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Col viaggio negli Emirati Papa Francesco vuole ribadire il suo messaggio ecumenico e globale

Immagine di copertina
Papa Francesco saluta Iman di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, davanti alla Grande Moschea di Sheikh Zayed ad Abu Dhabi. Credit: AFP

L'analisi di Silvia Colombo dell'Istituto Affari Internazionali (IAI)

Il contrasto tra le figure e tra i due mondi non potrebbe essere più stridente: da una parte, l’essenzialità e l’umiltà del messaggio apostolico di Papa Francesco e dall’altra, lo sfarzo e la maestosità (a partire dalla cerimonia di benvenuto riservata al Pontefice) di uno dei paesi più ricchi al mondo in termini pro capite.

Da una parte, il voler far sentire la vicinanza della Chiesa di Roma ai quasi 950 mila cristiani cattolici che vivono negli Emirati Arabi Uniti e che ne rappresentano circa il 10 per cento della popolazione.

Dall’altra, l’incontro con le più alte autorità dell’Islam sunnita, in primis l’Iman di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb. Eppure l’incontro tra i due mondi c’è stato perché Papa Francesco ha voluto questo viaggio, il ventisettesimo viaggio del suo Pontificato e il primo in un paese del Golfo Persico, con grande determinazione.

La regione rappresenta la culla dell’Islam e negli ultimi anni è nell’occhio del ciclone della geopolitica mediorientale.

Dalle proteste popolari in alcuni paesi nel 2011, alla devastante guerra in Yemen – alla quale anche gli Emirati partecipano attivamente all’interno della coalizione a guida saudita, che è largamente responsabile di aver condotto il paese mediorientale sull’orlo del baratro –, dal conflitto tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, da una parte, e Iran, dall’altra, allo spostamento delle alleanze internazionali con gli Stati Uniti, che sembrano sempre più alla ricerca di una via di uscita dal Medio Oriente e dai suoi conflitti a vantaggio della Russia.

Tutti questi fattori hanno proiettato la regione del Golfo Persico sulla scena regionale e internazionale come mai prima d’ora.

E questi stessi fattori non sfuggono a papa Francesco, che ha voluto combinare all’interno della sua visita occasioni di dialogo e una mano tesa ai rappresentanti di uno tra gli Stati più autoritari della regione – simbolicamente rappresentata dall’avanzare tenendosi per mano con lo sceicco emiratino Mohammed Rashid al Maktoum – e un messaggio fermo e chiaro contro qualsiasi forma di strumentalizzazione della religione per fini politici o addirittura di egemonia militare.

Le autorità emiratine e la schiera di 700 rappresentanti di diverse religioni che hanno partecipato all’incontro sulla Fratellanza Umana in cui papa Francesco ha richiamato al tema della tolleranza e dalla pace non si sono lasciati sfuggire l’occasione per tentare di accreditarsi come partner privilegiati sul versante del dialogo interreligioso.

Si tratta di una strategia di pubbliche relazioni ben oliata e portata avanti con relativo successo dalla dinastia regnante, una strategia che sfrutta il soft power nelle relazioni con i propri partner e che punta sulla creazione di un’immagine di apertura, dialogo e accoglienza per controbilanciare una politica regionale aggressiva.

In quest’ottica gli Emirati si stanno anche preparando a ospitare la prossima edizione dell’Esposizione Universale che si terrà proprio a Dubai nel 2020-2021 sul tema “Connecting Minds Creating the Future”.

Da una parte questo richiama i temi cardine della mobilità e della sostenibilità da tempo fatti propri dagli Emirati anche all’interno del proprio modello di sviluppo (si pensi alle compagnie aeree e all’aeroporto di Dubai, uno dei principali hub al mondo, oppure al progetto di Masdar City ad Abu Dhabi, la città della sostenibilità).

Dall’altra è altrettanto vero che ciò stride con il fatto che la popolazione locale propriamente emiratina rappresenta solo una parte di un panorama sociale molto più articolato e complesso, in cui una minoranza di lavoratori provenienti principalmente dall’Asia ma anche dai paesi occidentali vive isolata e in condizioni di cittadinanza relativa.

Ciò vale anche per i cristiani cattolici degli Emirati, tra i quali non vi è una componente indigena come in altri paesi del Medio Oriente e che sono rappresentati principalmente da indiani e filippini.

A questa chiesa locale in espansione Papa Francesco vuole far arrivare il proprio messaggio di vicinanza, anche fisica. Ma la visita ha anche un’importante dimensione globale: si tratta infatti di una chiesa di migranti che è quindi strettamente collegata con il messaggio ecumenico che papa Francesco va ripetendo alle periferie del mondo.

Non che gli Emirati Arabi Uniti siano oggi una periferia, ma il viaggio di papa Francesco vuole andare oltre i contrasti stridenti e la distanza tra le dimensioni locale e globale.

a cura di Silvia Colombo, Responsabile del Programma Mediterraneo e Medio Oriente dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma
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