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La scuola in Libia che resiste all’Isis

Immagine di copertina

L'istituto scolastico sorge nell'area più pericolosa di Bengasi, dove l'esercito regolare e milizie islamiche si fronteggiano da mesi

In uno dei quartieri più poveri di Bengasi, in Libia, c’è una scuola che sorge proprio sulla linea del fronte di guerra. La preside Fauzia Muktar Abeid con coraggio sta tentando di tenerla aperta, nonostante i bombardamenti frequenti e il fuoco dei cecchini a pochi passi.

S&D

“Ho paura, tanta paura che qualche granata possa colpire l’edificio e cadere sulle nostre teste. Accanto all’edificio scolastico si trova anche una moschea. Non molto tempo fa venne colpita da una bomba, mentre alcuni studenti erano intenti a fare lezione e studiare il Corano” ha raccontato la dirigente scolastica alla Bbc. “Alcuni frammenti dell’ordigno sono arrivati vicino ad alcuni bambini, sfiorando la gamba di uno di loro e tranciandola di netto. E’ stato terrificante”. 

Fauzia Muktar ha tutte le ragioni per aver paura. La scuola sorge nel quartiere di al-Sulmaini a Bengasi, abitato in prevalenza da famiglie di operai. Dal 2014 a oggi, la zona è stata teatro di numerosi scontri tra forze dell’esercito libico e miliziani dell’Isis. A meno di un chilometro dal cortile della scuola, tra le rovine degli edifici bombardati, si nascondevano fino a poco tempo fa combattenti del sedicente Stato Islamico e delle altre milizie islamiche. 

Dall’inizio dei combattimenti, le famiglie benestanti che mandavano i loro figli nelle scuole private dislocate nella zona hanno abbandonato le loro abitazioni, mentre i bambini più poveri non hanno avuto molta scelta di scampare alle bombe e ai proiettili. L’unico riparo più o meno sicuro per loro erano le proprie abitazioni. 

La scuola è stata costretta a chiudere i battenti nel maggio del 2014, quando l’intera area di al-Sulmani è stata coinvolta nell’offensiva denominata operation dignity promossa dall’esercito libico e destinata a ripulire Bengasi e i quartieri limitrofi dalle milizie islamiste. 

I bambini sopravvissuti alle bombe e ai cecchini per mesi non sono potuti andare a scuola, poiché l’edificio era stato seriamente danneggiato dai bombardamenti. Un anno dopo, nel maggio del 2015, un gruppo di genitori e i loro figli hanno iniziato a chiedere con crescente insistenza che la scuola fosse riaperta. 

I danni causati dal conflitto erano piuttosto ingenti, ma nonostante le difficoltà la voglia di tornare sui banchi di scuola era più forte. I genitori hanno istituito così un fondo per pagare le riparazioni. “Alcune famiglie hanno donato 50 dinari (circa 35 euro), altri genitori hanno donato tutto ciò che potevano, 20 o 5 dinari” ha raccontato Hassan Omar, membro del consiglio scolastico locale. “Alla fine abbiamo raccolto circa mille dinari (circa 800 euro) dalle famiglie locali, e altri 3 mila dinari (2.200 euro) dal comitato di crisi del governo”. 

I soldi raccolti sono stati impiegati per i lavori di ripristino dei vetri andati in frantumi, per la ricostruzione di muri portanti crollati in parte. Per consentire ai bambini di riprendere in maniera regolare le lezioni, gli operai hanno praticato un buco nel muro sul retro della scuola garantendo agli studenti di raggiungere le loro aule attraverso una via più sicura, al riparo da pericoli. “Ci sono ancora dei cecchini appostati sugli edifici adiacenti la scuola, a circa 3 km, quindi abbiamo creato un passaggio segreto per evitare eventuali problemi” ha precisato l’uomo. 

(Qui sotto il passaggio realizzato sul muro nel retro della scuola che mette i bambini al riparo da cecchini o bombe)

La scuola ha riaperto i battenti nel mese di dicembre del 2015. Anche se l’energia elettrica va e viene a intermittenza e non tutti gli insegnanti hanno ripreso a insegnare per timore che l’edificio possa essere ancora un punto di riferimento per militanti islamici. L’unica ad aver accettato di oltrepassare la soglia dell’edificio sventrato è stata Fauzia Muktar Abeid.

Prima che la scuola venisse chiusa, Fauzia Muktar era la preside dell’istituto. Prossima alla pensione e con dei figli adulti, la donna pensava di concludere la sua carriera a breve. Ma la guerra aveva cambiato decisamente le sue aspettative. Quando le famiglie del quartiere le hanno domandato di riaprire la scuola, lei non è riuscita a dire di no. 

” Non potevo dire di no né a loro, né ai loro figli. MI è sembrato un dovere nazionale insegnare a questi bambini. La mia coscienza me lo chiedeva, anche se le condizioni sono pericolose. Spero che il mio paese riesca a trovare una via da seguire. Abbiamo riaperto la scuola per creare un senso di normalità. Abbiamo bisogno di un futuro, di pace e sicurezza. Basta con la guerra, per noi e i nostri figli”. 

(Qui sotto alcuni bambini si dirigono nelle loro aule per l’inizio delle lezioni, a un anno dai combattimenti a Bengasi) 

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