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Quando in Alto Adige c’era il terrorismo

Immagine di copertina
Uno dei tralicci abbattuti dal BAS durante la notte dei fuochi

Sempre ai primi posti nelle classifiche di qualità della vita e del reddito, la provincia di Bolzano è nell’immaginario collettivo degli italiani una delle zone più tranquille del paese. Eppure c’è stato un tempo, non molto lontano, in cui quello che gli italiani chiamano Alto Adige e i tedeschi Sudtirol era sconvolto dal terrorismo.

Le radici di questo fenomeno vanno ricercate nella Prima Guerra Mondiale, in seguito alla quale l’Italia ottenne diverse aree tra cui il Trentino, Trieste e l’Istria. Le rivendicazioni territoriali italiane furono relative ai territori abitati da italiani che all’epoca erano sotto il controllo dell’Impero Austro-Ungarico, nei quali tuttavia abitavano anche persone appartenenti ad altre etnie, come gli slavi in Istria e i tedeschi nell’area a nord del Trentino.

Per questa ragione, durante il fascismo, l’area della provincia di Bolzano venne sottoposta a un processo di italianizzazione, evitando che si studiasse la lingua tedesca nelle scuole e cambiando tutti i nomi tedeschi delle città e dei paesi. Nell’ambito dei rapporti d’amicizia tra l’Italia fascista e la Germania nazista – che aveva annesso la vicina Austria -, la questione dell’Alto Adige-Sudtirol fu spinosa e si risolse con il drammatico sistema delle opzioni, sancito nel 1939. Secondo questo sistema, l’Italia avrebbe conservato il territorio dell’attuale provincia di Bolzano, e i suoi abitanti avrebbero potuto scegliere se diventare cittadini tedeschi – e trasferirsi nel territorio del Reich – o italiani e rimanere nella loro terra d’origine. Questo principio serviva a tutelare la politica pangermanica di Adolf Hitler e quella speculare, ma italiana, di Mussolini.

Parallelamente, Mussolini aveva favorito l’emigrazione interna di italiani verso l’Alto Adige, in particolar modo verso la città di Bolzano, per aumentare il numero di abitanti di madrelingua italiana nella zona.

Al termine della seconda guerra mondiale il territorio dell’Alto Adige rimase sotto il controllo italiano, nonostante ci fosse stata una richiesta da parte di settori della popolazione di madrelingua tedesca di un referendum per l’annessione all’Austria. Il presidente del Consiglio e ministro degli Esteri italiano Alcide De Gasperi strinse inoltre nel 1946 un accordo con l’Austria, il cosiddetto “accordo De Gasperi-Gruber” (dal nome di Karl Gruber, ministro degli Esteri austriaco) volto a favorire la concordia tra popolazione di madrelingua italiana e di madrelingua tedesca nella zona e al tempo stesso far conservare all’Italia la sovranità del territorio.

Il trattato prevedeva infatti l’introduzione dei doppi toponimi, italiani e tedeschi (e ladini, nelle zone in cui si parla questa lingua) e il ritorno della possibilità di insegnare a scuola il tedesco e il ladino, oltre alla possibilità di far tornare chi aveva scelto di andare in Germania tramite le opzioni.

Tuttavia, questo non bastò a pacificare la situazione, con la popolazione di madrelingua tedesca che – negli anni Cinquanta – costituiva oltre il 70 per cento della popolazione della provincia di Bolzano ma si sentiva minacciata dalla politica del governo, accusata di favorire l’immigrazione interna da altre zone del paese verso l’Alto Adige al fine di aumentare la popolazione italiana. Questa percezione era soprattutto legata al fatto che la grande industria e gli uffici pubblici erano sotto il controllo di italiani di madrelingua, fatto che favorì diverse forma di immigrazione interna.

Come risposta molti politici locali di madrelingua tedesca invitarono la popolazione locale tirolese a non sposarsi con italiani e iniziarono a chiedere con forza l’annessione all’Austria. Dal canto suo, le autorità italiane risposero con diversi provvedimenti, compreso quello di far ridipingere

Queste tensioni crescenti arrivarono a sfociare nella violenza: il primo caso fu quello di Hans Stieler e del suo gruppo, che tra il 1956 e il 1957 piazzò diverse cariche d’esplosivo contro obiettivi quali caserme e centrali in costruzione nella provincia di Bolzano, senza uccidere nessuno. Un gruppo che non farà altro che anticipare di poco quella che fu la più importante organizzazione terrorista sudtirolese, il Befreiungsausschuss Sudtirol, in italiano “Comitato per la Liberazione del Sudtirolo”, meglio nota con la sigla di BAS.

Questa organizzazione nacque tra il 1956 e il 1957 intorno alla figura di Sepp Kerschbaumer, ed era composta sia da altoatesini che da cittadini austriaci e tedeschi. La loro prima azione risalì al novembre 1957, quando nel comune di Montagna fecero esplodere la tomba contenente la salma di Ettore Tolomei, politico considerato tra i maggiori promotori dell’italianizzazione dell’Alto Adige negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale e durante il fascismo.

Nel 1961, il BAS colpì nuovamente con una serie di attacchi contro obiettivi simbolici: la casa di Ettore Tolomei, che venne quasi completamente distrutta, il monumento al Genio del Fascismo (cambiato nel 1945 in monumento al Lavoro Italiano) a Ponte Gardena, fatto saltare in aria, e altri obiettivi minori.

È del giugno 1961 l’azione più nota del BAS, quando nella notte tra l’11 e il 12 giugno, quando in Tirolo si svolge la Fauernacht, la notte in cui sulle montagne vengono accesi fuochi sulle montagne per ricordare la vittoria di Andres Hofer sulle truppe napoleoniche. In quell’occasione i BAS fecero esplodere oltre 300 ordigni contro diversi tralicci in tutto l’Alto Adige con l’obiettivo di interrompere completamente la fornitura elettrica nella zona. Per via della festa in concomitanza con questo episodio, questo attentato è ricordato come “Notte dei fuochi”.

Per quanto l’ordine di Ketschbaumer fosse quello di evitare vittime, un cantoniere di nome Giovanni Postal si imbatté in un ordigno inesploso durante questo episodio, cercando di disinnescarlo ne rimase ucciso: fu la prima vittima dei BAS.

Nel luglio successivo, il gruppo terrorista cercò di replicare, in piccolo, quanto accaduto nella “Notte dei fuochi”, colpendo nuovamente alcuni tralicci con una serie di ordigni.

Il governo italiano, tuttavia, di fronte a questi episodi non rimase a guardare: Mario Scelba, ministro dell’Interno dell’epoca, in primis ordinò nell’area colpita un coprifuoco tra le 21 e le 5 e dette il via a una serie di operazioni portate avanti dai militari contro i membri dell’organizzazione, che portarono anche all’uccisione di diversi civili che non avevano a che vedere con il BAS. Nell’ambito della reazione italiana non mancarono inoltre gli arresti, arrivati soprattutto dopo la seconda notte dei fuochi, e tra i quali ci fu anche il capo dell’organizzazione, Ketschbaumer.

I membri rimasti in libertà del BAS, da quel momento, adottarono una linea più radicale nella loro attività, iniziano a compiere attentati che prevedevano anche la deliberata presenza di vittime, soprattutto dopo che nel 1964 il tribunale di Milano condannò diversi membri del BAS a pene di reclusione che arrivarono fino a 26 anni e sei mesi di reclusione.

Gli attentati a partire dal 1964 si focalizzarono contro le forze di sicurezza italiane presenti nella zona: diversi carabinieri e militari furono uccisi in attacchi e sparatorie che toccarono la massima gravità nella strage di Cima Vallona, nel 1967, in cui quattro carabinieri italiani furono uccisi da un commando del BAS.

Tuttavia, oltre alla reazione militare al terrorismo in Alto Adige, il governo italiano stava affrontando la questione dei cittadini di lingua tedesca anche in sede politica, elaborando quello che oggi è chiamato “pacchetto”, ovvero una serie di misure volte a garantire alla provincia di Bolzano autonomia politica e linguistica. Questo “pacchetto” era formato da 137 provvedimenti, tra i quali l’istituzione della Provincia autonoma di Bolzano che dava così ulteriore autonomia alla zona a maggioranza tedesca, venne firmato in seguito all’accordo arrivatone 1969 tra il premier italiano Aldo Moro e il suo omologo austriaco Kurt Waldheim.

Questo fatto, unito agli arresti che avevano ridotto il numero di militanti del BAS, segnò la fine di questa organizzazione terroristica. Diversamente dall’Italia, l’Austria ebbe un atteggiamento differente verso questa organizzazione, che fu duramente criticato dai media e dalle autorità italiani, soprattutto dopo l’assoluzione da parte di una giuria popolare di Norbert Burger e 14 fiancheggiatori del BAS, accusati di addestramento all’uso di armi da fuoco e furto di esplosivi. Alla proclamazione della loro assoluzione, la folla presente al tribunale di Linz si mise a cantare insieme agli imputati assolti: una reazione criticata dalla stampa italiana che la considerò quasi una legittimazione del terrorismo in Alto Adige.

La popolazione di madrelingua tedesca ancora oggi spesso non nasconde una certa approvazione verso le azioni del BAS, al punto che nella città a maggioranza tedesca di Appiano sulla Strada del Vino, in provincia di Bolzano, è presente una strada dedicata a Ketschbaumer, un fatto impensabile in Italia per pressappoco qualsiasi altro terrorista.

Dopo la fine dell’attività dei BAS, altri gruppi provarono a portare avanti un’attività per la secessione dall’Italia, ma senza riuscire negli stessi risultati né godere dello stesso consenso tra la popolazione, ma che in qualche modo agirono sulla scia del clima politico degli anni di piombo. Il più importante di questi fu Ein Tirol, che tra il 1978 e il 1988 compì diversi attentati contro monumenti, uffici e infrastrutture legati all’Italia. In risposta a questo nuovo fenomeno, nacquero due gruppi armati di estrema destra attivi in Alto Adige a difesa della popolazione italiana: l’Associazione Protezione Italiani (API) e il Movimento Italiano Alto Adige.

Con la fine dell’attività di Ein Tirol, nel 1988, la stagione del terrorismo in Alto Adige finì definitivamente, lasciando sul campo 21 morti e 57 feriti in 361 diversi attentati.

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