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Sono tornato e lancio una sfida alla mia generazione: Brunori Sas racconta il nuovo album

Immagine di copertina

Dopo tre anni di silenzio, l'artista presenta il nuovo lavoro dal titolo "A casa tutto bene", frutto del ritiro con la sua band in un casale di campagna. L'intervista:

Dario Brunori è un cantautore italiano della provincia di Cosenza divenuto noto nel panorama italiano grazie allo pseudonimo Brunori Sas, mutuato dalla piccola ditta di famiglia attiva in Calabria.

Un successo raggiunto in poco tempo e l’arte di raccontare la vita di tutti in modo scanzonato e semplice, senza pretese o particolari velleità da star.

Brunori all’attivo vanta tre album: l’esordio discografico avviene nel 2009 con Brunori Sas Vol.1, seguono altri due album e l’incoronazione nel panorama nazionale con la produzione della colonna sonora del film È nata una star, il film di Lucio Pellegrini con Luciana Littizzetto e Rocco Papaleo del 2012.

Dopo tre anni di silenzio, l’artista presenta il nuovo lavoro dal titolo A casa tutto bene, frutto del ritiro con la sua band in un casale di campagna e di un confronto con sé stesso e la generazione che lo segue da tempo.

Un nuovo Dario Brunori che non rinnega il passato ma guarda avanti e segna il passo di un cambiamento influenzato dalle esperienze milanesi e da un sguardo più aperto al mondo.

Un Brunori nuovo di zecca, quello che si racconta a TPI.

Dario oggi ci appare più maturo, un uomo che prende posizione e lo fa attraverso le sue canzoni…

Con questo disco volevo dire delle cose e farlo in modo netto, in maniera diretta, in passato sono stato forse più moderato e i miei testi sono stati colorati maggiormente dall’ironia. Questa volta ho abdicato all’ironia per raccogliere delle considerazioni che sono il frutto di vari momenti distinti, come delle istantanee realizzate in periodi diversi.

Tre anni per dar vita a un disco-manifesto di un cambiamento. Ma siamo alla svolta?

La gestazione è durata un anno. Volevo un disco che mi rappresentasse, era necessario. C’era il desiderio di esplorare cose nuove, di emanciparsi dall’idea del cantautore con il “chitarrino” che si fa l’arrangiamento in sala. Volevo però essere credibile e il rischio di perdersi per strada c’è sempre, per questo ho tentato di mantenere una continuità col passato.

Ascoltando alcuni brani sembra che tu ti sia decisamente emancipato dalla definizione di semplice cantautore, di Rino Gaetano dei tempi d’oggi…

Me lo auguro, è importante avere dei riferimenti, ma se poi quegli accostamenti continuano ad emergere vuol dire che non hai trovato la tua strada.

I temi della paura e del coraggio sembrano dominare il disco, in alcuni brani è come se volessi lanciare una sfida a chi ti ascolta, a quella generazione che non ha saputo trovare il coraggio per accettare di assumersi delle responsabilità. Come mai ti sei concentrato su questo?

Il tema della responsabilità veniva fuori anche dagli spettacoli passati, ma calcavo maggiormente la mano sull’ironia. Questa volta è un disco molto poco ironico, volutamente, anche se mi rendo conto che è un atto di maturità essere ironici, volevo arrivasse in maniera diretta più che altro per me stesso. Sono parte di quella generazione cui fai riferimento e mi sono reso conto di una situazione che stiamo vivendo, di una certa rassegnazione allo stato delle cose. Ho sempre cercato di stimolare quella parte di noi che cerca di rimanere al calduccio, nel quieto vivere, per farla uscire allo scoperto.

 

Cresci a Guardia Piemontese, un piccolo borgo cosentino dal quale estrapoli molti modelli che hanno assunto il ruolo di personaggi delle tue canzoni. Sei sempre partito dal particolare per arrivare a raggiungere un pubblico più ampio. In questi anni senti di esserti allontanato da quel mondo?

Il mestiere che sto facendo mi ha portato ad uscire fuori da mio microcosmo e questo nuovo lavoro è la riprova che sto cercando di far dialogare due mondi: il mio passato ancorato a Guardia Piemontese e il presente che guarda Milano e le sue influenze.

La scelta di ritirarti in un casale e isolarti per un po’ con i tuoi musicisti è stata compiuta anche per dare maggiore spazio all’utilizzo degli strumenti nei tuoi pezzi. Un elemento che forse mancava…

Volevo creare maggiore equilibrio tra testo e musica e dare più spazio ai musicisti che lavorano con me. Sentivo l’esigenza di dover lavorare alla vecchia maniera e abbandonare l’estetica del minimalismo come accadeva agli esordi della mia carriera. Insieme agli altri musicisti abbiamo provato arrangiamenti diversi e, grazie al decisivo contributo del produttore Taketo Gohara,  siamo riusciti a creare un disco più movimentato.

Uno dei brani del nuovo disco si intitola Colpo di pistola: il brano è interessante perché dopo alcuni minuti spiazza l’ascoltatore con un finale tragico della romantica storia cantata. È il simbolo dell’intenzione di voler affrontare anche argomenti forti e molto seri come la violenza. Era giunto il momento?

Quando ho cominciato a scrivere c’era l’intenzione di mettermi maggiormente in discussione e così ho voluto cimentarmi in qualcosa di più complesso. È stato difficile portare a termine questo pezzo perché volevo l’atmosfera romantica data dalla musica, ma anche l’attrito del testo sperando di far uscire un buon connubio.

Senti di parlare a tutti?

In questo disco mi sono sforzato di parlare a tutti. La verità è un brano nel quale ho utilizzato un linguaggio scarnificato cercando di non apparire banale. Non ci sono giochi di parole troppo complessi o metafore. Mi interessava che l’approccio fosse diretto, rapido, cercando, però, di non sacrificare la qualità di quello che faccio. Volevo che il senso del disco fosse rivolto all’esterno, che fosse un album rivolto a tutti.

In questi anni il pubblico che ti segue è aumentato e ti apprezza. Ma qual è la tua idea del panorama italiano musicale?

Dipende da quale punto lo osserviamo. Certamente i cantautori indipendenti stanno emergendo, ci sono cose che in passato avevano difficoltà ad entrare nel mainstream. Ora le radio passano anche brani del famoso “indie” con gruppi che fanno buoni numeri anche senza la spinta dei media. In generale si può dire che è un buon periodo ma dipende dal punto di partenza che stiamo prendendo in considerazione.

Qualche disco si vende ancora?

Bisognerebbe cominciare a ragionare in modo diverso, non si può più pensare al disco come fonte economica per portare avanti il proprio progetto. Da un certo punto di vista si ascolta più musica, magari non se ne vende. Parliamo di numeri miseri. Ciononostante questa nuova modalità di ascolto della musica induce maggiormente le persone a partecipare ai concerti, decidendo sulla qualità dell’artista mediante gli ascolti free sul web.

Adesso a quale genere ti senti di appartenere? Se esiste…

Sin dall’inizio ho sempre pensato di fare canzoni alla portata di tutti ma è anche normale che si venga inquadrati, anche se ormai non esistono più barriere così nette. Penso sia giusto che non venga messo tutto nello stesso calderone e che le peculiarità emergano, secondo me si può fruire di musica senza barriere. Quando eravamo ragazzi noi questo aspetto ideologico era molto più importante. Oggi siamo al postmodernismo nella sua maggiore rappresentazione.

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