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Costrette a scegliere tra carriera e famiglia: chi sono le 30mila donne italiane che hanno deciso di perdere il lavoro

Immagine di copertina
Credit: Claudia Corrent

Il dibattito sulla possibilità per una donna di essere contemporaneamente madre e lavoratrice dura da lungo tempo e per tantissime donne la scelta sembra essere ancora obbligata

“Da te non me l’aspettavo”. “Sono molto deluso”.  “Avevi detto che non era nei tuoi piani”.

S&D

Sono solo alcune delle frasi che le donne lavoratrici e madri si sentono dire dai propri datori di lavoro quando comunicano di essere in attesa di un figlio.

E i dati allarmanti dell’Ispettorato del Lavoro pubblicati a luglio 2017 ne danno ampiamente prova.

In Italia, nel 2016, le dimissioni volontarie per genitori con figli fino a 3 anni sono state 37.738, di cui ben 29.879 da parte di donne. 

Ma il dibattito sulla possibilità per una donna di essere contemporaneamente madre e lavoratrice dura da lungo tempo e, dati alla mano, per tantissime donne, nel 2017, la scelta sembra essere ancora obbligata.

Soprattutto se si considera che gli abbandoni avvengono per la maggior parte da donne con un impiego a basso reddito che non hanno la possibilità di avere un aiuto nella cura dei figli.

Queste donne lavoratrici sono raggruppate in settori come il lavoro in fabbrica, la vendita al dettaglio, il servizio di ristorazione e l’assistenza domiciliare, tutti impieghi che in genere offrono pochi vantaggi e poche opportunità di avanzamento.

Così, valutando le spese per mantenere i figli all’asilo o i costi delle baby sitter, alcune donne sono costrette a scegliere tra “pagare per lavorare” o “godersi i figli”, e la decisione spesso è scontata.

C’è comunque da tenere presente che “le donne non costituiscono un insieme omogeneo o una classe sociale ma che, per ognuna di loro, l’appartenenza di genere, sicuramente determinante, si contamina e si intreccia con le variabili socio-culturali, economiche, familiari e personali, da cui si originano quindi percorsi lavorativi e scelte di vita profondamente diversi”, ricorda Laura Ferrari Ruffino, vicepresidente dell’associazione Cora Roma Onlus, che si occupa di coordinare e realizza percorsi di orientamento e formazione per adulti, intervistata da TPI.

Credit: Suzie Blake / 2015

Secondo l’ultima indagine Istat, tra il 2016 e il 2017 è sì cresciuta la popolazione in età da lavoro, ma gli effetti della denatalità successiva al baby boom degli anni ’60-’70 hanno prodotto un assottigliamento delle classi più giovani, quelle fino a 40 anni, mentre sono cresciute quelle senior.

E, sempre dal 2016 al 2017, il livello del tasso di occupazione dei più anziani ha superato quello dei giovani (secondo i dati Istat il valore tendenziale delle assunzioni di persone sopra i 50 anni è aumentato del 4,3 per cento, contro quelle dei giovani dai 23 ai 34 anni aumentato dello 0,3 per cento).

A questo si deve aggiungere che, dal 1990 ad oggi, l’età pensionabile si è alzata da 60 fino a 66 anni per le donne e da 65 fino a 70 per gli uomini. 

Tra questi fattori ci sono le difficoltà economiche, gli impedimenti nella mobilità cittadina e, anche,  la presenza di genitori, che a loro volta lavorano ancora e non possono fornire l’aiuto necessario nella cura dei nipoti, o la preoccupazione per i famigliari anziani da accudire.

“Molte donne si trovano così ad essere madri e figlie e spesso si fanno carico da sole della cura e dell’assistenza dei propri genitori (o nonni) e, anche, dei parenti del proprio marito persino in caso di divorzio”, spiega Laura Ferrari Ruffino. Non solo come madri quindi, ma anche in quanto figlie, spesso, le donne si ritrovano a trovare naturale il dover scegliere tra il lavoro e gli affetti.

E continua “si affollano dentro di loro vissuti ed emozioni molteplici e contrastanti: sentimenti di completezza e gratificazione professionale intrecciati a sensi di colpa, condizioni di isolamento e insicurezza, e un’accumulo di stanchezza e responsabilità. Nei diversi contesti socio-lavorativi e al di sopra delle differenze professionali, familiari, sociali o storiche, le donne si presentano dunque come soggetti che sperimentano in forme e fasi della vita diverse, una pressione a scegliere che, se non significa necessariamente l’abbandono di una delle opzioni, richiede faticosi esercizi di equilibrismo e andirivieni tra i vari ambiti”.

La nostra società sta evolvendo verso il singolo, dimenticandosi della collettività e dei problemi sociali. In questo clima culturale è difficile che si rafforzi la volontà femminile in campo lavorativo. “Molte di loro si sentono sole e fragili e vivono l’essere madri come un compito insostenibile ma questo perché ancora mancano i servizi di sollievo alla maternità e alla genitorialità” denuncia la vicepresidente di Cora Onlus.

E, in effetti, anche la composizione della famiglia, negli anni, è profondamente cambiata. I nuclei famigliari sono sempre più piccoli e le donne si ritrovano molto spesso a farne fronte da sole senza, tuttavia, la possibilità di poter vivere la propria condizione di madri single e lavoratrici serenamente.

L’appello è prima di tutto alle istituzioni, che trovino il modo di cambiare questa tendenza. E, proprio nel Lazio, qualcosa si è mosso.

Si è chiuso a dicembre il bando “contratto di ricollocazione tempi di vita” un’opportunità per le donne che sono rimaste senza lavoro e hanno almeno un figlio minore a carico. Il contratto di ricollocazione, finanziato con 2,5 milioni di euro, è rivolto alle donne prive di impiego residenti nel Lazio con almeno un figlio minore a carico, di età inferiore a 6 anni compiuti.

E, ricorda a TPI l’assessora al lavoro e alle pari opportunità della regione Lazio Lucia Valente, “le donne che vengono scelte possono decidere tra l’inserimento in lavoro subordinato o l’aiuto per aprire nuova attività autonoma e, proprio per agevolare le mamme, abbiamo previsto anche dei voucher per nidi e per servizi di baby sitting durante la partecipazione del contratto”.

“Questa” continua l’assessora “è la nostra risposta ad una parte molto debole del lavoro, quella delle donne lavoratrici e madri che si ritrovano senza strumenti di assistenza famigliari e sono costrette a dimettersi; la regione Lazio è profondamente impegnata nella lotta per la parità e per sconfiggere retaggi culturali tuttora esistenti”.

Ma, secondo la vicepresidente di Cora Roma Onlus, non è ancora sufficiente. “Viviamo in un paese in cui per accedere agli asili nido – considerato servizio a richiesta – bisogna dimostrare di essere una lavoratrice. E in un momento in cui il lavoro è caratterizzato dalla precarietà e dall’insicurezza questo non è sempre possibile, così, senza avere modo di iscrivere i bambini al nido, la ricerca del lavoro è ulteriormente ostacolata”.

Credit: Suzie Blake / 2015

Parafrasando le parole di Cristina Borderias, sociologa esperta di percorsi di lavoro femminile, la compresenza in una donna di un istinto alla cura degli affetti e la volontà di realizzazione lavorativa non è una debolezza ma un elemento di forza che va conservato.

L’ingiustizia che la indebolisce profondamente sta nel momento in cui una donna viene posta di fronte ad un bivio e obbligata a scegliere. Ma è giusto che le donne rivendichino con forza la necessità e l’urgenza di mettere in una relazione le due sfere della propria vita, quella “privata” e quella professionale.

“La cura dell’esistenza non è eliminabile dalle nostre vite, è vitale in senso stretto. Siamo estremamente in basso anche a livello europeo ed extraeuropeo nel lavoro di cura, anche nella cura degli anziani” ricorda la vicepresidente di Cora che continua “nonostante questo lavoro non sia destinato a ridursi. Tende a crescere perché il sistema sociale ed economico sposta sui singoli individui nuove responsabilità, oltre l’invecchiamento progressivo della popolazione che farà aumentare il numero di persone dipendenti e bisognose di cura”.

Qual è dunque una possibile soluzione?

Una strada da percorrere è da ricercare oltre che con il sostegno delle istituzioni, anche nella riscoperta del senso di comunità e di aiuto reciproco.

“Vi salvate solo se vi unite” è il motto della vicepresidentessa di Cora Onlus. “Bisogna combattere per rompere l’isolamento e costruire alleanze. Ricercare nuove possibilità nelle relazione all’interno della comunità femminile – tra amiche, tra colleghe o vicine di casa – e, attraverso questo, acquisire finalmente una maggiore libertà”.  

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