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Home » Cronaca

Cosa sta succedendo tra il Vaticano e la Chiesa ortodossa di Kirill

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La tela pazientemente intrecciata negli ultimi anni tra Vaticano e mondo ortodosso sembra essere stata violentemente squarciata da una guerra che, potenzialmente, può diventare anche religiosa.

“L’invasione in Ucraina? E’ giusto combattere, è una guerra contro la lobby gay”. Aveva detto il patriarca ortodosso Kirill esprimendosi sulla guerra in Ucraina poco dopo lo scoppio. Il punto di riferimento della Chiesa russa aveva deciso di intervenire in un sermone con dure parole a sostegno del conflitto e contro la comunità LGBTQ+. L’eco delle dichiarazioni era arrivato subito in Occidente, scatenando decise reazioni.

Papa Francesco fin dall’inizio della guerra aveva mantenuto una posizione ricca di cautela, condannando ogni conflitto in modo molto generico. Dopo le parole della guida ortodossa, però, si è mosso in una direzione precisa: a sostegno del popolo ucraino.

Si è avvertita l’urgenza di giungere a delle trattative durevoli e ancor più deciso è stato l’invio di due cardinali in Ucraina: Konrad Krajewski, l’Elemosiniere, e Michael Czerny, prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale e responsabile per la parte dei migranti.

Da un punto di vista religioso, l’Ucraina è divisa tra il patriarcato ortodosso di Kiev, che è slegato da quello di Mosca, una Chiesa autocefala ortodossa – che si professa indipendente da Kiev e da Mosca – mentre metà della popolazione segue la Chiesa greco-cattolica che è assoggettata a Roma ma con alcune peculiarità.

Oggi, sembra che il punto di non ritorno sia stato superato. “È deplorevole che un mese e mezzo dopo la conversazione con il Patriarca Kirill, Papa Francesco abbia scelto il tono sbagliato per trasmettere il contenuto di questa conversazione”, ha dichiarato il dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato russo in una nota, secondo quanto riporta la Tass. Il riferimento è all’intervista al Corriere della Sera rilasciata dal Pontefice e pubblicata il 3 maggio, nella quale Bergoglio ha parlato della conversazione avuta in videochiamata con Kirill lo scorso 16 marzo. “Dichiarazioni del genere difficilmente contribuiranno all’instaurazione di un dialogo costruttivo tra le chiese cattolica romana e ortodossa russa, che è particolarmente necessario in questo momento”. Nell’intervista, il Papa aveva detto riguardo al colloquio: “Ho ascoltato Kirill e gli ho detto: di questo non capisco nulla. Noi non siamo chierici di Stato, non possiamo utilizzare il linguaggio della politica, ma quello di Gesù. Siamo pastori dello stesso santo popolo di Dio. Per questo dobbiamo cercare via di pace, far cessare il fuoco delle armi. Il Patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin”.

Il disgelo difficile

Papa Francesco, sin dalla sua elezione, ha incessantemente operato per ristabilire la piena comunione tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa. Punto di arrivo e di partenza, l’incontro con il patriarca di Mosca Kirill nel 2016 all’aeroporto dell’Avana, a Cuba. Un momento storico che si colloca precisamente a metà strada tra la crisi in Crimea, avvenuta due anni prima, e la concessione dell’autocefalia alla Chiesa di Kiev da parte del patriarcato di Costantinopoli, arrivata due anni più tardi.

Non a caso, due eventi che riguardano da vicino l’Ucraina. Qui, cattolicesimo e ortodossia inciampano sulle proprie divisioni interne e, per questo, trovano maggiori difficoltà di dialogo. Un groviglio apparentemente inestricabile, reso ancor più ingarbugliato dall’annessione unilaterale della Crimea prima e dall’invasione russa poi. Il grande rischio, per Francesco, è che il conflitto renda ancor più inconciliabili le posizioni reciproche, creando uno squarcio irreparabile tra Occidente e Oriente proprio in Ucraina, dove le posizioni nazionaliste tanto di Kiev, quanto di Mosca, potrebbero appropriarsi delle categorie religiose per alimentare lo scontro. Rendendo impossibile il cammino di comunione.

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