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Israele, Netanyahu presenta il suo “Piano per il dopo Hamas” a Gaza. Ecco cosa prevede

Immagine di copertina
Credit: AGF

Tel Aviv vuole chiudere l'Unrwa, mantenere il controllo militare della Striscia e affidarne il governo a "funzionari locali" con "esperienza amministrativa" non legati a "Paesi o entità che sostengano il terrorismo". Ma non cita mai l'Autorità Nazionale Palestinese, che si è già detta contraria: "È destinato a fallire"

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha presentato il suo “Piano per il dopo Hamas” nella Striscia di Gaza. Il documento di una pagina, citato da diversi media in Israele, è stato illustrato nella notte tra il 22 e il 23 febbraio al Consiglio dei ministri e ai membri del gabinetto di sicurezza e non cita mai l’Autorità Nazionale Palestinese, a cui il premier dello Stato ebraico non intende affidare il governo del territorio costiero controllato dal 2007 da Hamas.

Si tratta in gran parte di una raccolta di principi che Netanyahu ha espresso più volte alla stampa fin dall’inizio della guerra a Gaza, ma è la prima volta che questi vengono messi formalmente nero su bianco e presentati al governo di Tel Aviv per essere approvati.

Il punto saliente riguarda l’identificazione di un organismo civile a cui affidare la responsabilità della smilitarizzazione della Striscia, assicurando così libertà d’azione alle forze armate di Israele.

L’obiettivo del piano infatti è affidare il governo di Gaza a “funzionari locali” con “esperienza amministrativa” non legati a “Paesi o entità che sostengano il terrorismo”, senza mai citare l’Anp, l’unico organo riconosciuto da molti Stati esteri come legittimamente rappresentativo del popolo palestinese.

Proprio l’Autorità Nazionale Palestinese ha criticato l’iniziativa di Netanyahu, ribadendo che qualsiasi piano per il dopoguerra che non includa la Striscia come parte di uno Stato palestinese è “destinato a fallire”. “Gaza farà parte dello Stato palestinese con Gerusalemme come capitale”, ha detto oggi il ministro dell’Informazione, Nabil Abu Rudeineh, che è anche portavoce del presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas (Abu Mazen). “Qualsiasi piano che non preveda questo è destinato a fallire. Israele non riuscirà a cambiare la realtà geografica e demografica della Striscia”. Ma vediamo cosa prevede il progetto presentato nella notte da Netanyahu.

Controllo militare
In primis, lo Stato ebraico intende mantenere – nel medio termine – il controllo militare e della sicurezza a Gaza, anche presso il valico di Rafah al confine con l’Egitto. Inoltre, prevede di istituire una zona cuscinetto sul lato palestinese al confine con la Striscia, che resterà operativa a tempo indefinito o meglio, come si legge nel testo, “finché ve ne sarà la necessità”.

“Israele manterrà la libertà operativa nell’intera Striscia di Gaza, senza limiti di tempo, allo scopo di prevenire la rinascita del terrorismo e contrastare le minacce provenienti da Gaza”, si legge nel documento. “Lo spazio di sicurezza creato all’interno della Striscia di Gaza nell’area al confine con Israele esisterà finché ce ne sarà bisogno”.

“Israele manterrà una ‘cerniera meridionale’ al confine tra Gaza e l’Egitto, con lo scopo di prevenire la re-intensificazione degli elementi terroristici nella Striscia di Gaza”. Secondo il piano, la cosiddetta “Barriera Sud opererà, per quanto possibile, in cooperazione con l’Egitto e con l’assistenza degli Stati Uniti, e si baserà su misure per prevenire il contrabbando dall’Egitto sia sotterraneo che terrestre, compreso presso il valico di Rafah”.

Al contempo si procederà a una completa smilitarizzazione della Striscia, gestita direttamente dalle forze armate israeliane: “la responsabilità di realizzare questo obiettivo e di monitorarne l’applicazione nel prossimo futuro è affidata a Israele”.

Governo civile
Come detto, Tel Aviv vuole affidare il governo della Striscia a “funzionari locali” con “esperienza amministrativa” non legati a “Paesi o entità che sostengano il terrorismo”. Il personale però non dovrebbe provenire dall’Anp, che non viene citata direttamente ma neanche esplicitamente esclusa, anche perché l’attuale governo israeliano continua a rifiutare la soluzione dei due Stati nel prossimo futuro.

“Israele continuerà a opporsi al riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese. Un tale riconoscimento dopo il massacro del 7 ottobre darebbe una ricompensa enorme e senza precedenti al terrorismo e impedirebbe qualsiasi futuro accordo di pace”, si legge nel testo.

Non solo: lo Stato ebraico intende anche sottoporre a un programma “completo” di “deradicalizzazione” tutte le istituzioni religiose, didattiche e assistenziali attive nella Striscia di Gaza, spesso controllate da organismi vicini a Hamas.

Inoltre, il premier vuole estromettere l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) dal territorio costiero: ​​”Israele lavorerà per porre fine alle attività dell’Unrwa nella Striscia di Gaza e per sostituirla con agenzie umanitarie internazionali responsabili”.

Problemi di applicazione
Il piano di Israele deve far fronte a una serie di ostacoli di natura operativa e di questioni legate ai rapporti internazionali con i suoi alleati regionali e globali.

Il linguaggio del documento intanto è volutamente vago, soprattutto riguardo l’organismo civile che dovrebbe andare a governare la Striscia dopo la guerra. L’espressione “non legati a Paesi o entità che sostengano il terrorismo” riferita ai funzionari che dovrebbero gestire le attività nel territorio costiero potrebbe riferirsi non solo a Stati come il Qatar, che ospita la leadership di Hamas, e l’Iran, che finanzia direttamente il gruppo, ma anche all’Autorità Nazionale Palestinese, i cui programmi di welfare prevedono anche l’assistenza ai detenuti condannati in Israele e alle loro famiglie.

In secondo luogo, l’iniziativa presentata agli organi di governo dovrà essere accettata anche dai cittadini israeliani, a cui si chiede un prolungato impegno militare per assicurare il disarmo della Striscia. Una nota diramata nella notte dall’ufficio del premier israeliano rimarca però che il documento espone una serie di principi “ampiamente accettati dall’opinione pubblica” e che questo piano servirà come base per le future discussioni riguardanti la gestione di Gaza dopo la guerra.

In più, il piano contrasta direttamente sia con le dichiarazioni dell’amministrazione statunitense che con gli impegni assunti dall’Egitto. Il presidente Usa Joe Biden ha spesso ribadito come nel dopoguerra non dovrà esserci alcuna riduzione del territorio della Striscia (quindi la Casa bianca non dovrebbe accettare una zona cuscinetto dal lato palestinese), mentre Il Cairo si è rifiutato più volte di assumersi la responsabilità della sicurezza a Gaza (appare perciò complicata la collaborazione per il controllo di Rafah).

Il documento però non si limita a parlare della Striscia. Nel medio termine infatti, Israele intende anche mantenere il controllo della sicurezza “su tutta l’area a ovest della Giordania”, via terra, aria e acqua, “per prevenire il rafforzamento di elementi terroristici in (Cisgiordania, ndr) e nella Striscia di Gaza e per contrastare le minacce dirette verso Israele”. Un altro punto difficilmente accettabile, non solo per i palestinesi, ma soprattutto per i Paesi arabi della regione, citati più avanti nel documento.

Un’altra questione da affrontare riguarda infatti il programma di “deradicalizzazione” previsto a Gaza e da portare avanti “per quanto possibile, con il coinvolgimento e l’assistenza dei Paesi arabi che hanno esperienza nella promozione” di tali iniziative. Anche qui il riferimento potrebbe andare ai regni del Golfo come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che però hanno più volte chiarito che non svolgeranno alcun ruolo nella Striscia senza una soluzione definitiva della questione palestinese.

Un ultimo aspetto chiave del piano di Netanyahu riguarda poi la chiusura dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), accusata di avere tra le sue fila 12 dipendenti coinvolti negli attentati del 7 ottobre. L’idea di sostituire questo ente con “organizzazioni umanitarie internazionali responsabili” è difficilmente applicabile nel breve termine, visto che l’Unrwa è la principale organizzazione responsabile della distribuzione degli aiuti alimentari e sanitari nel territorio costiero e la sua chiusura immediata rischierebbe di provocare una catastrofe umanitaria senza precedenti.

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