Cent’anni di Willy Brandt
Il cancelliere dell’Ostpolitik fu una figura controversa in vita. Ma oggi è diventato un mito
La sede della Spd, il partito socialdemocratico tedesco, è un edificio ad angolo nel quartiere di Kreuzberg, a Berlino. Il suo nome è Willy-Brandt-Haus; nell’atrio una scultura bronzea di oltre tre metri celebra l’ex cancelliere in una posa spontanea, con un braccio sollevato a mezz’aria e l’altro disteso.
Il 18 dicembre Willy Brandt avrebbe compiuto 100 anni. Le commemorazioni, ufficiali e non, sono iniziate da mesi. Le poste tedesche hanno presentato un francobollo in suo ricordo; a Berlino camera e senato gli hanno reso omaggio; mercoledì, nel giorno dell’anniversario, è in programma una cerimonia nella sede della Spd. Anche il nuovo grande aeroporto di Berlino sarà dedicato a Willy Brandt: avrebbe potuto essere un ulteriore atto di riverenza nell’anno del centenario, il rinvio dell’apertura e i tanti errori di gestione ne fanno invece una vicenda tragicomica.
Nel frattempo si moltiplicano gli articoli, i documentari, le conferenze e le iniziative di vario genere in tutto il Paese. Nella maggior parte dei casi, l’analisi approfondita lascia spazio all’emozione e alla nostalgia. Willy Brandt è oggi uno dei politici tedeschi più amati: i socialdemocratici lo idolatrano e ne tramandano il mito, i cristiano-democratici lo rispettano e lo apprezzano (nel pantheon preferiscono però Adenauer e Kohl).
Peer Steinbrück, candidato Spd nelle ultime elezioni, ha ricordato i tre motivi che lo hanno spinto a entrare nel partito, tra cui “Una figura così carismatica come Willy Brandt”. In una recente intervista al canale Zdf, il nuovo vicecancelliere, Sigmar Gabriel, ha precisato di non volersi confrontare con Willy Brandt: “Io sono un normalissimo presidente della Spd”, ha detto. Egon Bahr, collaboratore di Brandt, porta avanti da anni la sua testimonianza: “Brandt è stato una fortuna per il nostro Paese”. E così i cittadini, che rimpiangono il cancelliere della Germania dell’Ovest e non smettono di paragonarlo ai politici attuali: “Dov’è il Brandt di oggi?”, si sente domandare spesso, in rete o durante le varie iniziative.
Non è sempre stato così. Negli anni Sessanta e Settanta, l’Ostpolitik del cancelliere – la politica di avvicinamento alla Germania dell’Est e al blocco sovietico in generale – era guardata con sospetto. Allo stesso modo era criticato il suo impegno più sul fronte esterno che su quello interno. La Cdu portava avanti una vera e propria campagna diffamatoria, mentre una buona parte della Spd si manteneva a distanza.
Anche dopo il premio Nobel per la pace, ricevuto nel 1971 proprio per l’Ostpolitik, Brandt rimase agli occhi dei tedeschi una figura controversa. Si dimise da cancelliere nel 1974, a seguito di uno scandalo che coinvolse un suo stretto collaboratore, rivelatosi spia della Stasi,ma anche (non ufficialmente) a causa di lotte di potere interne al partito. Fu poi, tra le altre cose, presidente della Spd e dell’Internazionale socialista.
Nello speciale dedicato a Brandt dal settimanale Die Zeit e pubblicato di recente, il giornalista Gunter Hoffmann scrive che “Solo dopo la morte, avvenuta nel 1992, Willy Brandt smise di polarizzare”. Il cancelliere dell’Ostpolitik, complice la caduta del Muro e i nuovi equilibri mondiali, divenne mito.
La vita stessa di Willy Brandt, d’altronde, ben si presta alla costruzione della leggenda: figlio di una ragazza madre, socialdemocratico fin dall’adolescenza, esule in Norvegia per sfuggire alla Gestapo, poi corrispondente per alcuni giornali scandinavi e infine politico e premio Nobel. Le foto di Brandt inginocchiato a Varsavia, davanti al Monumento agli Eroi del Ghetto, fecero il giro del mondo.
Quando John F. Kennedy visitò Berlino Ovest nel 1963 e tenne il famoso discorso (“Ich bin ein Berliner”), accanto a lui c’era Brandt, allora sindaco della città.
Oggi, a distanza di 100 anni dalla nascita e di oltre 20 dalla morte, il mito di Brandt gode di ottima salute. Tanto più la Spd cede al pugno forte di AngelaMerkel e rinuncia a una politica europea di stampo socialdemocratico, tanto più il “cancelliere degli esteri”, come è stato definito Brandt, ritorna attuale. E quando la Spd incassa il 25,7 per cento dei voti, come nelle elezioni dello scorso settembre, il 45,8 per cento del secondo governo Brandt, miglior risultato di sempre del partito, viene ricordato con nostalgia più che con ambizione. I miti, spesso, servono soprattutto a colmare le lacune.