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Home » Esteri

È il giorno della Brexit: cosa cambia per il Regno Unito e per l’Unione europea

Immagine di copertina
Illustrazione: Emanuele Fucecchi

Dopo quattro anni, il momento è arrivato: il Regno Unito esce dall'Unione europea. Via ai negoziati commerciali, c'è tempo fino al 31 dicembre o sarà no deal

Brexit: cosa cambia per il Regno Unito e per l’Ue

Brexit day, è arrivato davvero il momento. Venerdì 31 gennaio il Regno Unito lascia ufficialmente l’Unione europea e entra in un periodo di transizione di 11 mesi.

Allo scoccare del primo febbraio il Regno Unito manda in archivio poco più di 47 anni di storia comune con l’Ue, di partnership spesso contrastata, ma non priva di vantaggi reciproci, e torna – salvo ipotetici ripensamenti di un futuro incerto e indeterminato – al suo destino insulare.

Ma cosa cambia in concreto con la Brexit?

Nell’immediato poco, visto che il vero distacco dalle regole e dai paletti attuali – sul mercato unico, le dogane condivise, la libertà di movimento delle persone, la giurisdizione della Corte di Giustizia europea – ci sarà solo con il divorzio definitivo del 31 dicembre 2020.

> Tutte le notizie di TPI sulla Brexit

L’ora X

L’ora X è precisa: le 23 britanniche e la mezzanotte centro-europea a cavallo fra 31 gennaio e primo febbraio. Da un minuto all’altro, a circa quattro anni dal referendum del giugno 2016 sulla Brexit, il Regno Unito esce ufficialmente dall’Unione Europea.

Anche il premier britannico Boris Johnson si è impegnato a non prorogare il periodo di transizione oltre il 2020, mettendolo nero su bianco nella legge (European Union Withdrawal Agreement Act 2020) firmata dalla regina Elisa

Brexit cosa cambia per le istituzioni Ue

Fin da subito l’Unione avrà 66 milioni di cittadini in meno (il totale dei sudditi di Sua Maestà britannica) e perderà per la prima volta un pezzo (un Paese) nella sua storia di allargamenti successivi: ritrovandosi con 446 milioni di abitanti e un territorio ridotto del 5,5 per cento.

La caduta dei simboli – via l’Union Jack dai palazzi di Bruxelles, via i vessilli europei dai palazzi del potere britannico – chiude il sipario su un’epoca.

Il Regno Unito torna a essere Paese terzo, come era stato fino al 1973, e rinuncia a 73 deputati, lasciando liberi seggi ridistribuiti in parte fra vecchi membri del club (46, di cui 3 all’Italia) e in parte tenuti in frigo per i prossimi soci balcanici (27).

Londra rinuncia poi al suo commissario europeo ed esce immediatamente dai vertici dei 27: il primo ministro Boris Johnson non sarà più invitato ai Consigli europei, il suo governo e i suoi diplomatici non parteciperanno più ad alcuna riunione e non avranno voce in capitolo nelle decisioni prese d’ora in avanti, pur continuando a contribuire al bilancio comunitario sino a esaurimento della transizione. I cittadini britannici vengono inoltre esclusi dai concorsi per posti di funzionari Ue.

Il primo ministro britannico Boris Johnson dovrà essere invitato nello specifico se desidererà unirsi ad altri leader ai vertici del Consiglio dell’Ue in futuro.

Inoltre, i ministri britannici non parteciperanno più alle riunioni periodiche dell’Ue per decidere di varie normative, ad esempio i limiti di pesca.

Addio al team Brexit

Il team che ha gestito i negoziati Regno Unito-Ue e i preparativi in caso di No Deal si scioglierà il giorno della Brexit. Il Dipartimento per l’uscita dall’Unione europea è stato istituito dall’ex primo ministro Theresa May nel 2016.

Per i prossimi colloqui, la squadra negoziale del Regno Unito avrà sede a Downing Street.

Cosa cambia per i cittadini inglesi con la Brexit

La Brexit e i viaggi: cosa cambia? Il passaporto britannico cambierà colore e diventerà blu ma, almeno fino al 31 dicembre di quest’anno, la Gran Bretagna continuerà a operare in base alle norme europee e non sono previsti cambiamenti immediati nella libera circolazione delle persone.

I cittadini europei potranno, quindi, continuare a entrare e uscire dal Regno Unito come sempre, con passaporto o carta d’identità.

Le patenti guida manterranno la propria validità, ma per poter continuare a vivere e lavorare oltre Manica occorrerà richiedere il Settled Status, un “diritto di soggiorno” che permetterà di continuare ad accedere a servizi e cure sanitarie. La scadenza per richiederlo è il 30 giugno 2021, oppure il 31 dicembre 2020 se la Gran Bretagna lascerà l’Unione senza un accordo.

Quello dei cittadini è uno dei temi più delicati del divorzio, date le implicazioni familiari e personali, oltre che politiche, che porta con sé. I britannici sparsi per il continente sono indicati in 1,2 milioni. In base dell’accordo di divorzio, tutti gli espatriati registrati come residenti già oggi o durante la fase di transizione e fino al 30 giugno 2021, manterranno – da una parte e dall’altra – i diritti odierni nei rispettivi Paesi di accoglienza: quasi come se la Brexit per loro non ci fosse.

Le cose cambieranno tuttavia per gli ingressi successivi, con lo stop alla libertà di movimento nel 2021 e l’introduzione di nuove regole secondo un regime d’immigrazione che in Gran Bretagna significherà sostanziale equiparazione fra europei ed extracomunitari, passaporti obbligatori e non più carta d’identità per entrare, norme più stringenti per restare a lavorare, visti (per quanto facilitati) per i turisti.

Brexit cosa cambia per chi viaggia

Non cambia nulla per chi viaggia verso il Regno Unito, che potrà recarsi nel Paese con un documento di riconoscimento valido (carta di identità cartacea inclusa). Stesso discorso vale anche per norme attuali in materia di commercio e affari.

Dal 2021 tornerà però una frontiera tra l’Inghilterra e l’Unione Europea. Essendo un’isola, già oggi il paese è separato dal resto del continente. Ci vorrà però un confine fisico tra l’Irlanda del Nord, che appartiene a Uk, e la Repubblica d’Irlanda, stato membro della Ue.

Anche il treno veloce francese TGV che collega Parigi e Londra in 2 ore dal 1 febbraio, ma di fatto dal 1 gennaio 2021, dovrà effettuare controlli di frontiera e passare una dogana all’arrivo a Londra e a Parigi, come in un qualsiasi aeroporto.

Cosa cambia per l’Erasmus

La Brexit cambia anche il programma di studi all’estero? Il programma di scambio universitario tra i paesi membri dell’Unione Europea, conosciuto come Erasmus, subirà delle modifiche. Potrebbe anche essere del tutto abolito, ma il Governo ha garantito che terrà in piedi un qualche sistema di scambi tra università.

> Erasmus in pericolo?

Brexit cosa cambia per gli italiani

Nel Regno Unito vivono e lavorano circa 700mila italiani, che all’indomani della Brexit non saranno più considerati cittadini europei, ma cittadini non britannici. Fino all’ultimo giorno di gennaio verrà garantita la libera circolazione delle persone, ma dopo tutti i cittadini europei che vivono in Gb da più di 5 anni dovranno chiedere il permesso di residenza permanente “settled status” di cui parlavamo prima per poter restarci.

Chi invece risiede nel Paese da meno di 5 anni potrà fare richiesta per il “pre-settled status”, che assicura minori garanzie.

Secondo alcuni studi, l’Italia dovrebbe essere uno dei paesi che meno sentirà la spinta di tale cambiamento. Per l’agenzia di rating Standard & Poor’s, l’Italia è diciannovesima su venti paesi, all’interno dell’indice di vulnerabilità. I fattori presi in considerazione per tale studio sono quattro e cioè: export verso la Gran Bretagna, gli investimenti diretti, la migrazione e la finanza.

Brexit: quali sono i rischi e le opportunità per l’Italia? Qualche risposta

Cosa cambia per l’economia

Il Regno Unito sarà in grado di iniziare a parlare con i paesi di tutto il mondo sull’impostazione di nuove regole per l’acquisto e la vendita di beni e servizi.

Non è stato autorizzato a tenere negoziati commerciali formali con paesi come gli Stati Uniti e l’Australia mentre è rimasto un membro dell’Ue. I sostenitori della Brexit sostengono che avere la libertà di impostare la propria politica commerciale aumenterà l’economia del Regno Unito.

C’è anche molto da discutere con l’Ue. L’accordo commerciale tra Regno Unito e Ue è una priorità assoluta, non dovrebbero essere necessari costi aggiuntivi per merci e altre barriere commerciali al termine della transizione.

Se verranno raggiunti accordi commerciali, non potranno comunque iniziare fino al termine del periodo di transizione. Per gli amanti dello Shopping è importante sapere che dal 1 febbraio saranno accettate solo le sterline.

Uno degli argomenti più spinosi della trattativa commerciale tra Uk e Ue riguarda l’importazione del Made in Italy. Il Regno Unito compra tantissimi beni dall’Europa e in particolare dall’Italia, ma vende poco all’estero. Cibo, abbigliamento, arredamenti, macchinari e veicoli europei che oggi si trovano in abbondanza, dal 1 febbraio dovranno passare una dogana e potrebbero dover pure pagare dei dazi.

Curiosità: le monete Brexit

Circa tre milioni di monete Brexit commemorative da 50 pence con la data “31 gennaio” e la scritta: “Pace, prosperità e amicizia con tutte le nazioni”, entreranno in circolazione venerdì 31/01.

La moneta ha ricevuto una reazione controversa, con alcuni sostenitori del remain che hanno detto che si rifiuteranno di accettarla. Il governo aveva programmato di introdurre una moneta simile il 31 ottobre, data in cui la Brexit doveva in precedenza avvenire.

Tuttavia, tali monete sono state fuse e riciclate dopo che la scadenza era stata prorogata.

Cosa resta uguale

Con la realizzazione effettiva della Brexit bisogna capire anche cosa NON cambia.

Patenti di guida e passaporti per animali domestici: finché sono validi, questi continueranno ad essere accettati.

Tessera europea di assicurazione malattia (TEAM): queste sono le carte cure mediche statali in caso di malattia o incidente. Possono essere utilizzati in qualsiasi paese dell’UE (nonché Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein) e continueranno ad essere validi anche nel Regno Unito per i cittadini europei durante il periodo di transizione.

Vivere e lavorare nel Regno Unito: la libertà di circolazione continuerà ad applicarsi durante la transizione, così i cittadini Europei potranno ancora vivere e lavorare nel Regno Unito come fanno attualmente. Il governo ha messo a disposizione la procedura per ottenere il Settled Status, che diventa, al termine del periodo di transizione, obbligatorio. Lo stesso vale per i cittadini britannici che desiderano vivere e lavorare in Ue.

Pensioni: i cittadini britannici che vivono nell’Ue continueranno a ricevere la pensione statale e riceveranno anche l’aumento annuale.

Contributi al bilancio: il Regno Unito continuerà a pagare nel bilancio dell’Ue durante la transizione. Ciò significa che i sistemi esistenti, finanziati da sovvenzioni dell’Ue, continueranno a essere finanziati.

I prossimi step

L’accordo di recesso dall’Ue stabilisce unicamente i termini dell’uscita della Gran Bretagna dalla Ue: la questione dei futuri rapporti è demandata alla ‘Dichiarazione Politica’ che accompagna l’accordo e stabilisce i principi della futura partnership, politica e commerciale, tra Londra e Bruxelles. Questo documento di 24 pagine costituisce la base per i negoziati che avranno inizio dopo il 31 gennaio.

Nel testo si fa riferimento ad una “partnership ambiziosa, ampia, profonda e flessibile attraverso la cooperazione commerciale ed economica che abbia al centro un accordo di libero scambio ampio e bilanciato”.

Inoltre, la ‘Dichiarazione Politica’ mette l’accento sulla cooperazione in tema di sicurezza e giustizia penale, politica estera, di sicurezza e di difesa, oltre a “più ampie aree di collaborazione”. Entrambe le parti, inoltre, hanno concordato di non abbassare i reciproci standard in tema di “aiuti di stato, concorrenza, standard sociali e per il lavoro, ambiente, cambiamenti climatici,e rilevanti questioni fiscali”, stabilendo così un terreno di regole comuni.

Esaurite le trattative sulla separazione, il team negoziale europeo di Michel Barnier dovrà nei prossimi mesi discutere le relazioni future a passo di carica con la nuova task force di Downing Street guidata da David Frost.

I colloqui entreranno nel vivo a marzo 2020, ma Barnier già prevede un calendario fitto d’incontri continui. In ballo c’è, in primis, il dossier dei rapporti commerciali. Johnson punta a un trattato di libero scambio con i 27, a “zero dazi e zero quote”; ma i tempi sono stretti, i dettagli tecnici complessi, gli ostacoli e i potenziali conflitti numerosi. Col rischio di un nuovo cliff edge (un orlo del precipizio, se non proprio un no deal a scoppio ritardato) destinato a riproporsi fra 11 mesi.

Difficile prevedere cosa succederà a partire dall’1 gennaio 2021. Per entrare nel paese, anche solo per una visita breve, occorrerà sicuramente un visto, ma per avere un’idea precisa di come saranno definiti i nuovi rapporti tra il Regno Unito e il resto dell’Europa occorrerà attendere la finalizzazione dei negoziati e il termine del periodo di transizione.

La già lunga saga è destinata quindi a continuare ma c’è chi non si rassegna: i sostenitori di un ritorno della Gran Bretagna nell’Unione Europea in un futuro non troppo lontano si propongono di lanciare una campagna già l’1 febbraio.

I suoi fautori sperano nell’era post-Boris e in un nuovo governo più favorevole all’Europa, che permetta di sottoporre nuovamente ai britannici il quesito referendario del 2016, avviando, quindi, il processo per un possibile rientro a Bruxelles nei prossimi dieci anni.

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