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Cosa c’è in gioco nella candidatura di Elizabeth Warren alla Casa Bianca

La senatrice ha annunciato la sua discesa in campo: paladina dei diritti sociali e delle minoranze, secondo alcuni analisti potrebbe faticare a diventare maggioritaria nel paese

 

S&D

 

La senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren ha annunciato la sua candidatura per le primarie dei Democratici, in vista delle elezioni presidenziali statunitensi che si terranno nel 2020.

Warren, 69 anni, è il primo esponente politico ad uscire allo scoperto, e dopo la sconfitta di Hillary Clinton contro Donald Trump nel 2016, punta a diventare la prima donna eletta alla Casa Bianca.

La senatrice è un’esponente di spicco dei Democratici, nota in particolare per le sue battaglie in difesa dei consumatori e delle classi più deboli e contro gli abusi della finanza e di Wall Street.

Nel video con cui ha annunciato la sua discesa in campo, Warren ha parlato  proprio delle crescenti disuguaglianze che affliggono la società americana, e si è rivolta alle donne, alla comunità LGBT e agli afroamericani, da sempre al centro delle sue battaglie.

Warren, che è anche docente all’università di Harvard, nel 2012 tenne un discorso alla convention democratica a Charlotte che la rese molto popolare in larghi strati di elettorato statunitense.

“I miliardari pagano meno tasse delle loro segretarie – disse in quell’occasione – Gli amministratori delegati di Wall Street, le stesse persone che hanno stravolto la nostra economia e distrutto milioni di posti di lavoro, passeggiano ancora per il Congresso, senza vergogna, chiedendo favori e comportandosi come se dovessimo ringraziarli. Qualcuno pensa che sia un problema?”.

Nel 2008, Warren ha presieduto la Commissione parlamentare che si occupava di analizzare l’uso dei fondi statali utilizzati per salvare le banche in seguito alla crisi.

Altra particolarità della senatrice è che, dal 1991 al 1996, è stata iscritta ai Repubblicani, che ha poi abbandonato in polemica per l’approccio del partito nei confronti della finanza e dei grandi capitali.

Il suo slogan elettorale sarà “Join the Fight” (unisciti alla battaglia): “Non importa quali siano le nostre differenze, la maggior parte di noi vuole la stessa cosa”, ha detto nel video con cui ha annunciato la candidatura.

“Lavorare sodo, giocare secondo lo stesso insieme di regole e prendersi cura delle persone che amiamo. Questo è ciò per cui sto combattendo”, ha aggiunto.

La senatrice del Massachusetts, negli ultimi mesi, è stata protagonista di una polemica col presidente Donald Trump, che aveva messo in dubbio le sue origini di nativa americana chiamandola “Pochaontas”.

Warren ha così diffuso il risultato di un test del DNA per dimostrare la falsità di quanto dichiarato dal tycoon.

Lo stesso Trump aveva dichiarato di auspicarsi una candidatura di Warren alla presidenza. “Mi piacerebbe correre contro di lei”, aveva detto.

Le primarie democratiche e il significato della candidatura di Warren

La corsa alle primarie democratiche potrebbe essere particolarmente affollata, con almeno una dozzina di candidati pronti a presentarsi.

Tra questi, è data per probabile la discesa in campo di Joe Biden, ex vicepresidente nei due mandati di Barack Obama. Sembra tentato dal candidarsi nuovamente anche Bernie Sanders, uscito sconfitto di misura da Hillary Clinton nelle scorse primarie ed espressione dell’ala più a sinistra dei Democratici.

I primi sondaggi danno attribuiscono alla Warren un consenso piuttosto ampio: proprio Biden e Sanders, al momento, sono gli unici potenziali candidati a risultare più popolari della senatrice del Massachussets.

La candidatura di Warren segna in qualche modo uno spartiacque nei Democratici: il grande successo ottenuto da Bernie Sanders, che aveva conteso fino all’ultimo la nomination a Hillary Clinton, aveva già mostrato come larghi strati di società americana reclamassero una svolta sui diritti sociali, la critica alla globalizzazione e alle élite finanziarie.

La sconfitta della Clinton contro Trump non ha fatto che rafforzare la sensazione che, per intercettare un elettorato deluso e impoverito, fosse necessario presentare profili e politiche più radicali e più marcatamente sociali.

L’ultimo indizio in questa direzione è arrivato dalle elezioni di mid-term, che hanno visto il trionfo di candidati giovani e di rottura come Alexandria Ocasio Cortez, così come di candidati gay, afroamericani e rappresentanti di minoranze etniche.

Un esito che ha evidenziato una forte volontà di cambiamento all’interno della società americana. Un cambiamento individuato, nel 2016, nella figura di Donald Trump, ma che adesso, dopo due anni di presidenza del tycoon, potrebbe convergere su esponenti politici democratici.

Non manca tuttavia chi nutre dubbi sulla reale capacità di Elizabeth Warren di intercettare i voti della maggioranza degli americani.

Proprio le sue battaglie in difesa delle minoranze, infatti, ne fanno una candidata troppo schiacciata, secondo alcuni, sulle quelle istanze generalmente catalogate sotto l’etichetta di “politica dell’identità”.

In altri termini, essere percepiti come candidati “delle minoranze” impedirebbe, secondo politologi come Mark Lilla, di presentarsi come i candidati “di tutti”, in grado di entrare in sintonia con l’elettorato delle zone rurali, i ceti medio-bassi che vivono tra le due coste.

Lo stesso Mark Lilla, in una recente intervista, ha dichiarato che solo un candidato di sesso maschile e bianco può essere in grado di diventare maggioritario nel paese.

Nel 2012, quando fu eletta senatrice in Massachussets, Warren aveva riscontrato le maggiori difficoltà tra gli operai bianchi, che avevano indirizzato il loro voto verso il repubblicano Scott Brown.

Un problema che, secondo alcuni, potrebbe riproporsi a livello nazionale qualora Warren vincesse le primarie democratiche e sfidasse Trump alle elezioni presidenziali del 2020.

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