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“Ad Auschwitz mi sono davvero chiesto che fine avesse fatto Dio mentre lì gasavano le persone”, parla Guccini

Immagine di copertina
Francesco Guccini

Il cantautore modenese Francesco Guccini, in un’intervista al Corriere della Sera, oltre a parlare della sua vita e delle sue passioni, come quella per i libri, ha spiegato la storia di uno dei suoi brani più celebri, Auschwitz.

Suo padre infatti, Ferruccio Guccini, passò per l’orrore dei lager: “Non ha mai voluto parlarne – ha spiegato il cantautore – Però mandò due cartoline, che purtroppo ho perduto. So che era nello stesso campo di Guareschi, ma non si incontrarono mai, erano in migliaia. Sa che cosa facevano, alla sera? Si riunivano e, stremati dalla fame, evocavano il ricordo di quel pollo con le patate, di quella pasta con il sugo grasso. Poi annotavano tutto in un quaderno. Carta finissima e inchiostro annacquato, perché non ce n’era abbastanza. Lo facevano per non perdere la memoria del gusto. Per non perdere la speranza, dico io”.

“Ad Auschwitz mi sono davvero chiesto che fine avesse fatto Dio mentre lì gasavano le persone. Un gigantesco cimitero senza croci: non si può non pensare alla composizione del concetto di giustizia. Dov’è la giustizia? Che cosa è davvero? È soltanto una parola?”. Questi gli interrogativi che si è posto il cantante, domande a cui è davvero difficile fornire una risposta.

Sempre a proposito del padre, Guccini ha spiegato che lui lo avrebbe preferito giornalista o storico, non cantante. Eppure il cantautore e scrittore, che si definisce di bassa autostima, ha scritto testi che considerare poetici è forse troppo poco. Canzoni che hanno tratteggiato generazioni e mondi in fase di cambiamento. Rivoluzioni, personaggi, modelli.

Ma Guccini sostiene di aver scritto sempre per se stesso: “Ma va. Ho sempre scritto canzoni per me, mica perché mi credevo un guru. Che poi, a tutti gli effetti, questo abbia prodotto un mondo nel quale si sono riconosciuti in tanti, be’, me lo lasci dire: questa è l’arte”.

Gli anni passano e il cantautore di Dio è morto, Vedi Cara, l’Avvelenta fa i conti con l’età che avanza e i suoi acciacchi: “Ho un mucchio di problemi alla schiena e alle gambe”. Ma quello che sembra dispiacergli di più è il problema alla vista, un vero impedimento per un grande lettore come lui: “Quel che riesco a vedere mi dà solo gioia. Soffro, piuttosto: io ho sempre divorato decine di libri all’anno e adesso faccio i conti con una malattia degli occhi, una maculopatia bilaterale. Non posso più leggere, così Raffaella o un’altra ragazza che viene a darci una mano, mi leggono i libri”.

Poi, con una buona dose di ironia, Guccini si è lamentato delle limitazioni che, per forza di cose, ha dovuto porre al suo stile di vita: “Vogliamo parlare del fatto che mi hanno tolto il vino, le sigarette e le donne? E lo sa che ieri sera sono andato a letto alle dieci e mezza?”. “No, dico, a Bologna, tra sigarette e bourbon – ha raccontato il cantante – facevamo le tre del mattino. Giocavamo a scopa o con i tarocchi ma non ci siamo giocati mai nemmeno un caffè. Donne e alcol sì, certo. Erano vizi da contadini. Io sono un contadino. Mi piace stare qui in campagna perché la cosa più importante è il meteo. Che tempo farà domani, ecco che cosa conta davvero qui”.

La conclusione dell’intervista, poi, non può che essere un’amara considerazione sui fatti di attualità:”Oggi la politica fa leva sulle paure, vere o percepite. E guardi la propaganda: è il vero motore della politica. Però io sono tra quelli che non si meravigliano che tante regioni o province “rosse” siano diventate leghiste. La sinistra italiana è lacerata sin dal congresso di Livorno e, anche quando ha vissuto stagioni migliori, ha sempre avuto una natura autoritaria, direi intollerante. Insomma, quei comunisti che oggi sono leghisti, erano leghisti dentro, solo che non se ne accorgevano. Siamo un paese impaurito. Stanco, stremato. Ecco, questo mi spaventa davvero”.

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