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Chi erano i medici morti combattendo il Coronavirus: 10 storie per ricordarli

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Credit: Emanuele Fucecchi

Chi erano i medici morti combattendo il Coronavirus: 10 storie per ricordarli

Il 9 aprile 2020 sarà una data difficile da dimenticare. Ma forse, di questo 2020, saranno tante le date che non scorderemo. Oggi i medici morti per il Coronavirus hanno raggiunto quota 100. Ci sono numeri che sono soltanto numeri e altri che pesano. A ogni numero corrisponde un nome, un volto, una storia, un impegno, un’emozione. I nomi di quei medici che sono morti perché hanno deciso di continuare, diligentemente, a compiere il loro lavoro e quindi ammalandosi, TPI li ha riportati tutti. Per non perderne traccia. Perché di questo virus che ci ha portato via intere generazioni – l’ultimo bilancio parla di 95.262 positivi, 17.669 morti – e che ha segnato quest’anno in modo indelebile, non resti solo il dolore, ma anche la gioia e la consapevolezza di aver avuto tanti condottieri fieri.

S&D

Abbiamo deciso di riportare 10 storie, 10 nomi, di chi è caduto combattendo.

Gino Fasoli

Il dottor Gino Fasoli, è morto lo scorso 14 marzo. La storia del medico abruzzese, 73 anni, è però diversa dalle altre: perché lui, dopo una vita passata in corsia, da qualche tempo era riuscito a entrare in pensione. Nonostante ciò, era tornato a indossare il camice bianco quando alcuni colleghi hanno chiesto il suo aiuto a causa del Covid-19.

Fasoli aveva così ripreso servizio in un ambulatorio nel Bresciano, vicino a Passirano, la cittadina in cui abitava. In un periodo in cui molti medici sono stati spostati in ospedale per rispondere all’emergenza, mentre altri si sono ammalati, il 73enne aveva accettato di dare una mano dove serviva. Tuttavia, il medico abruzzese è stato contagiato dal Coronavirus. Ed è morto il 14 marzo scorso all’Istituto clinico San Rocco a Ome.

Fasoli non si era mai sposato. Da giovane aveva indossato per anni la tonaca francescana. Poi la decisione di studiare medicina e dedicare così la sua vita alla cura dei pazienti: aveva lavorato in Italia (era stato anche direttore sanitario del pronto soccorso di Bornato, sempre nel Bresciano), ma aveva anche fatto esperienze di volontariato all’estero, soprattutto in Africa. In Somalia, anni fa, venne addirittura rapito.

Roberto Stella

Il dottor Roberto Stella è morto l’11 marzo a 67 anni. Era il presidente dell’Ordine dei medici di Varese e responsabile area strategica formazione della Fnomceo “Il Coronavirus si è portato via in pochi giorni un amico, un collega, un presidente sempre pronto a spendersi per gli altri, senza risparmiarsi. Per i suoi pazienti, per tutti i medici e gli odontoiatri dei quali curava la formazione, in particolare quella Ecm”, commenta il presidente della Fnomceo.

Alessandro Maria Colombo, Direttore dell’Accademia di formazione per il servizio sociosanitaro lombardo, lo ricorda come un martire. “Ha professato fino alla morte. Qualche giorno fa mi disse: ‘Abbiamo finito le mascherine. Ma non ci fermiamo. Stiamo attenti e andiamo avanti”. Saverio Chiaravalle, primario all’ospedale San Donato: “Un uomo così è di tutti, perché si è dato a tutti. Era più che un eroe, era un uomo che sapeva piangere. Che si commuoveva di fronte al bello e al vero. Voleva cambiare. Cambiare sé e aiutare le persone a farlo. Un maestro.Siamo in battaglia. E hanno ucciso il comandante. Abbiamo paura. Ma lui, commosso, avrebbe detto di andare avanti, di non fermarsi. Un passo dopo l’altro. Come gli alpini, cui Roberto apparteneva. A noi tocca onorare il capitano: fare quello che dobbiamo fare, stando a casa, tranquilli, fermi. Possibilmente sostenendo chi è al fronte, come possiamo. Non foss’altro con le preghiere”.

Carlo Amodio

Il 5 aprile si è spento dottor Carlo Amodio. Era primario dell’ospedale di Fano, in provincia di Pesaro-Urbino. Il medico ha combattuto il virus fino all’ultimo momento ed è rimasto lì, in prima linea. Radiologo, non ha lasciato mai le sue strumentazioni. È morto a 71 anni nella rianimazione dell’ospedale San Salvatore, a Pesaro.

“Nella domenica della pace, ha finito di tribolare. Però non è giusto: per lui, per noi e per tutti quelli che avrebbe potuto ancora curare. Ha trovato tante soluzioni per tutti. Per lui invece niente”, dice al Resto del Carlino la moglie Donatella, ancora incredula.

Carlo Amodio viene ricordato come un medico di grande valore, morale e professionale, un uomo buono che non perdeva occasione per aiutare gli altri: generoso, sempre allegro e perfezionista. L’uomo era ricoverato dall’11 marzo scorso. Il dotto Amodio era un professionista molto conosciuto e stimato non solo a Fano dove è stato primario, ma in tutta la provincia e pure fuori regione. Un uomo e un medico di grande valore, morale e professionale, che non perdeva occasione per aiutare gli altri.

Francesco Foltrani

Il dottor Francesco Foltrani aveva 67 anni ed era prossimo alla pensione. La notizia della sua morte ha gettato nello sconforto l’intera città. Lascia la moglie Laura e i figli Marco e Chiara. “Una perdita molto grave” – le parole commosse del vicesindaco Filippo Saltamartini nella Basilicata. “Era il medico della mia famiglia e di molti altri cingolani: una persona eccezionale”. “Un martire, un medico morto sul campo”, le parole rotte dal dolore del presidente dell’Ordine dei medici Romano Mari che ha anche denunciato una situazione diventata ormai insostenibile.

Come racconta il Resto del Carlino, Foltrani laureandosi in medicina, aveva continuato la professione del padre, il dottor Aldo, indimenticabile medico di famiglia come il figlio che, molto stimato per la sua preparazione e apprezzato per le spiccate doti umane, svolgeva un intenso impegno nello studio nel centro medico cingolano dall’inizio dell’attività del complesso sanitario

Giuseppe Borghi

Il dottor Giuseppe Borghi è morto a 64, ha perso la sua battaglia contro il Coronavirus. La figlia, Elena Borghi, parlava ad Avvenire del papà Giuseppe contagiato mentre svolgeva il suo servizio a Casalpusterlengo: “Non si è mai fatto problemi a restare ben oltre l’orario di ambulatorio, se qualche paziente lo chiamava per chiedergli di aspettarlo. Ci è sempre stato per tutti, senza gesti eclatanti ma vivendo giorno dopo giorno il suo lavoro con impegno e abnegazione”.

L’uomo si era contagiato mentre svolgeva il suo servizio all’ambulatorio di via Marsala a Casalpusterlengo, Comune della “zona rossa” lodigiana. Il dottor Borghi – casalese doc – l’aveva aperto nei primi anni Ottanta, dopo la specializzazione in scienze dell’alimentazione. Aveva avuto la possibilità di trasferirsi a Piacenza, dov’era andato a vivere dopo il matrimonio con Daniela.

Il dottor Borghi aveva intuito che qualcosa non andava non appena aveva avuto avvisaglie di una febbre. Da qui la decisione di allontanarsi dalla famiglia. “Ha voluto proteggerci, si è isolato, era preoccupato per noi, per mio cognato e mia sorella, che da poco hanno avuto una bambina”, dice Elena. All’inizio si è curato da casa, attendendosi alle indicazioni dei colleghi alle prese con un virus ancora sconosciuto nelle possibili evoluzioni. Ricoverato a Piacenza per complicazioni polmonari, è stato quindi trasferito a Bologna in terapia intensiva, dove è spirato l’11 marzo.

Andrea Carli

Andrea Carli aveva 69 anni e con la moglie era partito per un viaggio. Il medico di Codogno in vacanza in India e positivo al Coronavirus è morto nell’ospedale di Jaipur. Dopo una vita al servizio del prossimo, si erano concessi una vacanza. Secondo quanto ricostruito, l’uomo, medico di Codogno in pensione, era stato dichiarato negativo dai medici dell’ospedale di Jaipur nel Rajasthan, che affermavano di averlo curato con una combinazione di farmaci antiretrovirali. Carli aveva altre patologie pregresse polmonari, che si sarebbero poi aggravate a causa del virus, ed è morto nella notte tra il 19 e il 20 marzo.

Secondo quanto riferito dall’AGI, Carli ha continuato fino all’ultimo, fin quando si è a sua volta ammalato, a curare telefonicamente i suoi pazienti di Codogno dando consigli anche in tema di Coronavirus. Carli era pneumologo, medico di base a Codogno ma originario della Liguria e ultimamente risiedeva a Sant’Angelo Lodigiano.

Marcello Natali

“Ci fa capire come in questo momento chiunque di noi possa essere colpito, come anche una persona sana e in salute a noi vicina possa scomparire”: così all’AGI parlava il sindaco Paolo Crescimbeni di San Giorgio di Piano, nel Bolognese, uno degli amici di infanzia di Marcello Natali, 57 anni, segretario della Federazione italiana dei medici di famiglia di Lodi.

Il dottor Natali aveva contratto il Coronavirus con tutta probabilità visitando i pazienti: era medico di famiglia a Codogno, ma era nato e cresciuto a San Giorgio, dove il papà Mario ero uno dei medici storici del ‘paese’, oggi 9000 abitanti a circa 25 chilometri da Medicina, già dichiarata ‘zona rossa’ per il Coronavirus.

Marcello non aveva patologie pregresse: è stato prima ricoverato a Cremona, poi, con l’aggravarsi del quadro clinico era stato trasferito a Milano..Il mio ricordo di Marcello? – conclude il sindaco – Era un giovane socievole e sorridente, un medico appassionato e attento ai suoi pazienti, proprio come suo padre Mario e gli altri due medici di base che vengono ricordati come le figure ‘chiave’ del paese”.

Ivo Cilesi

Il 3 marzo a 62 anni, è morto Ivo Cilesi, l’esperto genovese di riabilitazione cognitiva che ha inventato la terapia della “doll therapy” per aiutare i pazienti affetti da Alzheimer a stabilizzare l’umore e a stabilire un contatto con il mondo attraverso un oggetto emotivamente legato al vissuto della propria infanzia. Quella terapia, sperimentata la prima volta nel centro Alzheimer di Gazzaniga del quale Cilesi era consulente, era stata poi applicata in diversi altri centri clinici sparsi in tutto il mondo.

Cilesi, negli ultimi anni, aveva anche sperimentato un’altra “arma” terapeutica contro la temibile malattia neurodegenerativa: la terapia del viaggio.

“Quando studiavo all’università malattie dell’apparato respiratorio il professore di quella branca, che allora si chiamava ancora Tisiologia, ci raccontò che quando lui era giovane studiare le malattie respiratorie era una professione ad alto rischio. Capitava che ti ammalavi di tubercolosi e potevi morire. Mi ricordo che ai miei occhi di giovane studente di Medicina l’idea che si potesse morire per il proprio lavoro di operatore sanitario mi pareva strana, un poco da romanzo e da eroe. Un eroe dei nostri tempi è stato il dottor Ivo Cilesi, pedagogista di estrazione, che nel corso della sua vita si è dedicato alla cura dei malati affetti da demenza. In particolare ha studiato e sviluppato cure per il trattamento comportamentale, da associare a quello farmacologico, dei deterioramenti mentali più gravi”, lo ricorda così Luciano Casolari, medico psicoanalista sul Fatto Quotidiano.

“Morire compiendo il proprio lavoro di terapeuta, mentre si accudiscono le persone più deboli è sicuramente da eroi del nostro tempo. Il Coronavirus, forse assieme ad altre patologie pregresse, ha portato via questo mio coetaneo 61enne in breve tempo. Rimangono i suoi studi e le sue riflessioni oltre a un numero molto ampio di allievi formatisi alle innovative tecniche di ascolto e cura della demenza”.

Abdel Sattar Airoud

Il dottor Abdel Sattar Airoud, veniva da Aleppo, la città delle bombe e dei missili. Aveva studiato medicina a Bologna e si era specializzato in oncologia a Genova. Anche in pensione non si era tolto il camice. Così stava aiutando nella clinica Villa Verde. Poi la chiamata a Podenzano, in provincia di Piacenza, “un uomo sta male”. E lui è corso. Quell’uomo aveva il Coronavirus. Abdel Sattar Airoud se ne è andato in 10 giorni.

Chiara Filipponi

Anestesista all’ospedale di Portogruaro, compagna da una vita del primario di Odontostomatologia Michele Capuzzo, a seguito di una grave malattia è deceduta all’ospedale di Mestre. Le condizioni della dottoressa erano già precarie per via una grave malattia. Il Coronavirus è stato per lei letale. Da circa un mese si trovava ricoverata all’ospedale dell’Angelo di Mestre e in quel fisico già così duramente provato, il Covid-19 ha avuto vita facile nell’attecchire. Com’è stato precisato dall’Azienda sanitaria, il contagio dal Coronavirus è avvenuto mentre si trovava nel nosocomio mestrino.

Leggi anche: 1. “Chiudere solo Codogno non è stato sufficiente, eravamo tutti concentrati su quello, ma i buoi erano già scappati dal recinto”: parla Rezza (ISS) / 2. Calderoli a TPI: “La mancata zona rossa ad Alzano e Nembro ha determinato il disastro di così tante vittime in Italia”

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