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I principi dell’Erba

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Nella sala fumo di Vancouver si consuma marijuana e si fa politica. Obiettivo: ricoprire il governo di vegetazione

Cinque dollari all’ora e si affitta un tavolo. Ci si mette comodi e si aspira marijuana. Si possono usare bong o vaporizzatori. Sono compresi nel prezzo d’entrata e vivamente consigliati.

‹‹Una tecnica di riduzione del danno››, spiega il commesso di questa sorta di lounge bar che può ospitare fino a 150 clienti. Regola fondamentale: la marijuana non si vende all’interno ma si porta in proprio. I gestori mettono a disposizione solo location e attrezzatura di complemento, anzitutto bong, pipe ad acqua e similari.

La sala fumo è ben in vista, aperta in pieno centro a Vancouver dal 2006. Si trova nella sede del Partito della Marijuana della British Columbia, angolo di Cambie Street e West Hastings. È una delle tante, certo la più ampia e più nota, tutte segnalate dalla tipica fragranza densa della ganja.

Il principio che le regola è il medesimo: si fuma, non si vende.

‹‹La marijuana non è venduta legalmente, ma è facilmente disponibile e fumata liberamente: la polizia non arresta i consumatori occasionali, almeno a Vancouver››, spiega Marc Emery, fondatore del Bc Marijuana party, partito che promuove la legalizzazione delle cannabis, dell’annessa sala fumo e di tutta una serie di business legati alla foglia verde, dalla vendita di libri fino all’offerta di vaporizzatori. ‹‹Ecco perché le nostre attività non subiscono l’intervento della polizia››.

La legge federale canadese, il Controlled drugs and substances act, vieta possesso distribuzione e produzione di marijuana per fini ricreativi. Cionostante, nei grandi centri come Vancouver polizia e giudici si rifiutano di perseguire piccoli coltivatori e fumatori della domenica.

Altrove le regole sono più stringenti: ‹‹Nel 2012, nei sobborghi fuori Vancouver e nelle zone rurali, quindicimila cittadini della British Columbia (la provincia canadese che ospita Vancouver, NDR) sono stati arrestati e tremila condannati››, chiarisce Emery.

Marc Emery riassume perfettamente le contraddizioni delle politiche canadesi in fatto di droga. Dal ’95 ha messo su, alla luce del sole, un servizio di vendita online con cui ha ceduto a 120mila cittadini canadesi e statunitensi quattro milioni di semi di cannabis in 550 diverse varietà.

Così si è meritato le copertine dei giornali di mezzo mondo, “Wall Street Journal” in testa, e il titolo di “Principe dell’erba”: ha fatturato quindici milioni di dollari, quattro e mezzo dei quali devoluti a gruppi pro-marija sparsi nel mondo, e arricchito il mondo di ulteriori 20 milioni di piante.

Questione di strategia politica, oltre che florido business. “Overgrow the government“, letteralmente “ricoprire di vegetazione il governo”, è la strategia del novello “Johnny Appleseed”, altro nomignolo che allude al pioniere americano che disseminava semi di mele nel Midwest all’inizio dell’Ottocento.

Scolpita sui poster del BC Marijuana party, la formula è un modo per dire che la battaglia per la legalizzazione si vince per sfinimento, o soffocamento. Appunto, forzando i governi alla capitolazione.

A lungo polizia e magistratura canadesi si sono quasi disinteressate alle attività imprenditoriali di Emery, lecite e non. Cinque raid in dieci anni e accuse comunque sempre fatte cadere davanti alle corti. Solo nel 2005, la chiusura del commercio di semi online per ordine del giudice. ‹‹Agendo come servi degli Stati Uniti, ci hanno vietato di vendere anche ai canadesi››, ricorda il “Principe dell’erba”. I duri solleciti dal potente vicino meridionale hanno convinto il Canada a cambiare registro.

Inserito dalla DEA, l’agenzia antidroga americana, tra i 46 maggiori ricercati per traffico internazionale di stupefacenti, Emery è stato oggetto dei ripetuti appelli statunitensi. Periodicamente hanno invocato il blocco delle attività e l’estradizione.

La prima è del 2005, la seconda è stata attuata nel 2010. Condannato a Seattle a cinque anni, sconta la condanna nel carcere federale di Yaazo, in Mississipi.

L’ordine d’estradizione porta il marchio del governo conservatore di Stephen Harper. Al governo dal 2006, i conservatori canadesi sono stati eletti su una piattaforma di legge e ordine. Mentre il 75 per cento dei canadesi e tre dei quattro partiti d’opposizione sono favorevoli alla legalizzazione o depenalizzazione, ‹‹Harper intende mantenere le norme attuali e, ove possibile, renderle più severe, con l’effetto di arricchire il crimine organizzato e fomentare la violenza di strada››, secondo Marc Emery.

Il partito conservatore ha imposto pene detentive minime per chi coltiva sei o più piante di cannabis con fini commerciali; case e terreni impiegati per le colture possono essere sequestrate; in aggiunta ha rivoluzionato i meccanismi per i consumatori autorizzati, malati cronici e terminali dispensati dal servizio sanitario.

Dal prossimo anno non potranno più crescere in proprio piante di marijuana ma saranno tenuti a rifornirsi da venditori licenziati: ad oggi, nessuno permesso è stato concesso o produzione avviata.

Harper pensa che l’uso di droga debba essere punito. I cinquanta negozi che tuttora vendono semi di marijuana sull’esempio di Emery, senza per questo essere perseguiti, devono vederla diversamente. Come i partecipanti al cosiddetto 4/20, il più grande mercato di erbe a cielo aperto nel mondo occidentale.

Qui marijuana e hashish si vendono all’aperto. Ci sono cinquanta tavolate colme di panette. Arrivano quindicimila fumatori durante tutto l’arco della giornata. Succede a Vancouver, incrocio tra Robson e Howe Street. È la zona degli uffici. La polizia presidia senza intervenire a cinquecento metri di distanza.

La storia va avanti dal 1995, ogni 20 aprile, da quando gli attivisti pro-cannabis hanno deciso di convertire in evento di protesta e diletto la consuetudine degli adolescenti californiani di inalare erba alle 4 e 20 di ogni giorno. Per questo l’hanno chiamato 4/20. Gli obiettivi di Harper sembrano lontani.

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