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Home » News

Cose di cui un sito di news non può fare a meno

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Qui c'è una lista di utili funzioni che possono migliorare notevolmente la user experience dei lettori, sfruttando le opportunità offerte dalla tecnologia

La tecnologia è fondamentale nella ricerca della sostenibilità da parte dei giornali. La lista che segue raccoglie alcune delle funzioni con cui ogni giornale digitale dovrebbe sperimentare: non comprende né verità assolute, né innovazioni rivoluzionarie, ma solo alcuni semplici suggerimenti che possono migliorare la user experience online dei lettori, sfruttando le opportunità offerte dalla tecnologia.

1) Personalizzazione della homepage

Marco vuole essere aggiornato sui maggiori eventi internazionali, ma non è interessato a quello che succede nella sua città; Giulia, invece, divora articoli di tecnologia e innovazione, ma non ha alcun interesse per la finanza; Laura, dal canto suo, legge con piacere gli editoriali, ma molto meno volentieri gli articoli che trattano di scienza o sport. Tutti, comunque, vogliono leggere le notizie in poco tempo. Quello che occorre fare, quindi, è eliminare quanto più possibile il “rumore”. Perché, come lettori, dovremmo entrare in contatto ogni giorno con argomenti che non ci interessano? Per quale ragione dovremmo sempre seguire il sentiero prestabilito da una redazione invece che le nostre preferenze personali? Del resto, è quanto facciamo già ogni giorno, curando i nostri feed su Facebook o Twitter.

I giornali online dovrebbero offrire alle loro audience la possibilità di personalizzare le homepage, dando ai lettori il potere di scegliere quali argomenti, tag, sezioni, contenuti o autori seguire e quali, invece, nascondere. La app del Guardian, in questo senso, sta già sperimentando.

Le homepage stanno perdendo progressivamente la loro rilevanza: diamo loro ancora un’ultima opportunità di essere portali importanti e godibili per l’accesso alle news. La vera sfida? Fornire delle esperienze di lettura personalizzate senza dare vita a “filter bubble” simili a quelli che incontriamo su Facebook. Allo stesso tempo, è importante che le testate mantengano la voce editoriale che le rende giornalisticamente riconoscibili.

2) Newsboard social

I giornali migliori, di solito, sono sorretti da comunità di persone che condividono gli stessi interessi, le stesse visioni sulla politica e la società, le stesse città o regioni di residenza o la stessa fascia di età. Per tutte queste ragioni, i giornali devono agire più come social network, invece che come semplici piattaforme di produzione e distribuzione delle notizie.

Personalmente, mi piacerebbe scoprire quali altri utenti leggono gli stessi articoli che leggo io, quali hanno apprezzato, quali consiglierebbero e quali sono i loro pensieri su quanto hanno letto. Vorrei anche ricevere suggerimenti di lettura da altri membri. Perché, quindi, non creare una “comunità di curatori” che si organizza e si alimenta autonomamente? Per raggiungere questo obiettivo, le tradizionali sezioni dei commenti non sono abbastanza.

Costruire una comunità tangibile potrebbe migliorare sensibilmente la rilevanza di una testata tra i suoi membri. Quello che serve, quindi, è dare nuova forma al modo in cui discutiamo online e sono curioso di vedere quale sarà il risultato finale di Coral Project, un progetto congiunto tra Washington Post, New York Times e Knight-Mozilla OpenNews. Allo stesso tempo, occorre immaginare nuove possibilità di interazione sociale e collegamento tra gli utenti.

3) Breaking come “snack”

Oggi, il consumo delle notizie si svolge in pochi secondi e avviene soprattutto da mobile e mentre siamo impegnati in un’altra attività. Durante questo processo molto veloce e frammentato, ogni minuto speso a leggere informazioni che abbiamo già ricevuto o che già conosciamo è una perdita di tempo: per questa ragione mi piacerebbe vedere articoli dove i “pezzi” di notizia che non ho ancora ricevuto siano piazzati nella parte alta dello schermo, mentre quelli che non sono più rilevanti per me, invece, vengano nascosti o posizionati solo sul fondo della pagina. Di conseguenza, le breaking news devono essere come “snack”, servite al lettore a piccole dosi, specialmente nel caso di storie in continua evoluzione.

Le news in forma di snack sono qualcosa che l’app Circa è riuscita a sperimentare in modo brillante negli ultimi due anni, pur senza – e purtroppo – riuscire a trovare un modo efficace di mantenere il suo business sostenibile dopo il primo giro di finanziamenti. Ovviamente, l’atomizzazione delle news non può funzionare con qualsiasi tipo di contenuto: a volte, infatti, occorre avere la prospettiva più completa possibile, serve più contesto. Forse è proprio questo che è mancato a Circa, la cui attività è da ieri ufficialmente conclusa, e per questo mi piacerebbe che l’esperienza dell’app di Anthony De Rosa venisse replicata da qualche grande testata. Potrebbe essere molto divertente.

4) Bacheche di articoli a seconda dell’umore

Gli “articoli correlati” non sono sempre il modo migliore per scoprire nuovi contenuti interessanti. Anzi, raramente funzionano e questo avviene per una varietà di ragioni: spesso suggeriscono articoli troppo vecchi, troppo ripetitivi, troppo lontani dalle nostre preferenze o ancora troppo distanti a livello di argomento rispetto a quello che stiamo leggendo. Se lavorassi all’architettura dell’informazione di un sito di news, lo considererei un fallimento: ogni pagina che non porta un nuovo click è infatti da considerarsi un’opportunità persa.

I giornali dovrebbero trovare nuovi modi di linkare i contenuti e creare relazioni alternative tra gli articoli. La mia idea? Bacheche di articoli organizzate in base all’umore, come avviene con le moodboards del cinema. Playlist, dunque, che si intrecciano tra di loro non in base all’argomento trattato, quanto piuttosto al mood narrativo o alla reazione che potrebbero provocare in chi legge: piacere, rabbia, indignazione, entusiasmo, compassione e via dicendo. Questo potrebbe funzionare bene soprattutto con gli articoli più lunghi e con un approccio più “slow”, per portare alla creazione di relazioni empatiche tra i lettori.

5) Tecnologie di streaming testuale

I device da cui leggiamo le news stanno diventando sempre più piccoli e i siti, di conseguenza, si fanno sempre più responsive (un aspetto premiato ora anche da Google). Ma come ripenseremo i testi quando gli smartwatch, gli smartglasses e altri wereable saranno diffusi quanto gli smartphone oggi?

Una possibile soluzione è rappresentata dalle tecnologie di streaming testuale. Spritz, un servizio già installato di default sull’app iOS ufficiale dell’Huffington Post, è probabilmente la più nota. Questo software trasmette in streaming il testo sullo schermo una parola alla volta, senza costringerci a muovere gli occhi: uno sforzo che, a detta degli sviluppatori di Spritz, è l’impegno maggiore che ci viene richiesto quando leggiamo. Questa soluzione ci libera dal bisogno di dover interagire con lo schermo usando le dita, dando anche la possibilità di cambiare la frequenza dello streaming. Spritz è una tecnologia molto facile da usare e molto efficace, soprattutto nel caso di articoli dalla struttura narrativa semplice. Si può provare qui.

6) Articoli embeddabili

Come regola generale, i contenuti giornalistici ottengono un valore (e un impatto) maggiore quando hanno una distribuzione ampia e raggiungono, quindi, un’audience più grande. Di conseguenza, se i video – e sempre più spesso anche i podcast e le mappe – sono capaci di “viaggiare” liberamente da un sito all’altro grazie all’embedding, perché gli articoli non dovrebbero avere la stessa opportunità? Ovviamente, dobbiamo prima trovare un modo per far sì che i contenuti testuali siano profittevoli anche fuori dai confini del sito che li ha pubblicati originariamente. In questo senso, Jeff Jarvis suggerisce un modello che lui chiama “reverse syndication”:

In ogni caso, ci sono anche altre ragioni per le quali i contenuti possono ottenere valore mentre viaggiano per il web: Vox, ad esempio, ha da poco presentato una nuova funzione che consente ad altre testate di embeddare le loro “card” gratuitamente nei propri contenuti. Queste “card” sono collezioni di informazioni verificate su una quantità molto ampia di argomenti, dai vaccini alla net neutrality, e rappresentano un modo interessante e semplice per gli editori di aggiungere contesto e spiegazioni ad una storia senza dover far fare tutto il lavoro internamente alla redazione.

Le “card”, per quanto siano fruibili integralmente nella modabilità “embedded” contengono molti link che puntano a Vox, e mantengono il logo della testata di Ezra Klein ben visibile agli occhi dei lettori. Questa, di fatto, è pubblicità; questo è posizionamento del brand. Dobbiamo ancora scoprire nuovi modi per monetizzare tali strategie, ma la mia previsione per il futuro è che la tendenza di disseminare i propri contenuti su altre piattaforme, o testate, sarà sempre più accentuata.

7) Notifiche push geolocalizzate

A meno che tu non sia un fantasma o un’entità spirituale, *sei* fisicamente ubicato in un luogo. Giornalisticamente parlando, questo significa che potresti essere interessato a quello che succede attorno a te, nella città in cui vivi o in quella che stai visitando.

Questa è la ragione per cui il giornalismo locale è stato inventato; ed è anche il motivo per cui i giornali devono riuscire ad aggiornarci su quello che succede vicino a noi, in particolare da mobile. Non sempre ci riescono. Io utilizzo numerose app per le news: da quella di Vice News a quella del Guardian, passando per Business Insider. Sono ottime, ma a volte ricevo notifiche che non mi dicono nulla. Eppure, il Guardian insiste nel volermi inviare alert sulle ultime notizie che riguardano la politica interna inglese: le opzioni di personalizzazione, qui, sono minime.

Cosa succederebbe se, al contrario, potessi ricevere notifiche geolocalizzate? Se fornissimo ai lettori il potere di ricevere (pochi) aggiornamenti push su news che riguardano la loro zona, di residenza o di interesse, miglioreremmo senz’altro la loro esperienza con il prodotto, aumentando anche le possibilità che clicchino e leggano gli articoli per intero. Questo signica davvero “andare dove sono i lettori”.

8) Shareline ed evidenziatori

Quando condividono un articolo sui social, siti di news come BuzzFeed o Upworthy sperimentano con titoli e immagini diversi, nel tentativo di capire quali funzionano meglio. Un comportamento simile si sta diffondendo anche tra gli utenti stessi, che spesso estrapolano citazioni dagli articoli per aumentare le condivisioni dei loro post sui social media o adattano i titoli per chiarire meglio come mai stanno condividendo quell’articolo. Per questo motivo, dal mio punto di vista, i giornali dovrebbero offrire loro strumenti migliori, per consentirgli di presentare i contenuti che vogliono condividere nel modo che preferiscono.

In occasione del suo ultimo re-design, il Los Angeles Times ha implementato la funzione Sharelines, che il giornale ha definito come “brevi post social pre-scritti embeddati negli articoli che possono essere condivisi sui social in pochi click”. Questo plug-in è apparso anche su Mashable, Forbes e altre testate e si può installare sul proprio sito per meno di 20 dollari.

Un’altra funzione è l’Highlight, attraverso cui possiamo “sottolineare” parti di un articolo (un paragrafo, una frase, una parola) rendendole immediatamente condivisibili. Se non mi sbaglio, l’Highlight è stato sperimentato inizialmente da Quartz nel 2014; oggi è molto utilizzato su Medium. Non so se queste funzioni diventeranno molto diffuse tra i giornali online. Mi piacerebbe tuttavia vedere simili esperienze di condivisione social migliorate costantemente attraverso nuovi strumenti e idee creative.

L’articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Europeo di Giornalismo – EJO. Di Valerio Bassan  

* Valerio Bassan è giornalista, autore e ricercatore. È coordinatore di Newslab, osservatorio italiano sul futuro dell’informazione, presso la scuola di giornalismo dell’Università Cattolica. A Berlino ha fondato Il Mitte, il primo quotidiano online per italofoni in Germania. Ha scritto “Tutta un’altra notizia” (goWare, 2013) e curato l’edizione italiana dell’ebook di Jeff Jarvis “Gutenberg il geek”. 

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