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Coronavirus, Carlo Cottarelli a TPI: “Oggi non è il momento di risparmiare”

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Coronavirus, Carlo Cottarelli a TPI: “Oggi non è il momento di risparmiare”

L’economista Carlo Cottarelli, già commissario straordinario per la spesa pubblica, docente universitario e direttore dell’Osservatorio conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano, intervistato da TPI fa il punto sull’intervento economico del governo per arginare l’emergenza Coronavirus, sulle regole europee e sulle possibili evoluzioni dei mercati.

S&D
Prof. Cottarelli, in che direzione dobbiamo vedere la manovra del Governo? Basterà per far riprendere il Paese?

25 miliardi rappresentano un piano di misure consistenti, si tratta di quasi un punto e mezzo di Pil.  Se sarà sufficiente, lo vedremo, speriamo. Non è stato ancora deciso come spendere interamente tutti i soldi. Quello che il governo ha chiesto è di poter spendere ulteriormente se ce ne fosse bisogno.

Come si pone l’Italia rispetto al tema del deficit, e del rispetto delle regole Europee?

Non è necessario sospendere le regole europee, perché queste consentono ai Paesi di aumentare il proprio deficit anche al di sopra del 3% in presenza di uno shock recessivo soprattutto se non causato dal Paese e soprattutto se accompagnato da crisi e rischio di recessione a livello europeo. È possibile intervenire senza violare le regole europee, questo non dovrebbe essere un problema.

Cosa possiamo aspettarci dai mercati finanziari?

Il vincolo vero è proprio la reazione dei mercati finanziari, anche se per ora la reazione è stata particolarmente buona. In particolare, per quanto riguarda i titoli di stato, i tassi di interesse sui BTP è aumentato, ma di poco, e rimane su livelli bassi, intorno all’1.3% circa. Se poi la Banca Centrale Europea decidesse di ampliare il proprio intervento sui titoli con aumento del Quantitative Easing, la reazione dei mercati potrebbe rimanere favorevole.

Il fatto che abbia l’Italia un importante debito pubblico e una spesa pubblica ampia è un ostacolo alla nostra ripresa?

Sarebbe meglio avere un debito più basso, ma la situazione è quella che è, avere questo livello di debito in questo momento non ci deve impedire di effettuare un intervento a favore dell’economia, perché si tratta di una situazione di emergenza. Durante le situazioni di emergenza si fanno cose che si dovrebbero evitare in altre situazioni. In questo caso c’è la necessità di un intervento anche in deficit, mentre in altre situazioni questo non sarebbe appropriato. Ci prendiamo qualche rischio sul lato del debito pubblico ma è un rischio necessario in questo momento.

Tutti si chiedono quando e se si riprenderà l’economia, da imprenditori a liberi professionisti.

Purtroppo non sappiamo quanto durerà l’emergenza medica. Questo è un nuovo virus, tutti sperano che non duri molto. Vedendo l’esperienza cinese, sembrerebbe che il peggio sia passato. Sempre che la Cina non riceva un contagio dall’esterno, quindi un secondo giro. Cosa che è possibile. E questo è un elemento di incertezza che ci impedisce di stabilire quanto durerà la crisi. L’esperienza passata ci dice che crisi economiche causate da emergenze epidemiologiche, una volta risolto il problema medico si torna a crescere senza troppi strascichi. Resta il fatto che l’economia aveva squilibri piuttosto grossi quindi potrebbero esserci dei problemi nel tempo per esempio nel livello dei crolli azionari.

Quando lei era stato commissario alla spesa pubblica erano state portate avanti diverse riforme di contrasto agli sprechi, proprio per evitare l’aumento del debito in situazioni di non emergenza? Perché queste riforme spesso si sono arenate?

Oggi non è il momento di risparmiare, ma il motivo per cui in passato è stato difficile portare avanti queste riforme è perché esistono gruppi di interesse che le contrastano. Siamo tutti a favore dei tagli alla spesa, in linea di principio, ma si vanno a colpire alcuni interessi. Chi ne va a guadagnare è la collettività ma in modo piccolo, chi ci perde sono pochi, ma in modo ingente. E’ per questo che esiste molta resistenza, da parte di alcune lobby, alle riforme della spesa.

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