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Al Qaeda chiama, Obama risponde

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Molte ambasciate americane rimarranno chiuse fine a sabato. In Yemen è scattato l'allarme terrorismo

Questa mattina, 7 agosto 2013, il governo yemenita ha dispiegato le sue truppe attorno a molte ambasciate, uffici governativi e l’aeroporto, mentre Stati Uniti e Gran Bretagna evacuavano il proprio personale dalle rappresentanze nello Stato del Golfo. L’esercito ha piazzato diversi check point in molti snodi fondamentali della città a causa di ulteriori minacce che seguono quelle già dirette alle rappresentanze americane la scorsa settimana.

S&D

Intervistato dalla BBC, un portavoce del governo yemenita ha detto che le autorità hanno sventato un tentativo di far saltare alcuni oleodotti che avrebbero tagliato le risorse di due città portuali nel sud del Paese, permettendo ad al-Qaeda di prenderne il controllo. I jihadisti si sarebbero travestiti da poliziotti, pronti ad assaltare le raffinerie in un piano ben organizzato.

La velocità con cui questi eventi stanno accadendo, e il fatto che i presunti attacchi non hanno un obbiettivo ben preciso, ha già portato Washington a chiudere 25 ambasciate americane in suolo straniero per precauzione.

La decisione sarebbe scaturita in seguito a minacce contenute in una conversazione elettronica intercettata tra due leader di al-Qaeda. La posizione è stata adottata sullo sfondo di una crescente ostilità tra gli Stati Uniti e i gruppi jihadisti, principalmente in Yemen, che ha visto un’escalation negli ultimi 18 mesi.

Secondo il New York Times, la conversazione avvenuta la scorsa settimana tra Ayman al-Zawahiri, successore di Osama Bin-Laden alla guida di al-Qaeda, e Nasser al-Wuhayshi, capo di ‘Al-Qaeda nella Penisola Araba’ (AQAP), conteneva l’ordine di attaccare obbiettivi americani domenica scorsa. Sarebbe questo il motivo per cui venerdì 2 agosto gli Stati Uniti avrebbero chiuso le proprie ambasciate per il fine settimana. Tra queste, ieri si è appreso che ben 19 rimarranno chiuse addirittura fino al prossimo sabato.

Dutch Ruppersberger, il rappresentante democratico presso la commissione per l’intelligence della camera dei Rappresentanti americana, ha dichiarato ad Al Jazeera che “le informazioni di cui gli Stati Uniti sono in possesso indicano che ‘al-Qaeda nella penisola Araba’ sta pianificando un attacco di vaste proporzioni.” Il presidente della stessa commissione, Michael McCaul, si spinge oltre: “È la minaccia più concreta dopo quella dell’11 settembre 2001.”

Le ambasciate e sedi consolari americane chiuse fino al 10 agosto sono quelle di Abu Dhabi, Amman, Cairo, Riyadh, Dharhan, Jeddah, Dubai, Kuwait, Manama, Muscat, Sanaa, Tripoli, Antanarivo, Bujumbura, Djibouti, Khartoum, Kigali e Port Louis. L’allarme è accompagnato da un’allerta a tutti i cittadini americani di non viaggiare verso lo Yemen e, invece, di lasciare il paese per coloro presenti nell’area.

Ambasciate come obbiettivo

Il gruppo jihadista ‘al-Qaeda nella Penisola Araba’ è già stato protagonista di molti attacchi contro le rappresentanze degli Stati Uniti. Il suo capo, Nasir al-Wuhayshi, è stato per lungo tempo segretario nonché uno dei più fedeli uomini di Osama Bin-Laden. Il che spiegherebbe sia la sua ascesa dentro il gruppo – è secondo solo alla leadership di al-Zawahiri, attualmente nascosto in Pakistan – sia la tattica di organizzare veri e propri assalti contro le ambasciate, tipica della strategia di Bin Laden.

Solo nel 2008 la rappresentanza americana a Sanaa, in Yemen, fu attaccata due volte. A marzo un gruppo affiliato al network di al-Qaeda lanciò colpi di mortaio che però atterrarono su una scuola femminile, provocando la morte di una guardia e di una studentessa.

Il 17 settembre dello stesso anno 6 assalitori vestiti da poliziotti cercarono di sfondare il perimetro di sicurezza dell’ambasciata detonando un’autobomba, che non riuscì però a creare un varco per assediare l’edificio. La battaglia che ne conseguì durò 20 minuti. In tutto morirono 19 persone, di cui 7 civili.

A questi si aggiunge il fallito attentato di dicembre 2009, dove un jihadista provò a far saltare in aria un aereo di linea diretto a Detroit trasportando dell’esplosivo nei propri indumenti intimi. L’attacco fu presto rivendicato proprio da Aqap.

Questi, più altri due tentativi di minore entità nel 2009 e 2012 di assaltare la rappresentanza americana a Sanaa, espongono la debolezza di Washington nell’area e giustificano in parte il suo allarmismo.

Dall’altra parte, è proprio lo stesso Obama che ha determinato la reazione di al-Qaeda. La ‘guerra di droni‘ iniziata 18 mesi fa ha lo scopo di cacciare i jihadisti dallo Yemen, ma in pratica li ha fatti radunare nel nordest del Paese. Da qui Aqap organizza i suoi attacchi, portando avanti una guerra di logoramento permanente contro la presenza americana e la sua strategia incentrata su i velivoli senza pilota.

Intanto questo martedì un drone ha ucciso quattro membri di al-Qaeda che viaggiavano in un’auto nell’area tribale di Marib, nella provincia centrale del Paese. È quindi facile intuire che l’ambasciata di Sanaa rimarrà chiusa almeno fino a sabato per paura di rappresaglie. L’ordine è stato esteso alle altre sedi per “precauzione”, ha riferito il portavoce del Dipartimento di Stato Jen Psaki.

Prigioni come armi

Visto da un’altra prospettiva, l’allarmismo americano arriva in risposta alla presunta strategia di al-Qaeda di attaccare le prigioni per ingrossare le proprie fila.

Secondo l’Interpol, lo scorso luglio ci sono state 11 evasioni di massa in soli 25 giorni. I Paesi coinvolti sono 9 e vanno dall’Iraq all’Indonesia, passando per il Pakistan. L’agenzia di polizia internazionale sta indagando sull’identità degli evasi, anche se sembra che in quasi tutti i casi gli attacchi siano serviti per liberare membri di alto rilievo affiliati ad al-Qaeda.

È una tecnica già usata in passato: “al-Qaeda libera dalle prigioni coloro che simpatizzano con il movimento” – commenta Michael Singh su Al Jazeera – “questi elementi finiscono per ingrossare le fila del gruppo.”

Solo a Benghazi il 27 luglio scorso sono scappati 1.000 militanti, a cui ancora si sta dando la caccia. Lo stesso vale per i 500 detenuti evasi dal carcere di Abu Ghraib in Iraq lo scorso 22 luglio.

A questo si aggiunge la minaccia di al-Zawahiri tramite un video in cui dichiara di voler liberare i musulmani detenuti a Guantanamo, trasmesso la scorsa settimana. Il leader di al-Qaeda elogia i 106 detenuti in sciopero della fame e denuncia la pratica americana dell’“alimentazione forzata” a cui i prigionieri sono sottoposti.

Considerato questo quadro geopolitico articolato e complesso, Washington non può a questo punto certo permettersi alcuno scetticismo nei riguardi di minacce terroristiche. La senatrice repubblicana Lindsey Graham ha detto alla CNN che la decisione di chiudere le ambasciate dimostra che l’amministrazione Obama ha imparato dai propri errori in Libia, dove l’ambasciatore a Benghazi Chris Stevens perse la vita in un attacco terroristico l’11 settembre del 2012.

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