I primi 100 giorni di Biden e la battaglia per difendere la democrazia nel mondo
“Questa è la battaglia per l’anima degli Stati Uniti”: Joe Biden titolò così l’editoriale pubblicato sul the Atlantic quando decise di condannare pubblicamente la marcia dei suprematisti bianchi a Charlottesville, in Virginia, durante la quale una manifestante antirazzista era rimasta uccisa da un’auto lanciata sulla folla. Era l’estate del 2017, l’America era governata da Donald Trump da quasi un anno, ma per l’allora presidente “c’erano brave persone da entrambe le parti”. Biden si rese conto che nella successiva corsa per la presidenza degli Stati Uniti c’era in ballo qualcosa di più di un obiettivo politico.
In un’America così divisa, in cui una parte si sentiva legittimata ad agire come i neofascisti di Charlottesville con la malcelata connivenza del numero uno della Casa Bianca, l’ex senatore del Delaware comprese che in gioco c’era il cuore e l’identità stessa del suo Paese. “I giganteschi passi in avanti che abbiamo compiuto negli ultimi anni in materia di libertà civili, diritti civili e diritti umani stanno arretrando di fronte al risveglio delle forze più antiche e oscure d’America”, scrisse ricordando l’assassinio di Martin Luther King del 1968″. “Siamo davvero sorpresi che abbiano reagito? Pensavamo davvero che si sarebbero estinte con un piagnucolio piuttosto che con una lotta?”, si chiese.
Fu in quell’occasione, ha raccontato alla convention in cui ha accettato ufficialmente la candidatura a presidente per il Partito Democratico, che decise di correre nuovamente per la carica. “Questa non è una battaglia per conquistare voti, questa è la battaglia per conquistare l’anima degli Stati Uniti”, ripeté. Da allora sono trascorsi otto mesi, da Charlottesville quasi quattro anni, dall’inizio del suo mandato 100 giorni, e il neo presidente sa bene che quella battaglia è solo all’inizio. “L’insurrezione” del 6 gennaio a Capitol Hill “è stata una crisi esistenziale, una prova per capire se la nostra democrazia potesse sopravvivere. E lo ha fatto. Ma la lotta è tutt’altro che finita”, ha detto nel primo discorso pronunciato in Congresso mercoledì 28 aprile, alla vigilia dei 100 giorni al governo.
Mentre parla gli echi della rivolta risuonano ancora in quella stessa aula. Poco prima una giuria di New York ha condannato un sostenitore di Trump per aver chiesto il “massacro” dei senatori democratici in un video condiviso dopo il 6 gennaio: ora rischia di finire in carcere per dieci anni. L’Fbi nel frattempo ha perquisito l’appartamento di Manhattan di Rudy Giuliani, ex sindaco di New York e avvocato fedelissimo di Trump nell’ambito dell’indagine sulle presunte relazioni con i funzionari ucraini che lo stavano aiutando ad investigare sui rivali politici di Trump, tra cui Biden.
Intanto, nonostante gli sforzi di Giuliani non abbiano assicurato un secondo mandato all’ex presidente, nella contea di Maricopa, in Arizona, va avanti un nuovo conteggio dei voti elettorali dopo che i sostenitori di Trump hanno vinto un contenzioso giudiziario. Una farsa promossa e orchestrata dalle reti televisive che continuano a dar voce all’ex presidente silenziato da Twitter. Biden parla a un Paese ancora diviso, in cui quasi metà degli elettori repubblicani (44 per cento secondo un sondaggio dell’emittente Nbc) crede che Trump conti più del partito stesso, dove i congressmen del Gop si son guardati bene dall’applaudire i passaggi cruciali dell’accorato discorso di Biden. Eppure “Sleepy Joe” – come era solito chiamarlo il suo predecessore – mostra di essere tutt’altro che “dormiente”. Perché quella per l’anima degli Stati Uniti è la battaglia della sua vita.
Ai giornalisti che ha incontrato prima di pronunciare il discorso per i 100 giorni, ha detto che i vertici tenuti con i leader stranieri in questi tre mesi, dal presidente russo Vladimir Putin a quello cinese, Xi Jinping, lo hanno convinto che la sfida di questo momento storico è quella per la resistenza della democrazia nel mondo. “Se le cose cambiano sempre più velocemente – ha chiesto loro – è possibile ottenere il consenso necessario in tempo per competere con l’autocrazia? In futuro dovrete scrivere di questo”. Ma per vincerla Biden deve ritrovare il suo sparring partner: il partito repubblicano, con cui in 37 anni da senatore e otto da vicepresidente ha imparato a tessere la tela del compromesso, e che adesso ha imbracciato le armi della radicalizzazione e della guerriglia mediatica.
Così, più che un bilancio dei primi tre mesi, il suo discorso sembra un appello disperato a ritrovare lo spirito bipartisan. Invita a investire nella ricerca contro il cancro perché “non c’è niente di più bipartisan“, chiede che “ognuno faccia la sua parte” citando Franklin Roosevelt (“è tutto quello che chiedo”, dice), ricorda le conquiste di questi 100 giorni: una massiccia campagna vaccinale portata avanti più velocemente del previsto, un piano di investimenti da 1.900 miliardi che prevede la creazione di 7 milioni di posti di lavoro nel lungo termine e il Piano presentato in Congresso mercoledì per sostenere il welfare delle famiglie a reddito medio-basso con un sistema fiscale progressivo, a cui le altre democrazie occidentali guardano con ammirazione e stupore. “Possiamo fare qualsiasi cosa se decidiamo di farla insieme. Questa è l’essenza dell’America, questa è la democrazia in azione”, ripete ai senatori repubblicani. “Non possiamo perdere tempo a combattere l’uno contro l’altro e dimenticare di vincere la competizione del 21esimo secolo”.
Biden ha bisogno dell’appoggio e della collaborazione di tutti per approvare in Senato i disegni di legge più controversi e garantire benessere alla popolazione per tornare a vincere la battaglia globale tra democrazia e autocrazia. È in questa nuova chiave che vuole riconquistare l’anima degli Stati Uniti. Le istituzioni democratiche devono funzionare per superare la sfida del secolo tra due sistemi di governo, dimostrando che quello americano è ancora all’altezza di affrontare la prova del tempo, di un mondo che corre più velocemente e con cui gli Stati Uniti non sono riusciti a stare al passo. Su quest’asse interpreta lo scontro con la Cina, a cui deve provare che “scommettere con gli Stati Uniti è ancora una scommessa sbagliata” e far dimenticare l’assalto a Capitol Hill che ha screditato l’immagine del Paese e persuaso gli avversari asiatici che se “l’America è tornata” non sarà per molto.
Allora striglia il popolo che crede in un “Deep State” che trama alle spalle dei cittadini, e se potesse occuperebbe nuovamente le aule del Campidoglio, ricordando loro che “il governo siamo ‘Noi, il popolo‘. Io e voi. Non una forza in una capitale distante, non una forza che non possiamo controllare. Siamo noi, ‘Noi, il popolo'”. “We, the people“, dice citando la Costituzione. Arrendersi nella lotta per ritrovare l’identità del Paese significa perdere il nuovo scontro di civiltà. Solo riconciliandosi e sconfiggendo i nemici interni gli Stati Uniti potranno battere anche gli avversari esterni, “dimostrando che la democrazia è duratura e forte”. “E non saranno gli autocrati a governare il futuro – conclude Biden – L’America lo farà”.