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Ecco dove nasce lo champagne

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Tra mito e leggenda, il viaggio di Lavinia Orefici alla scoperta della storia dello champagne

“Remember gentlemen, it’s not just France we are fighting for, it’s champagne! – “Ricordatevi signori, non combattiamo solamente per la Francia, ma per il suo champagne!”.

Sono le parole di Winston Churchill agli inglesi per ricordar loro in tempo di guerra, che persino i più alti valori morali possono essere al servizio di uno dei più grandi tesori di Francia. Lo champagne. 

La culla del vino dei re, battezzato così perché immancabile sulle tavole di corte nel corso dei secoli, si trova nel nordest del paese, a un centinaio di chilometri da Parigi.

Reims è una delle due capitali dello champagne, l’altra è Eparnay, 20 minuti più a sud e più piccola, attraversata da Avenue du Champagne, dove hanno sede alcune delle cantine più prestigiose del mondo.

Sia Reims che Eparnay dal 2015 sono Patrimonio Mondiale dell’Unesco, così come lo sono diventati tutti i “coteaux, maisons et caves de champagne” che sorgono in quei 30mila ettari di vigna. 

All’origine del mito c’è un prete. La leggenda racconta che nel Diciassettesimo secolo sulla collina di Hautvillers il monaco benedettino Dom Pérignon scoprendo la bevanda magica avrebbe esclamato “Venez mes frères, je bois des étoiles“, venite fratelli, sto bevendo le stelle.

La realtà, al contrario delle favole, è molto meno romantica e attribuisce al frate, cellario dell’abbazia del villaggio che sorge a metà strada tra Reims ed Eparnay, qualche merito tecnico per una miglior conservazione dello champagne, nuovi metodi e nuovi materiali di cui era venuto a conoscenza grazie al grande flusso di pellegrini per le colline della regione.

Morì e fu sepolto, dove ancora oggi riposa, nel coro dell’abbazia del villaggio, nel 1715. A distanza di tre secoli il borgo di Hautvillers, che conta nemmeno mille abitanti, un paesaggio che sembra fermo e immobile nel tempo e alle cui pendici sono nate le vigne più antiche del paese, rimane una tappa obbligata nel pellegrinaggio di tutti i buongustai.

Un meritato bicchiere in suo onore lo potete bere ai tavoli di “Au 36” di Rue Dom Perignon.

In realtà, ci spiega Isabelle Pierre, storica della maison Veuve Clicquot, sono stati i romani, secoli e secoli prima, a importare le prime vigne, dando così origine a una millenaria cultura del vino nella regione.

Già nel medio evo i villaggi di Bouzy e Verzy erano conosciuti per l’eccellente qualità, ma è nel corso del 1700 che alcune famiglie si affermano come produttori di champagne, trasformandosi poi nelle grandi maison che tutt’oggi conosciamo.

La prima fu Ruinart, nel 1729. Seguirono Moët, che a distanza di alcuni anni si unì a Chandon, Clicquot nel 1772, Roederer nel 1776 e così via le altre.

Nomi e cognomi che raccontano storie, che hanno legato la loro fortuna ad aneddoti, che col tempo sono diventati miti e garanzia di un’eccellenza francese inimitabile nel mondo grazie a una legge risalente agli inizi dello scorso secolo: l’Aoc, l’Appellation d’origine controllé, ovvero la denominazione controllata secondo cui solo quei vini provenienti dalle terre che si estendono tra Reims ed Eparnay possono essere battezzati champagne. 

È stata una donna a rivoluzionare questa industria. Nemmeno 30enne, Barbara Ponsardin rimane vedova di François Clicquot, figlio del fondatore dell’omonima cantina, e decide di prendere in mano le redini dell’azienda. Innova prodotto, metodi e introduce un elemento rivoluzionario: la tavola di rémuage, un supporto che permette di mantenere la bottiglia a un’inclinazione perfetta per far scendere progressivamente verso il tappo i sedimenti all’interno della bottiglia per poi eliminarli successivamente.

Nessuna tecnologia è riuscita a sostituire questa tavola, sono ancora gli uomini a far ruotare di un quarto tutti i giorni le bottiglie che affollano le cantine della Champagne. In alcuni casi è una macchina a svolgere il lavoro al loro posto, ma sicuramente non è una mano meccanica a ruotare le bottiglie più pregiate.

La vedova Clicquot regala agli intenditori anche una nuova sfumatura di questo vino pregiato, il rosé. I precedenti erano fatti con bacche di sambuco, senza stile e poco sofisticati per essere degni di un re.

Alla sua morte nel 1866 la maison ha già conquistato Russia, Cina, Giappone e perfino l’Australia, ma il mercato più antico rimane l’Italia. La prima spedizione venne fatta, proprio nell’anno della nascita della cantina, verso Venezia.

L’eredità viene raccolta del socio della vedova Cliquot, che qualche anno dopo ribattezza la cantina in suo onore Veuve Clicquot Ponsardin e introduce l’ormai inconfondibile “etichetta gialla”. 

La storia del marchio si può rivivere visitando la sede alla periferia di Reims, la città che ha incoronato 25 re di Francia.

È solo camminando nel villaggio sotterraneo della cantina, formato da un labirinto di 24 chilometri di gallerie e ricavato in una ex miniera di gesso, le cosiddette crayère conosciute fin dal medio evo di cui la zona è ricca, che si può ammirare da vicino la straordinaria, particolare e delicata lavorazione dello champagne.

La ricetta di ogni annata, che comprende l’utilizzo di tre uvaggi (Meunier, Chardonnay e Pinot nero) separati in tini a seconda dell’appezzamento da cui provengono, viene creata dallo Chef de Cave, un Ducasse delle bollicine, e il suo team di enologi nel mese di novembre.

È il momento più importante di tutto il procedimento. Si chiama ‘assemblage‘, assemblaggio, e avviene in base alla vendemmia, serve il tocco magico del maestro per trasformarne una vendemmia in un’ottima annata. 

Queste vigne crescono già su selezionatissimi terreni di proprietà delle aziende. Nel caso di Veuve Clicquot i suoi sono solo grand cru o premier cru, ovvero i migliori, ma la richiesta di champagne nel mondo è tale da costringere le cantine a comprare uva da altri agricoltori per poter soddisfare un mercato in cui la domanda di bollicine sembra destinata a non sgonfiarsi mai.

Oggi Veuve Clicquot è una delle 70 aziende extra lusso che compongono l’impero di Bernard Arnault. Il suo gruppo, Lvmh, controlla l’eccellenza in ogni settore: moda, alcolici, gioielli, informazione… e lo rende uno dei leader mondiali nella macchina del lusso con un fatturato da miliardi di euro.

Nell’altra capitale dello Champagne, nell’omonima Avenue su cui si affacciano le cantine che tanto riempiono di orgoglio la Francia, il gruppo possiede la maison Moët & Chandon, cui fa capo una delle etichette più conosciute e famose del mondo, il Dom Pérignon.

Madame de Pompadour raffinata amante di Luigi XV prediligeva lo champagne Moët a corte e, per un vino all’altezza di re, l’accoglienza riservata dalla maison ai suoi clienti non è da meno.

Una visita guidata vi impedisce di perdervi tra i 28 chilometri di sotterranei in cui riposano milioni di bottiglie in attesa di completare il lungo percorso che le porterà sul mercato in oltre 170 paesi.

Un labirinto di gesso, in cui temperatura e umidità rimangono costanti tutto l’anno e offrono le condizioni perfette alla maturazione dei vini più raffinati, attraversato dalla storia. È intitolata a Napoleano Bonaparte, passato di là, la galleria più antica della cantina.

Capostipite della dinastia è stato Claude Moët. Il nipote Jean-Remy, curioso e lungimirante, diventò ambasciatore della maison trasformando la cantina in un crocevia della nobiltà europea. E poi furono il figlio Victor e il genero Pierre-Gabriel Chandon a proseguire la strada verso la gloria internazionale dando origine al marchio Moët & Chandon.

Nato da una leggenda, lo champagne, ha da sempre rappresentato il lato migliore della vita; ha ispirato artisti, consacrato ogni ricorrenza, incoronato i re, celebrato i vincenti e consolato gli sconfitti. È l’invitato d’onore che benedice ogni festa. È la garanzia di un sorriso del mondo che si incontra e si augura ogni bene. Cin cin! 

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