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Milano, la rivolta dei prof a noleggio nelle scuole (pubbliche) di Afol: “Sindacati complici”

Immagine di copertina
Credit: ANSA

Dopo vent'anni di precariato, dalla partecipata arriva proposta di assunzione in staff leasing. A TPI la testimonianza (e la lotta) di un'insegnante

Da settembre i professori potrebbero essere presi a noleggio, come si fa con le auto quando si va in vacanza o con gli abiti di lusso per partecipare a una cerimonia esclusiva. Il tutto per 12 ore di lavoro a settimana e uno stipendio di 400 euro netti al mese o poco più. È quanto dovrebbe succedere nei Centri di formazione professionale (Cfp) di Afol Metropolitana, le scuole professionalizzanti di Milano e dintorni che offrono percorsi triennali in diverse discipline – moda, acconciatura, estetica, meccanica, pasticceria, cucina – per garantire il diritto-dovere all’istruzione e formazione (Ddif).

Una proposta che, con l’inizio del nuovo anno scolastico, coinvolgerebbe circa 130 docenti dei Cfp meneghini, tutti precari storici. Ma una cinquantina di loro non ci sta, ed è già scesa in piazza tre volte negli ultimi mesi per attirare l’attenzione sulla propria condizione. Il volantino dell’ultimo presidio di protesta, lo scorso 25 giugno, immortalava un’aula scolastica. A uno studente che chiedeva di essere aiutato per entrare nel mondo del lavoro, il professore rispondeva: “Certo, e nel frattempo capiamo anche come rimanerci noi”.

Daria (nome di fantasia, ndr) è una delle insegnanti in rivolta: ha raccontato la sua storia a TPI. “Parlo a nome di tutti, quindi voglio mantenere l’anonimato”, esordisce. “Anche perché stiamo vivendo un clima pesante e vorrei evitare ritorsioni”, aggiunge.

Cos’è il Ddif – Introdotto nel 2005, il diritto-dovere all’istruzione e formazione prevede che tutti i giovani, anche se hanno assolto all’obbligo di istruzione (10 anni), proseguano il loro percorso formativo per altri due anni oppure, in alternativa, fino al conseguimento di una qualifica professionale (di durata almeno triennale) entro il diciottesimo anno di età. Questo per garantire a ogni persona l’opportunità di raggiungere, in linea  con le indicazioni dell’Unione europea, “livelli culturali che consentano di sviluppare capacità e competenze coerenti con le attitudini e le scelte personali, in vista di un adeguato inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro”, si legge in un documento diffuso dai docenti Afol per far luce sul loro ruolo.

Cos’è Afol Metropolitana e come funzionano i Cfp – Afol è un ente pubblico economico, altrimenti detto azienda speciale consortile (partecipata dalla Città metropolitana di Milano e da altri 67 comuni dell’hinterland). “Significa che è un ente pubblico, ma concorre sul mercato alla pari con aziende private”, spiega Daria. Si tratta di un’azienda impegnata in più settori: oltre ai Cfp, gestisce i centri per l’impiego, quelli legati alla distribuzione del reddito di cittadinanza. In tutto conta circa 550 dipendenti, 200 nelle scuole (tra docenti e personale amministrativo).

Nei Cfp accoglie ragazzi che arrivano dalle fasce più svantaggiate della popolazione, dalle periferie. L’offerta formativa di queste scuole è forse l’unica alternativa alla dispersione scolastica: “I centri di formazione professionale sono scuole pubbliche a tutti gli effetti, perché da noi gli studenti assolvono l’obbligo di formazione scolastica”, chiarisce la docente.

Per coprire le spese di funzionamento delle strutture, Afol deve ottenere dalla Regione Lombardia le cosiddette ‘doti’: ogni ragazzo iscritto a scuola vale circa 4.000 euro l’anno. Gli studenti disabili hanno diritto a una dote ulteriore di 3.000 euro per necessità di sostegno o di educatori aggiuntivi. Se lo studente smette di frequentare, la dote non è corrisposta, se viene bocciato invece è ridotta.

“Come Afol, anche altre realtà, come fondazioni o enti religiosi, propongono Centri di formazione professionale: per questo la nostra azienda dev’essere concorrenziale”, riprende Daria. “E come si fa a vincere la concorrenza? O si punta sulla qualità del servizio, oppure si abbassano i costi. Afol ha scelto la seconda opzione”, commenta amareggiata.

Una lunga storia di precariato – “Gli insegnanti Afol sono per il 95 per cento precari: chi da un anno, chi da venti”, prosegue la professoressa. “Qualcuno ha cominciato con partita Iva, altri con contratti co.co.co e co.co.pro. In ogni caso è tutto personale necessario: professionisti rinnovati da decenni perché l’offerta scolastica si regge sui loro sforzi”, illustra Daria. Poi precisa: “I nostri centri formano da sempre circa duemila ragazzi: il numero degli iscritti è stabile, perché la qualità del servizio è alta”.

Spiega che finora nessuno è mai stato licenziato, perché nessuno è superfluo: se c’è stata una riduzione dell’organico dipende dal fatto che chi ha trovato un altro lavoro si è allontanato spontaneamente, mentre chi è andato in pensione non è stato sostituito. “L’azienda Afol, per ridurre i costi, fa come tutte le aziende pubbliche:  blocca il turnover,  non assume personale, esternalizza le risorse. È una prassi ormai consolidata”, sospira.

Tempo determinato, conciliazioni, esternalizzazione – “Fino al 2015 le leggi anti-precariato sono state eluse: non si facevano contratti a tempo determinato che durassero tre anni perché altrimenti sarebbero poi stati obbligati ad assumere a tempo indeterminato”, racconta.

“Ci hanno fatto firmare anche più conciliazioni: accordi siglati dai lavoratori e dal datore di lavoro, sottoscritti dai sindacati,  in virtù dei quali il lavoratore rinuncia alla carriera pregressa e ottiene in cambio, in teoria, una contropartita in denaro. Alcuni di noi hanno ricevuto un bonus di 350 euro netti: una cifra ridicola per rinunciare a qualcosa di importante quanto la carriera pregressa. Per altri non si è nemmeno accennato ai soldi. E non è stato spiegato che cosa fosse la conciliazione: abbiamo capito tutto dopo, purtroppo. Le cose sono state gestite in modo opaco, diciamo così” denuncia Daria.

Dopo le conciliazioni è stato come ricominciare da capo, era possibile riproporre contratti a termine. Nel 2017, però, questa soluzione non è stata più praticabile. Così Afol ha optato per il lavoro somministrato: “Formalmente siamo diventati dipendenti di un’agenzia interinale chiamata Oasi, ma lavoriamo per l’utilizzatore Afol. Ovviamente si tratta di un servizio che dev’essere pagato all’agenzia. Afol dice di aver fatto questa scelta per risparmiare, ma i contratti in somministrazione costano di più: si deve pagare il dipendente e anche la commissione all’agenzia. Il risparmio vero è stato realizzato in altro modo: riducendo del 40 per cento l’orario dei docenti. Il che significa il 40 per cento in meno di stipendio per noi. E quando qualcuno ha fatto notare la cosa al direttore generale, la risposta è stata: ‘Preferisce così o preferisce zero?’”, ricorda la professoressa.

Il direttore generale di Afol, Giuseppe Zingale – Il nome del direttore generale di Afol, Giuseppe Zingale, è tra gli oltre cento indagati nell’ambito di ‘Mensa dei poveri’, la recente inchiesta della Direzione distrettuale antimafia (Dda), su presunte tangenti e corruzione nel nord Italia. Zingale è indagato per istigazione alla corruzione del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana (a sua volta indagato per abuso d’ufficio). A fine maggio, il Tribunale del Riesame di Milano ha confermato per Zingale l’obbligo di firma.

Ma i docenti dei Cfp Afol chiedono che la loro situazione venga affrontata a prescindere dalle vicissitudini giudiziarie di Zingale. Per loro la sua colpa più grande sta nell’aver svilito il lavoro svolto nelle scuole, remunerando, da due anni a questa parte, solo le ore di lezione frontale: così facendo, il tempo necessario per riunioni, correzioni e per la preparazione dei docenti non conta.

Il Decreto Dignità e la proposta di staff leasing “Il Decreto Dignità ha messo paletti ancora più rigidi rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato: ora scatterebbero automaticamente dopo 24 mesi di contratto determinato”, riattacca Daria. “Nasce con l’obiettivo di favorire stabilizzazioni, ma viene usato come arma a doppio taglio. Per non farci accumulare questi due anni di indeterminato, dopo due contratti consecutivi da nove mesi l’uno, in cui d’estate non abbiamo ricevuto stipendio, si sono inventati di farci lavorare in staff leasing, ossia noleggiando le nostre prestazioni professionali senza poi avere l’obbligo di assumerci”, incalza la docente.

“I nostri contratti sono scaduti il 31 maggio 2019. Il 7 maggio, quando già cominciavamo a domandarci come avremmo pagato la spesa e le bollette il mese dopo, ci è stata sottoposta quest’offerta: da settembre tutti assunti a tempo indeterminato dall’agenzia, con un contratto part-time al 30 per cento, per un totale di 12 ore settimanali e uno stipendio da 400 euro netti al mese. Questa proposta di pre-intesa è stata rifiutata: gli insegnanti sono il fulcro della scuola, non qualcosa di accessorio che si noleggia. Un paio di settimane dopo, durante l’assemblea del 21 maggio, ci è stato chiesto di sottoscrivere un accordo identico al documento appena bocciato. I sindacati hanno dato la colpa a noi lavoratori. Hanno ribadito più volte che, poiché noi avevamo parlato alla stampa  della situazione,  Zingale si era irritato: si è irrigidito e non ha voluto modificare la proposta di una virgola. Siamo capricciosi, secondo loro, perché rifiutiamo il tanto agognato contratto indeterminato”, dice Daria.

La lotta contro i vertici aziendali e contro i sindacati – “La verità è che non ci possono obbligare a scegliere tra 400 euro al mese e la disoccupazione. Era una proposta talmente indegna da essere invotabile, così circa 45 dei 90 dipendenti presenti hanno lasciato l’assemblea prima del voto”, si accende la prof. “Purtroppo però non esiste quorum, quindi i sindacati hanno approfittato della situazione: l’accordo è stato approvato con 31 voti favorevoli e 11 contrari”, ripete indignata.

“Dicono che in democrazia funzioni così: in realtà se ne sono infischiati del nostro gesto di protesta. Stiamo parlando di sindacati che non ci rappresentano: in quanto precari, non abbiamo avuto voce in capitolo nella loro elezione. Sono gli stessi che ci avrebbero dovuto difendere in tutti questi anni di precariato: anni in cui non è stata portata avanti nessuna lotta. Ora hanno passato il segno”, attacca.

L’accordo è stato ratificato il 12 giugno: al momento è valido per tutti i precari dei Cfp Afol, volenti o nolenti. Ma lo zoccolo duro dei docenti continua a sperare che l’azienda cambi parere prima del nuovo anno scolastico e proceda ad assunzioni dirette con contratto indeterminato.

Le motivazioni di Afol –“Dal canto suo, finora, Afol ai lavoratori ha risposto che non ci sono abbastanza soldi e che l’azienda non può prendersi il rischio di assumere a tempo indeterminato docenti che l’anno successivo potrebbero non servire più”, riassume Daria.

“Ma Afol gestisce i centri con soldi pubblici che le vengono girati dalla Regione”, puntualizza la donna, “e stando alle previsioni di bilancio pubblicate sul sito, per il 2019 le prestazioni Ddif dovrebbero valere più di 8 milioni di euro”. “Peraltro io lavoro qui da quasi 10 anni: non ho mai visto una diminuzione sensibile degli iscritti, il rischio è calcolato”, risponde indirettamente all’azienda.

L’azione di protesta dei lavoratori non si ferma: hanno diffidato ufficialmente la Rsu aziendale, dichiarando che non si sentono rappresentati dai sindacati interni, e hanno consegnato una lettera che riassume le loro istanze direttamente nelle mani del sindaco Beppe Sala. Proprio un decreto del sindaco, martedì 9 luglio, ha portato qualche novità nei vertici Afol: Maurizio Ferruccio Del Conte sarà il nuovo presidente, mentre Pietro Ichino rappresenterà Palazzo Marino in consiglio d’amministrazione. Cambiamenti in vista anche per i docenti dei Cfp? “Speriamo, ma al momento nessuno ci ha ancora chiamati per sondare la nostra disponibilità per il prossimo anno”, conclude Daria.

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