“Vi spiego perché l’iter per la cittadinanza oggi è troppo difficile”

Figlia di un giocatore di hockey brasiliano. Nata e cresciuta tra Salerno, Vicenza e Bologna. Victoria Karam ha chiesto di diventare italiana a 19 anni ma ha ricevuto l’ok solo a 22. “Su Instagram racconto storie come la mia per aiutare a superare la diffidenza delle persone”
Victoria, lei è nata e cresciuta in Italia ma ha ottenuto la cittadinanza solamente a 22 anni. Ci racconta la sua storia?
«Sono figlia di un giocatore di hockey brasiliano che è arrivato in Italia nel 1993 perché comprato da una squadra italiana di Serie A. Anche mia mamma è brasiliana, di San Paolo. Sono nata a Salerno, dove per l’appunto giocava mio padre, sono cresciuta sempre in Italia, eccetto due anni in cui mio padre si è trasferito all’estero, precisamente in Spagna. Dalle scuole elementari alla laurea ho sempre studiato in Italia, tra Vicenza e Bologna. La cittadinanza italiana l’ho ricevuta solo a 22 anni perché quando nasci su territorio italiano hai un anno a disposizione per richiederla, dal compimento dei 18 fino ai 19. Se non la richiedi entro quei 365 giorni perdi il diritto di acquisire la cittadinanza per nascita e quindi poi la devi acquisire in altri modi, nel mio caso per residenza. Io non sapevo di avere a disposizione solo un anno, quindi ho perso questa possibilità».
Qual è stato l’iter burocratico che ha dovuto percorrere per ottenere la cittadinanza italiana?
«Io sono stata molto fortunata rispetto a tantissimi altri casi. Ho fatto la richiesta quando avevo 19 anni e l’ho ricevuta a 22. Personalmente non ho dovuto sostenere l’esame di lingua, essendomi diplomata e laureata in Italia, ma dimostrare solamente che mi trovavo in Italia da più di dieci anni, cosa per me facile non avendo mai spostato la residenza. Ma se, ad esempio, un ragazzo che fa l’Erasmus decide di spostare la residenza nel luogo dove va studiare, al rientro in Italia riparte da zero. Ci sono una serie di aspetti burocratici che non solo non sono conosciuti dalla maggior parte delle persone, ma che a volte rendono l’iter molto lungo e a volte anche molto complesso».
Lei ha dato vita a “Volti Italiani”, una pagina Instagram che racconta “storie di cittadinanza”. Come nasce questo progetto?
«La pagina nasce da una volontà di fare rete, ma anche per scollegare il tema della paura dell’immigrazione, soprattutto quella irregolare, dal tema della cittadinanza al centro del referendum dell’8 e 9 giugno. Questo perché ho notato che molte persone quando si parlava di cittadinanza facevano automaticamente il collegamento all’immigrazione irregolare. Per superare la paura e la diffidenza delle persone, servivano storie come la mia. Volevo far nascere la consapevolezza che questo referendum va semplicemente a diminuire gli anni necessari per richiedere la cittadinanza da 10 a 5. Anni che, non essendo poi mai 5 ma 7-8, se non 12-13 come allo stato attuale, sono più che sufficienti per dimostrare di essere parte integrante della società».
Tra le storie raccolte e raccontate ce n’è una che l’ha colpita particolarmente?
«Premesso che a mio avviso tutte le storie, anche quelle più “banali”, meritano di essere raccontate, ci sono sicuramente alcune vicende che mi hanno colpito particolarmente. Una è quella di Samir Ahmed, un ragazzo egiziano che a 14 anni ha fatto la classica traversata con il barcone. Quando è arrivato nel nostro Paese ha iniziato a fare volontariato e, siccome sin da piccolino in Egitto era molto allenato, ha deciso di iniziare a correre con un ragazzo non vedente che non riusciva a trovare un partner. Insieme hanno vinto tre titoli italiani, battuto due record italiani indoor e raggiunto il tempo minimo per partecipare ai Mondiali e alle Paralimpiadi. Quattro mesi prima della gara, però, è uscito un decreto che ha stabilito che anche l’atleta guida dovesse avere la cittadinanza italiana interrompendo, così, sia il sogno di Samir che quello del ragazzo non vedente, che non è riuscito a trovare un altro partner. Questa è una storia che mi ha toccato particolarmente».
Ha riscontrato anche episodi di razzismo o diffidenza?
«Ci sono tantissimi ragazzi ai quali è stato detto “è giusto che aspetti 10-15 anni per la cittadinanza sennò te ne potevi restare al tuo Paese”. Una cosa che mi fa molto arrabbiare è l’incoerenza con la legge in vigore fino a pochi mesi fa, che prevedeva il riconoscimento della cittadinanza anche per i discendenti di un trisavolo, mentre chi nasce, cresce e lavora qui, contribuendo allo sviluppo dell’Italia, deve aspettare almeno 12-13 anni. Questa è la cosa più insensata del mondo. Un’altra storia molto bella raccontata sulla pagina Instagram è quella di Luca Chikovani, attore georgiano che rappresenta l’Italia in tantissimi contesti anche istituzionali, che, essendo senza cittadinanza, non ha neanche uno scudo legale».
Il referendum propone di ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza legale in Italia richiesti per poter avanzare la domanda di cittadinanza italiana. A suo avviso si tratta di una buona proposta o piuttosto di un compromesso?
«Questo referendum non è particolarmente ambizioso e una delle cose peculiari è che le persone che beneficerebbero della legge non lo possono votare. Ovviamente non risolve tutte le questioni: per me lo step successivo sarebbe lo ius scholae e lo ius soli. Però sarebbe un primo passo che andrebbe a snellire e anche a velocizzare un po’ queste vite sospese che aspettano almeno 10 anni prima di poter richiedere la cittadinanza».
Secondo le previsioni sarà molto difficile raggiungere il quorum. In caso di esito negativo, come continuerà il suo impegno?
«Questo referendum parla a due milioni e mezzo di persone che possono diventare fino a cinque milioni perché, ad esempio, se una mamma ottiene la cittadinanza automaticamente anche il figlio la ottiene. Queste persone continueranno a esserci anche dopo il voto, quindi continuerò anche dopo il voto a rilanciare il progetto e a raccontare altre storie. Vediamo se, oltre ai social, troverò altri format per raccontare le storie e approfondirle magari in un libro o in un podcast. L’unica cosa sicura è che continuerò a raccontare le storie perché c’è bisogno di andare avanti, aldilà dell’esito del quesito referendario».
Se dovesse convincere un indeciso o una persona poco informata sul quesito, cosa gli direbbe?
«Gli direi che devono votare per me, per Samir e per tutte queste persone che sono italiane di fatto e contribuiscono in tutti i modi possibili allo sviluppo della nostra società. Persone che ad oggi non possono votare perché la legge non gli permette di essere riconosciuti italiani. Noi abbiamo una responsabilità ancora più grande, votare è una cosa semplice e bella e può cambiare la vita delle persone. E quindi noi lo dobbiamo fare perché loro purtroppo non possono farlo per loro stessi».