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L’ICID sul quinto Summit Unione Africana-Unione Europea: “Da Abidjan nessuna vera strategia per la migrazione”

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Secondo l'ICID il Summit ha fallito nell’identificare una strategia per una gestione ordinata dei flussi migratori dalla regione

Secondo l’Italian Centre for International Development (ICID), il quinto Summit Unione Africana-Unione Europea ha fallito nell’identificare una strategia per una gestione ordinata dei flussi migratori dalla regione

Roma 5 Dicembre 2017 – “Il V Summit Unione Africana-Unione Europea si è concluso senza l’identificazione di una strategia per una gestione ordinata dei flussi migratori dalla regione. Un risultato deludente che dipende dal mancato riconoscimento della migrazione, soprattutto dai paesi africani, come fenomeno strutturale di lungo periodo che non va arginato, ma governato in modo da ridurne i costi umani e sociali e da garantire benefici per i paesi di origine, di destinazione e per i migranti stessi.”

Questa, espressa dalle parole del suo direttore Furio Rosati, è la conclusione a cui l’Italian Centre for International Development è arrivata dopo aver studiato i risultati del Summit AU-EU, tenutosi ad Abidjan il 28-29 novembre 2017.

Secondo Rosati, il solo risultato realmente raggiunto è un sostenuto sforzo di rimpatrio dei migranti detenuti in Libia in condizioni di aperta violazione dei diritti umani di base. Circa 14,000, infatti, saranno riportati con un ponte aereo verso le località di origine. “Una risposta necessaria: l’elettorato europeo non è infatti disposto ad accettare campi di concentramento come strumento di controllo dei flussi migratori”.

Per il resto, l’impegno della UE e della UA si fonda sullo stanziamento (potenziale) di ingenti fondi destinati allo “sviluppo” economico dei paesi di origine dei migranti, rivolti soprattutto a sostenere la micro e piccola imprenditorialità giovanile. “Un approccio”, continua il direttore dell’ICID, “minato in primo luogo dalla poca fondatezza della premessa che nel breve-medio periodo miglioramenti delle prospettive occupazionali (dei giovani) riducano gli incentivi a migrare. Al contrario, come si è spesso riscontrato, il miglioramento delle condizioni economiche permette ad un maggior numero di persone di affrontare i costi della migrazione”.

È utile ricordare anche che la promozione della micro imprenditoria giovanile si è in passato rivelata poco efficace nel generare un rilevante aumento dell’occupazione e dei salari e che nessun paese è riuscito a basare una crescita sostenuta su una base industriale di piccole e piccolissime imprese.

Positivo invece, secondo Rosati, l’impegno a promuovere istruzione e formazione. Tuttavia, pur essendo un passo nella giusta direzione, si tratta di un intervento destinato a produrre i suoi effetti nel medio-lungo periodo ed è dubbio che possa ridurre gli incentivi alla migrazione.

“Non si è tenuto conto del fatto che la migrazione è un fenomeno di lungo periodo che può e deve essere trasformato in un’opportunità per i paesi di origine, di destinazione e i migranti stessi”, conclude Rosati. “È mancato il disegno di una strategia verso una migrazione sostenibile fatta di interventi coordinati tra paesi di origine e di destinazione che tengano conto delle caratteristiche dei paesi e delle regioni coinvolte, delle sfide del mercato del lavoro e anche dell’impatto dei cambiamenti climatici”.

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