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La guerra in Ucraina rischia di causare una crisi alimentare mondiale

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Mercato di al-Zawia a Gaza, dove i prezzi dei prodotti sono aumentati a seguito della guerra in Ucraina, il 12 marzo. Credit: Youssef Abu Watfa/APA Images via ZUMA Press Wire

La guerra in Ucraina rischia di causare una crisi alimentare mondiale

A tre settimane dal suo inizio, la guerra tra Russia e Ucraina rischia sempre più di provocare una grave crisi alimentare a livello mondiale. È l’allarme lanciato dall’Onu, che ha avvertito delle possibili ricadute del conflitto in tutto il mondo, in particolare sui più poveri. “I prezzi del cibo, del carburante e dei fertilizzanti sono alle stelle”, ha detto lunedì scorso il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. “Le catene di approvvigionamento sono state interrotte. E i costi e i ritardi nel trasporto delle merci importate ancora disponibili, sono a livelli record. Tutto questo sta colpendo duramente i più poveri e gettando i semi per l’instabilità politica e disordini in tutto il mondo”, ha aggiunto.

L’esclusione anche parziale delle due economie dai mercati internazionali, priverà infatti molti paesi di forniture essenziali come grano, olio di semi e fertilizzanti, e rischia di provocare spirali di prezzi che finiranno per pesare sui consumatori e le aziende che producono beni alimentari in diversi continenti. Secondo la Fao, gli aumenti dei prezzi di prodotti alimentari e mangimi a causa del conflitto in Ucraina potrebbero arrivare al 20%. Insieme Russia e Ucraina producono il 19% della fornitura mondiale di orzo, il 14% del grano e il 4% del mais e rappresentano oltre un terzo delle esportazioni mondiali di cereali. La sola Ucraina fornisce al Programma alimentare mondiale (Wfp) più della metà degli aiuti alimentari che nel 2021 l’agenzia delle Nazioni Unite ha destinato a chi soffre la fame.

In un recente articolo, Politico ha elencato cinque possibili conseguenze della guerra in Ucraina sul sistema alimentare mondiale. In primo luogo, l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari dovuto al conflitto tra Russia e Ucraina, rispettivamente il primo e il quinto esportatore di grano. L’interruzione delle forniture, dovuta anche al blocco del commercio marittimo dal Mar Nero, potrà causare anche carestie in molti paesi che dipendono molto da importazioni alimentari dall’Ucraina e dalla Russia, come Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco, Libano e Turchia. Già nel 2011, carenze alimentari avevano contribuito alle proteste della Primavera araba che hanno sconvolto il Medio oriente. Un’altra conseguenza della crisi alimentare potrebbe essere un ricorso al protezionismo, come denunciato dai ministri del G7 la settimana scorsa in risposta alle misure introdotte da paesi come l’Ungheria, che ha imposto limiti sulle esportazioni di cereali. In ambito europeo, la crisi potrebbe spingere i paesi membri a rafforzare il ricorso alle risorse prodotte internamente, come invocato dalla Francia. Tra le altre misure proposte per far fronte alla crisi, i ministri dell’Agricoltura ha chiesto alla commissione europea di rinunciare all’obbligo di non coltivare parte dei terreni. Un’idea criticata dai Verdi, che la considerano un passo indietro nella lotta alla crisi climatica e chiedono al contrario di ridurre i sussidi agli allevatori.

Oltre ai cereali, un’altra esportazione a forte rischio di Russia e Ucraina è quella dell’olio di girasole, utilizzato in una grande varietà di prodotti nel settore dolciario. Il prodotto è stato uno dei più gettonati nella corsa ai supermercati vista negli ultimi giorni in diverse città italiane, che ha visto articoli come farina, pane, biscotti e prodotti in scatola sparire dagli scaffali. “Non ci sono motivi per fare l’assalto agli scaffali dei supermercati”, ha detto il ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli. “Abbiamo una forza produttiva che ci consente di dire che problemi ai supermercati non ci saranno, e dobbiamo anche dare un messaggio di speranza e tranquillità ai cittadini”, ha spiegato, dopo le rassicurazione del presidente del Consiglio Mario Draghi, che negli scorsi giorni ha ricordato come l’Italia non sia “assolutamente” in economia di guerra, pur riconoscendo la necessità di “prepararsi”.

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