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Home » Esteri

Piazza Syntagma e l’Europa che vorrei

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L’opinione di Annalisa Merelli

Annalisa Merelli è una reporter italiana che lavora a New York per Quartz, un sito di economia globale.

Ha scritto un suo pezzo d’opinione e lo ha tradotto in italiano per pubblicarlo anche su The Post Internazionale

Sono nata in Italia. Ma sono cresciuta in Europa.

L’Europa di Schengen, degli scambi Erasmus, dell’anticipato “ingresso in Europa”, che poi era solo l’ingresso nell’Eurozona—perché l’Europa noi l’avevamo fondata, perché noi eravamo l’Europa.

All’inizio del secolo — del millennio! — si parlava dell’Europa come di un posto in cui stavamo per entrare.

Come un signore del paese di mia nonna — un posto un po’ sperduto nelle montagne dell’Irpinia — aveva commentato: “Ma io dico, perché ci dobbiamo andare tutti insieme, in Europa? Io vado, vedo come si sta, e poi se si sta bene entriamo tutti.”

Ma ci siamo entrati — proprio tutti insieme — in questa nuova fase della nostra storia. Mi ricordo la conversione delle lire — tantissime! — in euro: così pochi. Era comunque elettrizzante. L’Europa era vera, e ce l’avevamo in tasca.

L’euro mi sembrava la più meravigliosa delle monete. Il retro diverso — mi ricordo che guardavo il retro delle monete per vedere da dove erano arrivate: Francia? Grecia? Germania?— ma il valore, la faccia, una sola.

Era come l’Unione in cui credevo: lingue, climi, cibi, tradizioni diverse eppure gli stessi valori — così difficili da definire eppure così tangibili; perché c’era, e indubbiamente c’è ancora, un qualcosa che definiamo come essere europei (continua sotto la foto).

(Nella foto qui sotto: i cittadini sono scesi in piazza ad Atene per una manifestazione anti-austerità il 5 febbraio 2015, la prima in favore di un governo greco. Reuters/Kostas Tsironis)

Avevo appena iniziato l’università. Quattro anni dopo, sono andata a Parigi con una borsa Erasmus.

Ho imparato una lingua nuova e conosciuto studenti spagnoli, tedeschi, portoghesi — l’intera gamma. Ad alcuni di loro, l’Erasmus ha cambiato la vita, facendogli prendere strade che sono ora incarnate in bambini metà questo, metà quello, e interamente europei.

Era quella, l’Europa che volevo e amavo. Il continente vecchio e saggio che ha vissuto a lungo, e dopo aver fatto tutti gli sbagli che è umanamente possibile (e cioè un sacco di sbagli), è finalmente diventato qualcosa di cui essere fieri.

Quello che non sapevo, quando ancora l’Europa mi sembrava un sogno, è che stava per diventare un incubo economico.

La mia è la “generazione persa” d’Europa. In Italia, ci chiamano “generazione mille euro”. I ragazzi che sono cresciuti con l’Europa — in Europa — l’hanno vista trasformarsi nello strozzino che ci ha pignorato il futuro.

L’Europa che vediamo ora non ha spazio per i sogni. È un affare senza gioia, una storia di banche, debiti senza fondo, conti che non tornano. Sembra un deus ex machina senza pietà che continua a pretendere tasse e tagli anche dopo che la gente ha sacrificato più di quanto fosse possibile.

Questo non può essere quello a cui si sono ridotti gli ultimi sessant’anni della nostra comune storia — una realtà in cui un eurocrate (Jyrki Katainen, vice presidente della Commissione Europea) osa dire, senza vergogna:

“Noi non cambiamo le nostre politiche in base alle elezioni.”

Questa Europa non ha anima — è il mostro che ci ritroviamo per aver fatto economia senza politica. Perché siamo cittadini, prima che contribuenti, e nessuna istituzione che si possa chiamare democratica può chiedere ai secondi senza ascoltare i primi.

Nel 2012, parlando del futuro dell’Europa, Umberto Eco disse:

“Davanti alla crisi del debito europeo io parlo da persona che non capisce nulla di economia, dobbiamo ricordarci che solo la cultura, oltre la guerra, lega la nostra identità.”

Io sono italiana. Sono europea. E quando guardo le immagini dei centinaia che manifestano ad Atene, in supporto degli sforzi del loro governo per fermare l’austerity, sono anche greca. Vedo la mia Europa, a Piazza Syntagma.

Vedo democrazia, e una richiesta di cooperazione.

I greci non stanno protestando contro l’Europa, stanno protestando contro le sue politiche bancarie. Non è la stessa cosa. E non possiamo accettare che lo sia.

Piazza Syntagma è l’agorà dell’Europa. Come è giusto che sia, con un nome che viene da συντάσσω — vuol dire mettere insieme, e in ordine.

* Annalisa Merelli è una reporter italiana che lavora a New York per Quartz. È di Bergamo, ma ha vissuto a Parigi e Nuova Delhi prima di trasferirsi negli Stati Uniti.

Ha fondato e diretto The India Tube, ha scritto per Narratively, Global Voices, Timbuktu, Motherland, W+K Delhi, e Fabrica. Si è laureata in comunicazione e in semiotica all’università Bologna.

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