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Volt a TPI: “Con il governo non abbiamo nulla da spartire, se l’Europa non ci ascolta è colpa di Salvini”

Immagine di copertina
Andrea Venzon, presidente di Volt Europa

A Roma il 23 marzo 2019 si è tenuto il Congresso europeo del movimento paneuropeo. Andrea Venzon, presidente di Volt Europa, ha risposto alle domande di TPI

In fondo al viale alberato si vede imponente la Basilica dei Santi Pietro e Paolo. Il sole è quello tiepido di fine marzo, ma è abbastanza forte da rendere le bandiere viola ancora più brillanti. È il viola di Volt, il movimento paneuropeo che da due anni tesse la tela fitta del rinnovamento dell’Europa.

S&D

Volt nasce per dare una “scossa” all’Europa, una scarica elettrica che risvegli. “È una parola internazionale che non va tradotta in nessuna lingua”, dice a TPI Andrea Venzon, presidente di Volt Europa. E questa intuizione racchiude il cuore pulsante del progetto: lo sguardo internazionale, che supera l’idea di confine e che riconosce la ricchezza nell’unità.

Gli attivisti si sono ritrovati a Roma il 23 marzo per il Congresso europeo per presentare i candidati alle Europee del primo partito paneuropeo della storia. Palcoscenico del meeting è l’Auditorium del Massimo, nel cuore verde dell’Eur. All’entrata, un gruppuscolo di attivisti accoglie entusiasta chi arriva. Al benvenuto iniziale si accompagna un’ondata di viola accecante. Fa caldo fuori, ma in tanti indossano le felpe dello stesso colore su cui campeggia il nome del movimento.

In platea giovani e meno giovani, italiani e stranieri, attivisti e curiosi. Le luci si abbassano, restano solo quelle bianche che puntano sul palco, che si fondono coi faretti. Viola, ovviamente, tanto che perfino il blu delle bandiere dell’Unione europea con cui è tappezzato il teatro si trasforma in violaceo. All’improvviso la musica sparata dalle casse annuncia l’ingresso del leader, il primo dei tre.

È Andrea Venzon, 27 anni, milanese. Dopo di lui, sul palco del Teatro Massimo saliranno gli altri due, Damian Boeselagr e Colombe Cahen-Salvador. Volt in due anni è cresciuta e ora, alla vigilia delle Europee, rivendica la propria identità, presenta un programma programma preciso, un progetto che supera le nazioni e unisce, sotto il segno del sociale e del nuovo.

Andrea Venzon, sceso dal palco, si prende gli applausi e gli abbracci dei compagni di viaggio. Sotto il sole caldo di mezzogiorno che gli ravviva la barba incolta rossa, il 27enne parla della sua creatura a TPI.

Se dovessi convincere qualcuno a sostenere Volt in tre parole, quali sarebbero?
Democrazia, opportunità e diritti. L’Europa al momento non è democratica e questo problema va risolto. Opportunità perché in Italia quello che manca non è Quota 100Reddito di Cittadinanza, ma lavoro. 300mila italiani lasciano il paese perché non hanno opportunità. Siamo convinti che con l’utilizzo dei fondi europei – 60miliardi che scadranno l’anno prossimo, 10 volte il reddito di cittadinanza – potremmo far ripartire molte regioni rimaste indietro, creare incentivi per le imprese e fare in modo che i giovani abbiano opportunità sul territorio. Il terzo punto è quello dei diritti: diritti delle donne, ma anche sostenibilità, fondamentali per il nostro paese.

Vi chiamano il movimento dei millenials: essere giovani è un punto di forza?
Il bello di Volt è che è un partito iniziato dai giovani che pensa anche ai giovani. Non è un partito che guarda solo all’elettorato più ampio, he è quello più in là con l’età, come fanno gli altri. Ci chiamano il partito dei giovani, ma la verità è che la platea è molto mista. In Italia siamo partiti con un’età media di 30 anni e ora siamo a 40.

Come si convincono i giovani?
Avendo dei giovani all’interno scatta un po’ l’effetto palla di neve e le persone iniziano a pensare che la politica tocchi anche loro. In più noi puntiamo molto su progetti concreti: raddoppiare i fondi per l’Erasmus, fare in modo che ci sia un diritto alla mobilità. Andare a lavorare direttamente sulle cose che interessano ai giovani.

Brexit. Siete nati all’indomani del referendum, su spinta di quel risultato. Oggi c’è uno stallo assordante.
Sono contento di dire che un centinaio di persone di Volt che sarebbe dovuto essere qua ha cancellato la partecipazione per aderire alla marcia contro la Brexit a Londra. È fondamentale che Volt Uk, se il Regno Unito rimane in Europa o meno, resti parte della nostra famiglia europea. Quello che offriamo alle persone della Gran Bretagna è la possibilità di rimanere connessi anche se uscirà. La Brexit è un fallimento dell’Unione europea, lontana migliaia di chilometri dalle persone.

Che cosa non funziona in Europa?
Innanzitutto l’Europa ha grossi problemi di democrazia. Il Parlamento, eletto da 500 milioni di persone, non ha iniziativa legislativa e questo crea un vacuum tra le istituzioni e le persone. Un altro problema è il Consiglio europeo che prende decisioni all’unanimità: nel momento in cui si presenta una crisi, l’Europa non conta. E l’abbiamo visto nella crisi dei migranti e in quella finanziaria. È sempre negoziazione tra interessi nazionali, mentre noi vorremmo che si creasse un interesse europeo. Almeno su certe tematiche: confini, sicurezza e immigrazione.

A proposito dell’immigrazione, qual è la posizione di Volt?
Il tema dell’immigrazione non finirà oggi. La crisi va gestita e deve farlo l’Europa, non l’Italia. Serve una soluzione europea: Volt è l’unico attore in questo momento che se acquisisse un peso politico europeo potrebbe portarla avanti. Riformare il trattato di Dublino prevede l’accordo di tutti i paesi. Nemmeno il più europeista dei partiti nazionali può farcela da solo. Un altro tema è quello di lavorare con l’Africa. Mi fa ridere lo slogan “aiutiamoli a casa loro”. Aiutiamoli a migliorare casa loro. Fa bene anche a noi se l’Africa cresce economicamente, visto che siamo la forza economica più prossima. Soprattutto bisogna investire di più in integrazione. Quello che succede è frutto di culture diverse, sì, ma qui le persone che arrivano non trovano una rete sociale pronta a supportarli. E questa è colpa del governo.

Andrea Venzon, presidente Volt Europa

Qualcuno vi ha accostato al M5s per non avere un riferimento ideologico.
Io dico sempre che non siamo né di destra né di sinistra perché siamo un partito europeo: le sinistre e le destre in Europa sono cose diverse. Abbiamo evitato questa etichetta e ci siamo definiti progressisti: con dei valori chiari che sono i diritti umani, la crescita sostenibile e inclusiva che ci guida. La differenza evidente con il M5s sta nei valori che portiamo avanti: è vero che siamo nati dal basso, dalle piazze, dalla rete, ma non abbiamo un padre padrone come loro e portiamo avanti politiche antitetiche: dai vaccini alle infrastrutture.

Quali sono i vostri interlocutori?

Ci hanno contattato tutti – tranne le forze di governo – in vista delle Europee per collaborare a livello nazionale e locale. Noi abbiamo deciso di portare avanti la raccolta firme perché quello che vogliamo non è una poltrona, ma radicarci nel territorio e fare il grosso sforzo di confrontarci coi cittadini. Abbiamo iniziato un mese fa e abbiamo raccolto più di 25mila firme. Non è perché odiamo tutti gli altri, né perché pensiamo che solo il viola sia il colore giusto – come ha fatto il M5s – ma perché pensiamo che in questo momento storico sia importante definire un’identità, senza fare giochi politici per arrivare al Parlamento europeo.

C’è qualcuno a cui vi sentite più vicini? Carlo Calenda, Emma Bonino, ad esempio.
L’aspetto politico moderato ed europeista è quello che ha idee più vicine alle nostre. Calenda e +Europa hanno delle politiche in comune con noi quindi è facile collaborare. Con le forze di governo noi non condividiamo nulla, quindi non potremmo mai dialogare.

Romano Prodi qualche giorno fa diceva che l’Italia non è mai stata leader in Europa, ma la sua voce veniva ascoltata, mentre oggi non è così. Come si torna a essere ascoltati in Europa?
Prima di tutto dobbiamo tornare ai tavoli europei. Sembra un’affermazione banale, ma i nostri rappresentanti non vanno a negoziare con l’Europa. Il ministro degli Affari europei Savona non è mai andato a Bruxelles dall’inizio del suo mandato. E poi è una questione di serietà: l’Italia è stato un partner finché era vista come un paese affidabile. Oggi non lo è. Ad oggi se ogni volta che c’è un migrante Salvini incolpa i tedeschi e chiude i porti, i partner europei si distaccano. È anche una questione di atteggiamento. È vero pure che nella crisi migratoria l’Italia è stata lasciata sola, quello dimostra come l’Europa sia ancora da farsi. Finché non ci sarà un interesse davvero europeo, le crisi saranno sempre gestite male.

Che cos’ha Volt più degli altri?
Due cose: prima di tutto siamo un movimento europeo. Questo è il futuro della politica: o l’Europa si disfa o diventa una politica comune, in cui si pensa a soluzioni comuni.

La seconda cosa è che abbiamo tanti giovani. Può sembrare un tema di marketing, ma il fatto di avere un partito che ascolti la voce di una fascia che non è ascoltata aggiunge tantissimo. Nel nostro programma abbiamo molto su innovazione e tecnologia, ad esempio. Sì, Di Maio ogni tanto cita questi temi, ma la verità è che nessuno ci sta lavorando.

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