L’ex Black Panther Angela Davis sarà all’università di Roma Tre il 14 marzo

Una breve storia dell'attivista per i diritti degli afroamericani, a cui i Rolling Stones dedicarono anche una canzone
Non è facile introdurre la figura di Angela Davis senza essere degli accademici che ne conoscono la vita a menadito, o persone che hanno seguito costantemente le vicissitudini che hanno forgiato la personalità di questa femminista, attivista ed eroina, uno dei maggiori simboli di lotta e impegno civile che esistono al giorno d’oggi.
Il fatto che lunedì 14 marzo 2016, alle 10:00, terrà una conferenza all’università Roma Tre dal titolo The meaning of white supremacy today ha reso doveroso raccontare brevemente la sua storia. Per lo meno parte della storia con la quale io sono venuta a contatto.
La prima volta che ho avuto a che fare con la Davis è stata alcuni anni fa, a New York. Comprai un libro legato al Black Panther Party, la più grande organizzazione politico rivoluzionaria afroamericana fondata nel 1966 da Huey Newton e Bobby Seale.
Il partito nacque in risposta alla brutalità e ai soprusi della polizia e delle forze governative nei confronti della popolazione afroamericana e come manifesta volontà di attuare una vera e propria rivoluzione culturale. Il fulcro di questa rivoluzione era la necessità di dare alla comunità nera più potere economico, politico e sociale. In poche parole diritti civili e costituzonali.
Prima di allora non sapevo esattamente cosa fosse il Black Panther Party. Ne avevo sentito parlare per via del rapper Tupac. Madre e madrina erano dei membri di primissimo piano.
Probabilmente saprete di cosa sto parlando. O forse no. Magari vi ricordate la famosissima immagine del pugno nero guantato e alzato verso il cielo di Smith e Carlos alle olimpiadi del ’68 [avevamo condiviso l’articolo di Gazzaniga ‘L’uomo Bianco in quella foto‘].
O magari ne avrete sentito parlare nelle scorse settimane, vista l’enorme visiblità che ha avuto per via di Beyoncé e la sua [controversa, contestata, osannata] performance al Super Bowl.
Bey, microfono in mano, durante il break, è entrata in campo seguita da numerose ballerine incolonnate a schiera, e insieme hanno eseguito uno spettacolo memorabile.
Quando la mattina dopo il Super Bowl sono iniziati a girare sui social i video del suo show, ho pensato: “Gesù, che statement forte”. La prima cosa che mi è saltata all’occhio infatti era la mise. Tutte le performer erano vestite con alcuni dei capi simbolo indossati dagli attivisti del partito: berretto e giacca di pelle neri. E capelli afro [tranne lei però].
Praticamente un tributo in mondo visione [e in occasione del Black History Month] a un’organizzazione che quest’anno celebra il 50° anniversario dalla sua nascita [attenzione a non confonderlo con il farlocco New Black Panther Party].