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Storie di eroina e crack al mercato Ballarò di Palermo

Immagine di copertina

Nel cuore del quartiere dell'Albergheria ragazzi anche minorenni hanno iniziato a fare uso di droghe pesanti negli ultimi anni. Il fotoreportage di Federico Annibale

“Lo so che faccio una cazzata”, mi dice Luigi, un ragazzo che ha appena compiuto 17 anni e fuma crack sulle scale di una biblioteca di fronte ad un hotel 4 stelle al centro di Ballarò, a Palermo. “Però meglio farlo ora, alla mia età, che all’età di quello accanto a te che ha 40 anni”.

Gruppetti di “picciotti” emaciati si trascinano per i vicoli dove si trova lo storico mercato di Ballarò con occhi sgranati, in preda a tic nervosi in cerca di qualcosa che potrebbe essere caduta per terra, ma che ovviamente non si trova mai: è la droga che glielo fa immaginare. E poi ti fermano e ti chiedono qualche spiccio per prendersi la loro dose.

“Cumpà, che ce l’hai 2 euro, così mi posso comprare la roba?” mi dice Angelo, un ragazzo della stessa età con cui ero entrato in confidenza.

Prima non era così Ballarò. Negli ultimi due o tre anni una piaga sta attraversando il quartiere da parte a parte: crack ed eroina sono scese di prezzo attirando giovani ragazzi, anche minorenni, che si fanno nelle strade del quartiere o in palazzi abbandonati. La zona era sempre stato un centro dove i giovani palermitani si rifornivano di erba e hashish.

“Però ti assicuro che 4 anni fa non era facile trovare la roba”, mi confessa Almamy, un trentenne senegalese intrappolato nel tunnel del crack. “Oggi dal pomeriggio tardi in poi la trovi facilmente”.

La notte le strade di Ballarò cambiano funzione, mentre di giorno si vendono ortaggi e pesce, dopo il tramonto si animano di spacciatori che smerciano eroina e crack: cambiano i clienti, ma rimane un mercato.

Ballarò è l’unico dei mercati di Palermo che ha mantenuto l’autentica e storica vitalità. Inserito nel quartiere di Albergheria, uno dei quattro rioni storici della città, rappresenta più che un mercato.

È un centro nevralgico e un’area che ha attirato la maggior parte dei migranti che si sono stabiliti nel capoluogo siciliano, anche per gli affitti delle case a prezzi molto bassi.

È difficile definire Ballarò, visto che ci sono più di 25 comunità di migranti, insieme a palermitani che vivono nel quartiere da generazioni e a una nuova borghesia palermitana che, attirata da una rigenerazione tutt’ora in atto, si sta trasferendo in quest’area.

È un quartiere dove c’è un evidente degrado sociale, dove la dispersione scolastica e la disoccupazione sono altissime, e dove la mafia controlla spaccio, pizzo e furti.

In questo territorio non ci sono, ovviamente, solo mafia e droga. Ci sono altre esperienze che mostrano un’altra faccia di Ballarò: bellissima e meticcia. Ma lo spaccio mostra la faccia degradata, spoglia e triste, della quale non si può non parlare.

Come funziona lo spaccio di crack ed eroina?

Incontro Francesco Bellina, un fotografo con base a Palermo che fa parte di un circolo Arci inserito nel cuore del quartiere. Mi spiega come funziona il giro.

“Prima di tutto devi capire che ogni cosa viene gestita da un’unica entità: la mafia che controlla Ballarò, con famiglie precise e nomi agli atti giudiziari, che militarizzano e controllano il territorio. Loro decidono chi spaccia cosa e dove, e impongono il pizzo agli spacciatori, migranti e non”, mi spiega.

Il mercato della droga di Ballarò è ormai estremamente multiforme e differenziato, c’è l’erba di qualità che si compra in casa dagli italiani, l’erba scadente che si trova in piazza e quella vecchia degli africani; il crack viene cucinato dentro alcune case (per lo più da nigeriani, ma anche gambiani e ghanesi) e poi venduto sia da italiani che da africani, mentre l’eroina viene venduta solo dagli africani.

“Vedi i siciliani non possono vendere eroina, perché perderebbero il rispetto che hanno nel quartiere. Infatti l’eroina viene chiamata: consumare figli di madre”, spiega Francesco. Eticamente è condannata dal codice mafioso-criminale. E così, la fanno spacciare ai ghanesi e ai nigeriani, ma anche ai gambiani”.

“Però non ti scordare che sono loro che li riforniscono. Insomma, ai mafiosi di quartiere non va di sporcarsi le mani, però ti riforniscono di roba, perché in fin dei conti è un business e porta profitto”.

Vista la varietà di droghe disponibili, e dunque anche una differenziazione di prezzo, il quartier si anima di gente proveniente da classi sociali differenti: chiunque a Ballarò può comprare roba, ma ciascuno arricchisce una differente e stretta cerchia di persone.

La reazione immediata a tutto questo è indignarsi contro l’assenza di controlli e d’intervento. Infatti gli spacciatori sono lì in piazza, nelle strade, se ne riconoscono i volti.

Tuttavia Francesco la pensa in modo differente. “È molto facile intervenire con un ingente dispiegamento di polizia sul territorio seguito da arresti a tappeto; ma così non si risolve nulla. A Ballarò c’è un problema di degrado sociale, condizioni economiche depresse, disoccupazione galoppante, questi problemi sono la vera linfa di queste droghe e non si risolvono con il solo intervento della polizia”, dice.

(Almamy mentre cucina il crack. Credit: Federico Annibale. Il pezzo continua dopo la foto)


 

“Il sindaco Leoluca Orlando sta adottando questa tattica: invece di mandarvi gli sbirri io vi mando la politica, l’economia, le attività produttive e regolarizzo il mercato. Il Comune si sta muovendo in modo intelligente, perché con la polizia non risolvi niente”.

Anche Massimo Castiglia, consigliere circoscrizionale e promotore di un’assemblea pubblica di quartiere di nome SOS Ballarò crede che senza un intervento sociale e culturale non si risolverà nulla.

Il comune negli ultimi anni ha iniziato a supportare alcune realtà che lavorano nel quartiere e a coltivare un dialogo con SOS Ballarò e con associazioni come quella del mercato storico di Ballarò. Questo processo è culminato in una conferenza stampa a ottobre 2015 nella chiesa di Santa Chiara all’Albergheria (a cui poi ne è seguita un’altra esattamente un anno dopo).

In quell’occasione SOS Ballarò aveva consegnato al sindaco e a tutta la giunta un documento redatto da residenti del quartiere, dove venivano segnalate le criticità e le aree d’intervento. “Effettivamente, a distanza di un anno, alcune di quelle richieste sono state soddisfatte. Ed il dialogo con il sindaco esiste ed è continuo” dice Massimo.

Ma quando gli chiedo di parlare con gruppi di supporto che lavorano sul territorio per tentare di far uscire gli adolescenti dal consumo di crack ed eroina, mi dà la risposta peggiore.

“Non ci sta nessuno”.

Questi ragazzi sono lasciati a loro stessi, vengono anche da fuori il quartiere, ma usano Ballarò per cancellare occasioni di vita e progetti; non pensano, si drogano, entrano nel tunnel e non c’è nessuno che gli mostri una via di scampo.

Immersi nel tunnel della droga

Una sera becco Antonio, un eroinomane italiano di 23 anni che fuma crack ed eroina e occasionalmente si buca. Lo avevo già avevo conosciuto di fronte all’hotel a quattro stelle, dove tutti fumano quelle sostanze.

Antonio è immerso in una situazione troppo grave per poterne uscire da solo. Entra ed esce dalle comunità per disintossicarsi, ruba per comprare la roba ed è freddamente consapevole della sua situazione.

“Lo so che il mio problema è la roba”, mi dice mentre si fa una fumata di crack. “Il mio problema è ‘sta cazzo di merda, mi ci devo allontanare ma non è facile, ti entra nel Dna fratello, ti entra dentro, è una cosa subdola. Lo so che è sbagliato ma può succedere ed io ora sono debole”.

Dopo un po’ che parliamo e che finisce di fumare entra in astinenza da eroina, e mi chiede di accompagnarlo a comprarsi una dose; lo seguo nel suo allucinante peregrinare, e finiamo in uno dei tanti localetti a Ballarò gestito e frequentato da nigeriani.

Lui va verso il bancone “Ciao mi dai una da 15?”. “Va bene” gli risponde una donna nigeriana dietro il bancone.

E così Antonio, come se andasse al bar ad ordinare una birra, entra e con 15 euro si prende la sua dose di eroina.

Usciamo, con occhi tristi e spersi nel nulla mi sussurra: “Vedi quanto è facile? Entri e ti prendi l’eroina. Se si continua così, sono sicuro che tante facce che conosco, ragazzi giovanissimi, non le rivedrò più. È diventato troppo facile farsi. Faranno tutti la fine del povero Sandro”.

Quella di Sandro è una triste storia che ben dipinge alcuni scenari che potrebbero accadere, se non si interverrà nel quartiere.

Sandro era un italo-keniota di 21 anni, tossicodipendente, che viveva con i suoi due cani in un palazzo abbandonato su via Maqueda, una via centrale di Palermo che taglia il centro storico in due.

Con lui vivevano anche Antonio, Almamy e altri due ragazzi africani tossicodipendenti. Un posto lurido, un mare di siringhe insanguinate, escrementi umani e rifiuti nel cuore di Palermo.

Un cuore che si sta sporcando, e che si è sporcato con il sangue di Sandro.

“Io non c’ero quel giorno, sono arrivato dopo. Sandro si era fatto una pera di ero e coca, troppo forte. Non ha retto, quell’altro che vive con noi l’aveva tirato su e poggiato al muro, poi hanno chiamato l’ambulanza. È morto lì dentro dove dormo anche io”, racconta Antonio.

Quel giorno c’era invece Almamy, che si ricorda ancora il rumore delle sirene dell’ambulanza.

Una mattina mi fa entrare dentro il palazzo abbandonato, e per qualche minuto fissiamo i guanti e la mascherina dei paramedici che hanno tentato di salvare la vita di Sandro.

Li guardiamo senza dire nulla, poi mi indica il sangue per terra ancora rosso vivo.

Almamy distoglie lo sguardo e torna a cucinare la coca per ricavarne il crack da fumare.

“Sono sempre stato abituato a stare in compagnia dei miei figli. Ma da quando sono andato via di casa mi sento solo, è per questo che fumo il crack”, mi confessa. “Avevo smesso dieci anni fa. Tanti come me e come altri ragazzi anche molto giovani, lo fanno per solitudine. È brutto fratè. Io ero un bravo padre, ma poi mia moglie mi tradiva e ho deciso di andare via di casa”.

“Pensi che a me piaccia questa vita?”, mi chiede. “Io sto malissimo fratè, vivo in un posto che fa schifo, che puzza e si veste di morte; te non ci vivresti mai”.

Di storie come Antonio e Almamy ce ne sono tante che camminano claudicanti per le strade di Ballarò. Ma da qualche anno a questa parte minorenni e ragazzi di appena vent’anni, hanno iniziato a far un uso smodato di droghe troppo forti per i loro esili corpi.

Esistono drammatiche possibilità che la cronaca nera di Palermo inizi ad annoverare casi di minorenni morti per overdose nel centro storico del capoluogo siciliano. È forse arrivato il momento d’intervenire, evitando però di vedere il problema della droga slegato dalla componente sociale che lo alimenta.

Ballarò non ha bisogno di militarizzazione, ma di politiche sociali sul territorio, cultura e posti di lavoro. Qualcuno deve salvare quei ragazzi.

 

*I nomi e alcune nazionalità delle persone intervistate in questo articolo sono state cambiate per tutelare la loro privacy.

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