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Omicidio Regeni, inchiesta chiusa: quattro 007 egiziani verso processo. “Giulio legato con catene di ferro”

Immagine di copertina

Oltre 4 anni fa, dal 25 gennaio al 3 febbraio del 2016, a soli 2 chilometri in linea d’aria dall’ambasciata italiana, si consumavano al Cairo le brutali torture ai danni di Giulio Regeni. Nella stanza “13” di un villino anni Cinquanta, sulla riva destra del Nilo, il corpo del giovane ricercatore di Fiumicello veniva martoriato, così come “previsto” per i cittadini stranieri sospettati di “attività sovversive”.

La Procura di Roma questa mattina ha notificato, con le norme previste per gli indagati ‘irreperibili’, la chiusura delle indagini per il rapimento, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni. Gli uomini che portano la responsabilità di questi gesti sono quattro ufficiali della National security agency: Sabir Tariq, generale presso il Dipartimento della sicurezza nazionale; Ibrhaim Kamel Athar, colonnello, direttore di ispezione presso la Direzione della sicurezza di Wadi-Al-Jadid; Helmy Uhsam, colonnello, già in forza alla Direzione della sicurezza nazionale; Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, maggiore del servizio presso la sicurezza nazionale. La procura di Roma ne chiede il giudizio con un atto di accusa di 94 pagine firmato dal procuratore capo Michele Prestipino e dal sostituto Sergio Colaiocco.

Cinque le testimonianze chiave raccolte in questi cinque anni dalla Procura di Roma, indicate dai magistrati con altrettante lettere dell’alfabeto greco: Alfa, Beta, Gamma, Delta, Epsilon. Due le testimonianze chiave: quella di Delta e di Epsilon.

Le testimonianze

Giulio Regeni è morto per insufficienza respiratoria acuta a causa delle imponenti lesioni di natura traumatica provocate dalle percosse da parte del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Lo sostengono il procuratore Michele Prestipino e il pm Sergio Colaiocco nell’avviso di conclusione delle indagini. A Sharif sono contestate infatti, oltre al sequestro di persona pluriaggravato, anche le lesioni gravissime e l’omicidio. “Al fine di occultare la commissione dei delitti suindicati, – si legge nelle carte – abusando dei suoi poteri di pubblico ufficiale egiziano, con sevizie e crudeltà, mediante una violenta azione contusiva”, che “esercitava sui vari distretti corporei cranico-cervico-dorsali, cagionava imponenti lesioni di natura traumatica a Giulio Regeni da cui conseguiva una insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava a morte”.

“Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace”. Questo è il racconto fornito da uno dei cinque testimoni  (il test Epsilon) sentiti dai magistrati di Roma nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. La sua testimonianza è stata citata oggi dal pm Sergio Colaiocco nel corso dell’audizione davanti alla commissione di inchiesta sulla morte del giovane ricercatore friulano.

“Ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso – ha dichiarato il testimone -. È una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c’è la stanza 13 dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale. Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C’erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e stava blaterando parole nella sua lingua, delirava. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro la schiena aveva dei segni, anche se sono passati quattro anni ricordo quella scena. L’ho riconosciuto alcuni giorni dopo da foto sui giornali e ho capito che era lui”.

Riferisce il teste Delta: “Il 25 gennaio, mentre ero nella stazione di polizia di Dokki, potevano essere le 20 o al massimo le 21, è arrivata una persona… Avrà avuto tra i 27 e i 28 anni, aveva una barba corta, indossava un pullover, verosimilmente tra blu e grigio, se non ricordo male con una camicia sotto… Si esprimeva in italiano e ha chiesto un avvocato… Sono sicuro che si trattasse di Giulio Regeni. Nelle foto che ho visto su internet aveva la barba più lunga”.

“Mentre ero alla stazione di Dokki ho visto arrivare il ragazzo che solo successivamente ho riconosciuto come Giulio Regeni che, mentre percorreva il corridoio, chiedeva di poter parlare con un avvocato o con il Consolato. In quel frangente ho visto bene il ragazzo italiano, che arrivava con quattro persone in abiti civili. Contestualmente ho visto uno di questi quattro soggetti con un telefono in mano”. Più avanti Delta precisa che Regeni “è stato fatto salire su un’auto modello Shine, è stato bendato e condotto in un posto che si chiama Lazoughly. Uno dei poliziotti che si trovavano lì veniva chiamato Sherif… un altro si chiamava Mohamed, ma non so se è il vero nome”.

Chi sono gli ufficiali della National security agency

Magdi Ibrahim Abdelal Sharif

Oggi ha 36 anni, quattro in più di quelli che avrebbe avuto Giulio Regeni se avesse continuato a vivere. È forse questo il dato che più impressiona a leggere il ritratto del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, l’ufficiale della National security egiziana.

Il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif è l’uomo che ha coordinato l’operazione di spionaggio di Giulio ed è lo stesso che ha falsamente accusato e fatto arrestare ad aprile 2016 Ahmed Abdallah, il presidente del consiglio d’amministrazione della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), rilasciato dopo sei mesi di carcere.

È proprio il maggiore Sharif che Mohamed Abdallah, capo del sindacato indipendente, chiama subito dopo l’incontro con Regeni per consegnargli la telecamera nascosta.

Il colonnello gli aveva promesso una ricompensa alla chiusura del caso Regeni.

Helmy Uhsam

Come hanno dimostrato i tabulati telefonici sviluppati in Italia da Sco e Ros, il colonnello Helmy Uhsam è uno degli agenti della National Security che aveva arruolato l’ambulante Mohammed Abdallah.

Helmy è lo stesso che, nel marzo 2016, accolse in aeroporto gli agenti inviati dall’Italia affermando davanti a loro che né lui né i suoi colleghi avevano mai sentito pronunciare prima del ritrovamento del cadavere il nome di Regeni.

Leggi anche: Regeni, l’Egitto non collabora e abbandona l’inchiesta nel silenzio di Conte e Di Maio

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