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Sposa a 9 anni

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Una legge potrebbe legalizzare lo stupro familiare e permettere agli uomini di sposare bambine di 9 anni

Una nuova bozza di legge rischia di peggiorare ulteriormente la situazione dei diritti delle donne e dei minori in Iraq. La “Jaafari personal status law“, dal nome del sesto Imam ai cui precetti si ispirerebbe, è attualmente in discussione in parlamento e riguarderebbe la popolazione sciita del paese (circa il 55 per cento).

S&D

Una sua approvazione porterebbe alla legalizzazione dello stupro familiare, all’abbassamento dell’età matrimoniale a 9 anni per le femmine e 15 per i maschi e a numerose restrizioni che ridurrebbero le donne in un vero e proprio stato di segregazione. Queste ultime infatti non potrebbero più uscire di casa senza il permesso del marito, non otterrebbero la custodia dei figli in caso di divorzio e sarebbero obbligate ad avere rapporti sessuali con i propri coniugi.

«È una legge – spiega Claudio Lo Jacono, storico, islamista e Presidente dell’Istituto per l’Oriente – che cerca giustificazione nella diatriba storica intorno all’età di Aisha, terza moglie del profeta Maometto, che, secondo alcuni, avrebbe avuto nove anni al momento della consumazione del matrimonio. A parte il fatto che non esistono conferme al riguardo, è ridicolo che si usi un episodio risalente al settimo secolo per giustificare una legge scellerata».

La volontà del governo, guidato dal primo ministro Nuri Al-Maliki, è quella di lavorare sulla “pancia” dell’elettorato per ottenere consenso, stimolando il sentimento identitario come atto d’indipendenza dall’Occidente.

«Il conflitto che dal 2003 ha stravolto il Paese – continua Lo Jacono – ha risvegliato nei cittadini iracheni un forte risentimento nei confronti delle potenze occidentali. Questa legge va letta come un atto di ribellione che, altrimenti, non avrebbe mai attecchito in uno degli stati più laicizzati del Medio Oriente. L’intento del governo è quello di rintracciare e indirizzare in proprio favore il malcontento delle masse e delle frange legate al fondamentalismo islamico. Un parallelo con l’Afghanistan? Direi che è l’esempio più calzante».

La legge, dice Human Rights, violerebbe infatti la “Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne” del 1986 e la “Convenzione sui diritti dei bambini” del 1994, entrambe ratificate dallo stato iracheno. «Quelle convenzioni – spiega Lo Jacono – non hanno alcun valore in questo momento storico. Anzi, sono viste come un’imposizione occidentale».

La legge rappresenta anche uno spot elettorale per Al-Maliki in vista delle elezioni politiche del 30 aprile, ma le associazioni attente alla salvaguardia dei diritti civili si stanno già muovendo per opporsi alla proposta governativa. «Questa tendenza verso un settarismo ideologico – dice Martina Pignatti Morano, presidente dell’associazione di volontariato “Un Ponte per…”, – è preoccupante e si è rafforzata dall’inizio del conflitto. Vedove che hanno perso il marito in guerra sono state costrette a mendicare o prostituirsi per poter sopravvivere e già dalle scuole elementari maschi e femmine vengono divisi».

Come racconta Pignatti, il fenomeno è in preoccupante aumento e le soluzioni tutte a lungo termine: «Solo adesso si iniziano a ottenere risultati dal punto di vista politico, con liste civiche impegnate su queste tematiche che hanno riscosso successo alle ultime elezioni locali. A livello culturale, poi, è necessario dare il via a una vera e propria battaglia per l’emancipazione della donna».

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