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Turetta condannato, Elena Cecchettin contro i giudici: “Alle istituzioni non importa nulla delle donne”

Immagine di copertina
Credit: AGF

Elena Cecchettin non è soddisfatta della sentenza del Tribunale di Venezia che ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per l’omicidio di sua sorella Giulia. L’ha delusa, in particolare, la decisione dei giudici di non riconoscere a carico del 23enne le aggravanti della crudeltà e dello stalking.

“Il non riconoscimento dello stalking (non parlo nemmeno dell’altra aggravante, la crudeltà, perché si commenta da sola) è un’ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne”, scrive la giovane in un lungo messaggio pubblicato nelle stories di Instagram, in cui prende di mira anche l’avvocato di Turetta, Giovanni Caruso.

“Una sentenza giudiziaria non corrisponde sempre alla realtà dei fatti. Si chiama verità giudiziaria, ed è quello che viene riportato dal verdetto. E basta”, osserva Elena Cecchettin. “Ciò che è successo non sparisce solo perché un’aggravante non viene contestata, o più di una. E non toglie nemmeno il dolore e l’ansia che ho dovuto subire io personalmente in quanto persona vicina a Giulia”.

“Inevitabilmente – prosegue la 25enne – le persone intime alla vittima vengono trascinate negli stati di ansia e turbamento. Chiaramente non sto insinuando che il dolore che abbia provato Giulia sia paragonabile, tuttavia è giusto ricordare che il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto anche alla famiglia della vittima”.

Anche il padre di Giulia, Gino Cecchettin, si era detto stupito per il mancato riconoscimento delle due aggravanti: “Se con migliaia di messaggi e 75 coltellate non sono riconosciuti lo stalking e la crudeltà, allora devo capire cosa sono queste aggravanti”, aveva detto dopo la sentenza, aggiungendo però che “è stata fatta giustizia” e che rispetta la sentenza.

Sua figlia è più tranchant: “Sei vittima solo se sei morta”, si sfoga su Instagram. “Quello che subisci in vita te lo gestisci da sola. Quante donne non potranno mettersi in salvo dal loro aguzzino se nemmeno nei casi più palesi non viene riconosciuta una colpa. Però va bene con le frasi melense il 25 novembre e i depliant di spiegazione”.

“Chi sostiene che tanto la condanna sarebbe stata la stessa non ha capito nulla”, prosegue la sorella della vittima. “Se nulla può riportarci indietro Giulia, almeno può fare la differenza per altre donne nel futuro. È facile richiudere in cella per sempre una persona, lavandosene le mani e dicendo di aver fatto giustizia. Ma è questa la vera giustizia?”.

E ancora: “Se non iniziamo a prendere sul serio la questione, tutto ciò che è stato detto su Giulia, che doveva essere l’ultima, sono solo parole al vento. Sì, fa la differenza riconoscere le aggravanti, perché vuol dire che la violenza di genere non è presente solo dove c’è un coltello o un pugno. Ma molto prima. E significa che abbiamo tempo per prevenire gli esiti peggiori”.

“Sapete cosa ha ucciso mia sorella?”, aggiunge Elena Cecchettin: “Non solo una mano violenta, ma la giustificazione e il menefreghismo per gli stadi di violenza che anticipano il femminicidio”.

La sorella di Giulia, poi, punta il dito contro il legale di Filippo Turetta: “Fare l’avvocato – scrive nelle sue stories – è una professione e tutti hanno diritto a una difesa e su questo non ci piove. Tuttavia questo non significa non avere responsabilità. Sostenere che i comportamenti dell’imputato siano ‘ossessivi, quasi da spettro autistico’ e giustificare con questa affermazione tutto quello che è successo è vergognoso”.

“Stiamo parlando di comportamenti che ledono la libertà e la vita di una persona – sottolinea la giovane – e associarli con così tanta leggerezza a una neurodivergenza banalizza e sminuisce queste azioni. Inoltre, peggiora i pregiudizi già esistenti nella società verso le persone neurodivergenti e sullo spettro dell’autismo”.

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