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Home » Cronaca

Film mai girati, nomi falsi e scoop fasulli spacciati alle tv: chi c’è dietro al surreale caso Emme Team

Immagine di copertina
Il documento falso di Henry Iovine

Anno 2018. Intervisto Maria Teresa Giglio, madre di Tiziana Cantone, per il Fatto Quotidiano. Ad un certo punto la madre di Tiziana mi dice che la figlia non si è suicidata, che l’ha uccisa una persona, mi butta lì un nome. Rimango basita, visto che non aveva mai accennato questa tesi. Decido di tagliare questa parte, benché possa essere naturalmente una notizia, perché mi sembra un’ipotesi buttata lì, con accuse molto gravi e non supportate da alcuna prova, tanto più che Tiziana aveva già tentato il suicidio settimane prima con dei barbiturici.

S&D

Mi dimentico di questa storia, dopo un po’ leggo che la signora Giglio annunciava di aver fatto sparire tutti i video della figlia dalla rete grazie ad una società americana di nome EmmeTeam. Una società capace – tramite un metodo, denominato “Emme” – di rimuovere tutti i video, risalire all’ip di chi li aveva caricati e inviare tutto al Dipartimento di giustizia statunitense.

I giornali dedicano alla notizia le prime pagine, aperture sui siti, tg, le Iene in prima linea (sul loro sito hanno dedicato 10 articoli ai prodigi di Emme Team). Io resto perplessa, scrivo che non esiste l’oblio sul web e che questo mi sembra un grande inganno.

Nel giugno 2020 Gianluigi Nuzzi apre la puntata di Quarto Grado con l’aria contrita di chi deve annunciare una terribile, incredibile scoperta. Ecco lo scoop: una grande società americana – dice il giornalista – ha ripulito l’audio delle telefonate al 118 dei Ciontoli e ha scoperto cosa diceva davvero Marco Vannini.

Nuzzi legge quelle parole con lo sguardo truce, poi introduce il grande ospite: “Questi ingegneri prestigiosi sono riusciti in una MAGIA, hanno pulito l’audio! Si sentono le parole di Marco! La telefonata che può ribaltare il processo! NON SONO IMPAZZITO, dei supetecnici americani hanno pulito l’audio, ora quei versi sono chiarissimi, una clamorosa verità ”.

“Legali e consulenti americani uniti in una società, Emme Team. Noi non possediamo i loro strumenti ma possiamo mostrarvi i risultati!”, aggiunge l’autore del servizio. E viene introdotto l’ospite: il volto italiano di Emme Team, l’avvocato napoletano Salvatore Pettirossi.

L’avvocato pare imbarazzato e impacciato, inizia a dire che collaborano con premi Oscar del suono, che il loro processo è una formula non un’opinione, che loro usano una strumentazione nota in America ma in Italia arriviamo sempre in ritardo ecc…”.

Mi sembra tutto surreale. Compreso l’annuncio “I Vannini porteranno la nostra consulenza al processo e la telefonata ripulita sarà ascoltata in aula”. Penso che tutta questa faccenda puzzi di bufala lontano un miglio. Telefono alla criminologa Roberta Bruzzone chiedendo se conosce EmmeTeam, perché non mi convince, e viene fuori che lei, l’avvocato Annamaria Bernardini De Pace e la psicologa Maria Rita Parsi sono state truffate da questa sedicente società che promette di far recuperare diritti di opere come libri e canzoni ma in realtà non è una società, perché non esiste alcuna Emme Team tra le società registrate. Cosa che qualunque giornalista avrebbe potuto semplicemente verificare.

Soprattutto, chiedo chi ci sia a capo di questa società e scopro che le tre hanno sempre parlato via Skype con un tizio che dice di trovarsi in America e si fa chiamare “John Peschiera”. Questo Peschiera, però, aveva inviato per la sottoscrizione del contratto un documento falso, dal quale emergeva il nome Henry Iovine, nato a Milano. Nome che all’anagrafe non esiste. Il suo conto corrente era criptato.

Il 29 giugno 2020, quindi un anno fa, scrivo un articolo su TPI in cui racconto tutto questo. È evidente che questa Emme Team nasconda più di una magagna e che sia più qualcosa su cui indagare che qualcuno a cui chiedere aiuto per delle indagini.

Fatto sta che la scoperta, anziché mettere in guardia i colleghi, le procure, le famiglie di tante vittime, passa del tutto inosservata. Purché ci sia lo scoop per i giornali e un appiglio per le famiglie delle vittime, tutto fa brodo. Perché farsi domande sull’affidabilità di questo team di consulenti o voler sapere chi sia questo John Peschiera se racconta storie interessanti?

E le storie a cui si aggancia Emme Team, più o meno, hanno sempre lo stesso schema. 1) Individuano un caso di cronaca molto mediatico. 2) Avvicinano le famiglie delle vittime, anche con l’aiuto di giornalisti compiacenti con cui non so che accordo abbiano, ma ho dei sospetti. 3) Il caso è quasi sempre un suicidio: loro dicono “è omicidio, con le nostre indagini superipermegagalattiche lo dimostreremo”.

4) Fanno indagini piene di inesattezze, buchi, errori, teorie surreali. 5) Trovano avvocati che accettano le loro consulenze, spesso convinti ad accettare dal desiderio di famiglie in uno stato di sofferenza o con dubbi più o meno lucidi. 6) Le procure si ritrovano con “nuovi elementi” da valutare e, ahimè, spesso vanno anche dietro a questi nuovi elementi. Riaprono indagini.

Le tv, poi, che ve lo dico a fare. Sui suicidi che “è un omicidio, abbiamo le prove!” ci costruiscono puntate su puntate, non importa con quanta convinzione di fondo. Ma anche su altri casi mediatici in cui arriva sempre Emme Team a capovolgere certezze. Tutto questo, nell’ultimo anno, è diventato un gorgo spaventoso di fuffa.

Emme Team si è agganciata ai casi Tiziana Cantone affermando che è un omicidio (e la Procura ha riaperto le indagini), al caso Mario Biondo (“non è un suicidio!” e qui addirittura Emme Team ha scoperto gli ip di chi controllava i social del morto…), del caso Vannini (affermando che la notte della morte di Marco c’erano altre due persone sconosciute in casa, ma la consulenza tanto cara a Nuzzi, la “MAGIA”, per fortuna è stata rigettata dal giudice), al caso Serafina Aiello (“non è morta per cause naturali, qualcuno sta mentendo ed Emme Team ne ha le prove tecniche).

Tra parentesi, anche la famiglia di David Rossi viene avvicinata dalla “società”, ma per fortuna fiuta la fregatura. Poi, nel campo dei diritti e copyright, quelli di Emme Team si agganciano – tra gli altri – a Mogol e Bobby Solo. Bobby Solo che con aperture di Corriere della Sera e altre testate annuncia: “Ho presentato una denuncia alla Procura di Napoli per il furto ultratrentennale dei diritti sulle mie canzoni. Secondo Emme Team i diritti di mie famose canzoni sono stati depositati da persone estranee all’ufficio copyright statunitense e poi utilizzati come garanzia per ottenere prestiti bancari”. Che, voglio dire, suona leggermente strano, no?

Eppure, sembra incredibile, ma tutti vanno dietro a Emme Team senza sentire puzza di bruciato (ora da due settimane, un anno dopo i miei articoli, le Iene hanno fiutato la fregatura, ma stanno smascherando Emme Team e se stesse, visto che per lungo tempo hanno promosso l’operato della “società” senza verificarne mai l’esistenza). E quando dico tutti, intendo dire tutti: l’altra sera anche il Tg La7 dedicava spazio all’operato di Emme Team. Vespa ieri sera. Il giornalista Giovanni Terzi riporta di continuo sui giornali l’operato di Emme Team ed Emme Team non manca di ringraziarlo sui suoi social. La Stampa, il 13 settembre 2020, ha dedicato un grosso articolo a Emme Team affermando che “Il lavoro di Emme Team avrebbe reso possibile l’identificazione anche in Italia dei colpevoli della pubblicazione di video non autorizzati in rete, aiutando, solo nel 2020, 578 vittime di revenge porn”.

La giornalista de La Stampa che lo scrive si chiama Chiara Meattelli. Sulla sua pagina poi ammette di essersi rivolta a loro lei stessa per problemi di diffusione di materiale privato e si auto-accusa di intercettazione abusiva, affermando che quelli di Emme Team seguono lo smartphone del colpevole in tempo reale. Insomma, un delirio. Naturalmente le chiedo via Twitter se sappia chi ci sia dietro a Emme Team e l’identità delle 578 vittime aiutate ma nulla, non mi risponde.

Sia chiaro, però, che anche tutti gli altri grandi giornali e tg danno in continuazione notizie sull’operato grandioso di Emme Team, nessuno escluso. Sul Mattino, poi, ci sono articoli su articoli.

Ora, nell’augurarmi che presto tutto questo verrà studiato da un’indagine seria che veda Emme Team nel ruolo dell’indagato anziché del consulente, va però detto che il tutto fa molto riflettere sul corto circuito stampa/tv/procure nei casi mediatici di cronaca nera. Pochissime verifiche, consulenti che sbucano dal nulla e possono dire qualunque cosa, le Iene e i Quarto Grado che pubblicizzano una società inesistente e a cui poi si rivolgono vittime che si fidano della tv, i giornali che vanno dietro alla fuffa, le procure intasate da richieste di nuove indagini con (anche) riesumazioni di cadaveri perché è la pista suggerita da una società fantasma.

E allora la domanda è: è colpa del metodo Emme Team (che per giunta non esiste) o del metodo media italiani (che invece, ahimè, esiste)? Perché – lo dico da tempo – il modo di trattare la cronaca nera è preoccupante, tanto più che queste indagini farlocche gettano ombre su persone spesso mai neppure indagate o, e questo è deplorevole, illudono famiglie già provate dal dolore che esistano “altre verità”. Soprattutto laddove si parla di suicidi, ovvero di fatti difficili da metabolizzare per i parenti che spesso attraversano un lungo processo di “negazione” della realtà, tra incredulità, mancata accettazione e senso di colpa.

Dal giugno 2020, ovvero quando ho scritto il primo articolo su Emme Team per cui ho ricevuto anche querela da un avvocato che evidentemente rappresenta Emme Team Italia (Luciano Faraone), ho avvisato molti colleghi che dovevano fare degli accertamenti sulla “società” prima di continuare a scriverne, ma hanno continuato imperterriti. Allora provo a convincerli un’ultima volta: dietro ad Emme Team ci sarebbe un italiano che vive in America che ovviamente non si chiama né John Peschiera, né Henry Iovine, come da documenti falsi forniti all’avvocato De Pace, quando “Henry/John” stipulò un contratto con lei promettendole di farle recuperare diritti rubati di sue pubblicazioni.

In realtà, questo Peschiera/Iovine, che ha usato una sua foto vera nel documento e che è apparso di persona via Skype alcune volte alla Bruzzone, alla De Pace e ad altre persone, si chiama Mirko Zeppellini e ha vissuto a Bresso. Peschiera è in realtà il nome di sua madre. In America ha avuto diversi problemi con la giustizia (truffe ed altro), è stato sottoposto a valutazione psichiatrica.

In Italia nel 2011 ideò una gigantesca balla annunciando che avrebbe girato il film “Foibe”, facendo credere a stampa, istituzioni ed associazioni di esuli istriani che avrebbe realizzato un film sulle foibe “con 152 ruoli, uno dei più grandi film corali della storia oltre migliaia di comparse”. Su Il Giornale c’è ancora la notizia dell’epoca scritta da Fausto Biloslavo: “Negli Usa si farà un film sulle stragi compiute dai titini. Sceneggiatura affidata a un italiano. L’opera scritta da John Kaylin, (alias Mirko Zeppellini) sarà girata a Trieste”.

Insomma, Zeppellini si faceva chiamare John Kalyn, che poi negli anni diventa John Peschiera di Emme Team, a quanto pare. Ma c’è altro: il film – dice John Kayn alias Zeppellini – lo dirigerà il regista inglese John Michael Kane. Un altro John, che forse è sempre Zeppellini, visto che non esiste alcun regista inglese con quel nome.

“Trentaquattro anni, il suo vero nome è Mirko Zeppellini ed è nato a Parma. In Brasile e Stati Uniti ha lavorato a serie famose come ER Medici in prima linea”, scrive il giornalista. Dopo un po’ il regista di “Foibe” cambia. La notizia è che a dirigere il film “Foibe” sarà Enzo Iacchetti, il quale evidentemente ci casca perché lo annuncia lui stesso. E, si dice, nel film “Foibe” reciteranno anche Alessandro Haber e Nicolas Vaporidis, mica cotica. Zeppelini, poi, sparisce e del film non si sentirà mai più parlare. (la vicenda è ben ricostruita qui).

Nella sua biografia disponibile sul web Zeppelini giustifica così il suo allontanamento dall’Italia: “Dopo essere fuggito da un attacco antisemita nei suoi confronti a causa delle sue origini ebraiche e per aver prodotto artisti ebrei, si trasferisce in Sud America e negli Stati Uniti”. “Sta lavorando a una storia che dimostra come si possa provare matematicamente l’esistenza di Dio”.

Potrei andare avanti ancora a lungo con l’elencarvi la storia surreale di quest’uomo a cui stampa, tv e procure vanno dietro da anni, ma mi fermo qui, passandovi la palla, se avete voglia di aggiungere tasselli alla vicenda. Augurandomi, intanto, che Nuzzi &co chiedano almeno scusa agli spettatori e, soprattutto, alle famiglie delle tante vittime che devono sommare il dolore di una perdita a quello della speculazione sulle sofferenze altrui.

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