cultura.

Numeri maggiori ha registrato l’esecutivo Renzi, che aveva lanciato il ddl di riforma costituzionale Boschi, il Jobs Act e il decreto bonus 80 euro, il decreto competitività, il decreto per il risarcimento dei detenuti, il decreto per la vigilanza di Bankitalia e il piano casa 2014.

Infine, il governo Gentiloni aveva concentrato le energie sul decreto per il mezzogiorno, sul decreto migranti, sul decreto sicurezza urbana, sul decreto vaccini, sul ddl concorrenza e sul decreto per l’abolizione dei voucher.

Lo screening dei numeri non ci fornisce un’immagine brillante dei primi sei mesi del governo giallo-verde.  Circa i 2/3 delle leggi approvate sono, ad oggi, conversioni di decreti del governo, con una percentuale di oltre il 61 per cento.

Sono numeri che aiutano a farsi un’idea dell’assottigliamento dell’esercizio del potere legislativo del Parlamento, il principale organo politico rappresentativo di tutta l’architettura costituzionale, che in una democrazia parlamentare come quella italiana ha l’onere di rappresentare gli interessi della società esercitando, nel solco profondo dello stato repubblicano, funzioni di garanzia verso le parti politiche e di concessione o revoca di fiducia verso l’esecutivo.

I numeri dovrebbero fornici l’assistenza necessaria per capire che la riduzione dello spazio politico che spetterebbe al Parlamento non è mai un segnale virtuoso e di buona salute per una democrazia.

Leggi anche: No, i rifugiati non “li accogliamo solo noi”, come dice Salvini

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