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Quanto è forte l’esercito dell’Iran?

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Tra Usa e Iran è in corso una continua escalation di violenze. Le tensioni in Iraq sono frutto di interessi enormi e ritorsioni incrociate. Ma quanto è temibile l'esercito di Teheran? Dal numero dei soldati al tipo di armi, dai missili in dotazione al pericolo nucleare: tutto quello che c'è da sapere

Quanto è forte l’esercito dell’Iran? Soldati, armi, missili e nucleare: i dati

È un’escalation di violenza continua e senza interruzioni quella in corso da inizio anno tra Usa Iran: dopo l’uccisione del generale dell’esercito iraniano Qassem Soleimani in Iraq, avvenuta durante un raid americano tra il 2 e il 3 gennaio 2020, Teheran ha risposto con la forza arrivando all’attacco missilistico di stanotte contro due basi statunitensi.

S&D

Si preannunciano settimane di fuoco per l’intero Medio Oriente, con l’Iran che – tramite il presidente Hassan Rouhani e l’Ayatollah Ali Khamenei – sottolinea come la reazione di Teheran al raid americano “non sia ancora abbastanza”. L’obiettivo, annunciato, è di “tagliare le gambe agli Usa” e soprattutto cacciare i loro soldati dalla regione.

Ma in che modo Teheran pensa di raggiungere questo scopo? E soprattutto, quanto è forte l’esercito dell’Iran? 

L’esercito dell’Iran: numeri e dotazione

Iniziamo dai numeri dell’esercito iraniano. Secondo l’International Institute for Strategic Studies, i soldati iraniani impegnati in vari ruoli sul territorio sono circa 523mila. Di questi, 350mila fanno parte dell’esercito regolare, mentre almeno altri 150mila sono i Pasdaran, il Corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica.

Inoltre, i Pasdaran possono contare anche su circa 20mila soldati delle forze navali, impegnati soprattutto su una serie di motovedette armate nello Stretto di Hormuz (qui abbiamo spiegato perché questo Stretto è così importante).

Non bisogna inoltre dimenticare che, sempre all’interno del Corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica (fondato con un decreto da Khomeini nel 1979, poco dopo l’instaurazione della Repubblica islamica in Iran), c’è anche un corpo paramilitare composto da personale volontario e direttamente dipendente dai Pasdaran. Si tratta dei Basiji: inizialmente utilizzati nella guerra con l’Iraq, oggi svolgono funzioni di ausilio alla polizia. Potenzialmente, si tratta di almeno altri 100mila uomini, un numero che però in caso di necessità – vista la natura volontaria di questa milizia – secondo le stime può anche triplicarsi.

Ma qual è la dotazione di armi dell’esercito dell’Iran? A questo proposito, non ci sono ovviamente dati precisi. Ciò che è certo, però, è che le recenti sanzioni sul nucleare imposte da Onu e Ue a Teheran hanno avuto un peso importantissimo sull’importazione di armi in Iran. Secondo quanto riportato da Stockholm International Peace Research Institute, tra il 2009 e il 2018 l’Iran ha importato solo il 3,5 per cento del totale delle armi importate nello stesso periodo dall’Arabia Saudita.

Numeri, dunque, molto bassi. Che confermano anche quello che in tutti questi anni è stato il leitmotive della politica estera di Teheran: mai portare il conflitto all’interno dei confini nazionali. Nonostante l’Iran sia stato spesso al centro di polemiche e tensioni internazionali, quasi sempre infatti si è trattato di battaglie “per procura”, in altri Paesi. La relativa debolezza dell’esercito di terra di Teheran impone che si continui su questa strategia.

I soldati iraniani attualmente impegnati all’estero

C’è anche una parte dell’esercito dell’Iran che è impegnato in missioni all’estero. Tra queste spiccano le forze Quds, altrimenti dette “Brigata Gerusalemme”: si tratta proprio delle milizie comandate, prima della sua uccisione, da Soleimani. Le forze Quds sono considerate il braccio armato dei Pasdaran per le operazioni segrete all’estero e vantano circa 5mila soldati.

Le unità Quds sono state schierate in Siria, dove hanno garantito il sostegno a Bashar al-Assad nella guerra civile in Siria, mentre nella guerra in Iraq, invece, hanno condotto alcune degli attacchi contro gli americani. Le forze Quds riferiscono direttamente all’Ayatollah Ali Khamenei. Secondo le accuse degli Usa, però, i Quds hanno anche fornito addestramento e fondi ad alcune organizzazioni di matrice terroristica in Medio Oriente, come gli Hezbollah in Libano.

L’Iran ha missili a disposizione?

Questa è una domanda a cui, alla luce dell’attacco della notte tra il 7 e l’8 gennaio 2020 contro le basi americane in Iraq, ha già una risposta: sì. Anzi, la dotazione missilistica di Teheran è uno dei punti di forza dell’esercito dell’Iran, utile a compensare la relativa mancanza di potenza aerea rispetto ad altri Paesi rivali nell’area, come Arabia Saudita e Israele.

Gli Usa temono molto i missili iraniani. A testimoniarlo, un rapporto del  Dipartimento della Difesa che definisce le forze missilistiche di Teheran “le più importanti del Medio Oriente”. Secondo quanto emerge, il Paese ha a disposizione missili a breve (Shahab 2, 500 metri; Qiam-1, 750 metri), medio (Shahab 1, 300 chilometri; Fateh-110, 300-500 chilometri) e lungo raggio (Zolfaghar, 700 chilometri; Shahab 3, 2.000 chilometri).

Bisogna però precisare che, nel solco degli accordi sul nucleare del 2015 (gli stessi che adesso, per ammissione della stessa Ue, sembrano vacillare dopo l’escalation di violenza in Iraq), l’Iran ha bloccato il programma missilistico a lungo raggio. In ogni caso, basterebbero quelli a medio raggio per colpire, oggi, molti obiettivi in Arabia Saudita e in tutto il Golfo.

E le armi nucleari?

Il tema del nucleare domina la storia degli ultimi decenni dell’Iran. È stato a causa dei continui programmi di arricchimento dell’uranio che sono scattate le sanzioni nei confronti di Teheran. In base all’accordo, infatti, all’Iran è consentito arricchire l’uranio solo fino a una concentrazione del 3,67 per cento, oltre a non accumulare oltre 130 milioni di tonnellate di acqua pesante.

Nell’estate del 2019, però, l’Iran ha annunciato il superamento delle soglie di arricchimento dell’uranio stabilite dall’accordo, accusando gli altri Paesi di non rispettare le clausole dell’intesa (compreso Donald Trump, che si è ritirato dall’accordo nel 2018, ripristinando le sanzioni e provocando uno shock economico al Paese). Ad aprile 2018, inoltre, Israele ha pubblicato dei dossier segreti che dimostrerebbero che, nonostante l’accordo, l’Iran ha continuato imperterrito ad arricchire l’uranio oltre le soglie stabilite.

Dopo l’uccisione di Soleimani, Teheran ha affermato di non sentirsi più vincolato dalle restrizioni dell’accordo sul nucleare. Per questo motivo la stragrande parte degli attori internazionali sta spingendo in questi giorni per la mediazione, nel tentativo di “salvare” e soprattutto rendere nuovamente effettiva l’intesa raggiunta faticosamente nel 2015.

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