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Ricordando Gian Lorenzo Bernini

Immagine di copertina

Il celebre artista, tra i principali esponenti del barocco, morì a Roma il 28 novembre del 1680

Se c’è stato un artista che più di tutti ha personificato il barocco e l’idea di un’arte totale, che andasse oltre la divisione tra le categorie della scultura, della pittura, dell’architettura e del teatro, questo è stato senza dubbio Gian Lorenzo Bernini.

Figlio dello scultore manierista fiorentino Pietro Bernini, Gian Lorenzo nacque a Napoli, dove il padre era impegnato a lavorare per la Certosa di San Martino, il 7 dicembre del 1598.

Nel 1606 l’intera famiglia di Bernini si trasferì a Roma, dove Gian Lorenzo, giovanissimo, inizia ad aiutare il padre nei lavori per la Cappella Paolina, presso Santa Maria Maggiore. Fu in questa zona che la famiglia stabilì la sua prima dimora romana.

A 16 anni Bernini iniziò a realizzare le prime opere in piena autonomia dal padre e, appena ventenne, fu preso sotto l’ala protettiva dell’influente cardinale Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V. Fu in questo periodo che il giovane scultore ideò quelli che oggi sono riconosciuti come i suoi principali capolavori e manifesti del suo stile artistico.

Apollo e Dafne, il Ratto di Proserpina, il David sono opere che denotano non solo una qualità altissima (vedasi il dettaglio della mano di Plutone che affonda nella carne di Proserpina, di difficile realizzazione), ma hanno anche un’importante caratteristica che delineerà uno dei principi del movimento barocco.

Se fino a quel momento le opere d’arte erano generalmente realizzate per essere viste da un unico punto di vista, queste sono a tutto tondo, visibili da tutti e quattro i lati e come tali di maggiore impatto scenografico.

Dopo la morte del Papa Paolo V e il breve pontificato del suo successore Gregorio XV, salì al soglio di Pietro Urbano VIII, membro della famiglia toscana dei Barberini, che ben presto divenne un grande committente per le opere del Bernini.

Sotto questo papa, Bernini divenne sempre di più un artista completo, realizzando numerose opere architettoniche, come la Chiesa di Santa Bibiana, ma le sue principali creazioni anche in questo periodo rimangono quelle scultoree, come la Fontana del Tritone e il Baldacchino di San Pietro.

Per quest’ultimo, il papa decise di usare il bronzo della copertura del Pantheon, da cui il detto “ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini”. Il baldacchino rappresenta la messa in forme scultoree di un apparato effimero di tipo teatrale, cosa che lo rende particolarmente scenograficononché una delle massime espressioni dell’arte barocca.

Tra le persone che collaborarono con Bernini per realizzare quest’opera ci fu anche un artista di origini svizzere, Francesco Borromini, altro grande esponente del barocco, considerato il rivale artistico del Bernini.

Quando nel 1644 morì Urbano VIII, fu eletto papa Innocenzo X, della famiglia dei Pamphilj, rivale dei Barberini, la figura di Bernini perse la centralità artistica. Non solo il nuovo pontefice non volle dare eccessivo spazio ai protetti del suo predecessore, ma i suoi gusti artistici erano anche diversi, preferendo figure come il già citato Borromini, lo scultore Alessandro Algardi e l’architetto Carlo Rainaldi.

Nel 1647, inoltre, un altro fatto mise Gian Lorenzo in cattiva luce. Uno dei due campanili che aveva costruito dieci anni prima nella Basilica di San Pietro riportò alcuni danni strutturali, e per questa ragione entrambe le costruzioni furono abbattute, mettendo in serio pericolo la reputazione del Bernini.

In questi anni l’artista si focalizzò dunque su opere per i privati, tra cui la Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria, nota per la scultura dell’Estati di Santa Teresa.

Nel 1650, Gian Lorenzo si riappacificò con la famiglia Pamphilj e Innocenzo X, ottenendo l’importante commissione della Fontana dei Fiumi in piazza Navona. Secondo la tradizione, l’artista fece pervenire un modello in argento a Olimpia Maidalchini, influente cognata del papa. Entrambi la apprezzarono a tal punto da preferirla all’austero progetto del Borromini, che avrebbe più avanti realizzato la Chiesa di Sant’Agnese in Agone, di fronte alla fontana.

Si tratta di una fontana innovativa per l’epoca, dal momento che rispecchia i modelli rustici da giardino  riscontrabile nella presenza di elementi naturali  ma è posta in un luogo pubblico, riuscendo a influenzare l’arte successiva.

Intorno a quest’opera gira da numerosi anni una bufala storica. La figura che rappresenta il Rio de la Plata, infatti, ha una mano tesa di fronte al viso, come a ripararsi da qualcosa. La tradizione vuole che l’artista l’abbia fatta per manifestare il timore che la vicina chiesa di Sant’Agnese in Agone gli crollasse addosso. Tuttavia, questa chiesa non era ancora stata costruita quando Bernini realizzò la fontana, fatto che rende insussistente questa leggenda.

In realtà, questa storia è lo specchio della rivalità tra Bernini e Borromini. Gian Lorenzo, infatti, abitava in via della Mercede, proprio di fianco al Palazzo di Propaganda Fide, edificio che gli fu commissionato da Urbano VIII, ma che Innocenzo X decise di affidare al Borromini. Quest’ultimo, per spregio al collega, scolpì un paio di orecchie d’asino intorno a una finestra che dava verso l’abitazione berniniana. Il Bernini, in risposta, raffigurò un pene nei pressi della sua finestra. Sia le orecchie d’asino sia il pene furono successivamente rimosse in quanto indecenti.

Nel 1655 morì Innocenzo X e gli succedette Alessandro VII, della famiglia dei Chigi, per cui Bernini realizzò numerose opere, come diverse chiese tra Roma e i Castelli Romani, caratterizzate da pianta centrale. Ma i grandi capolavori di questo periodo sono relativi alla Basilica di San Pietro, dove non solo Bernini progettò la Cattedra di San Pietro e il Colonnato, in cui ridisegna la piazza con un vasto porticato che simboleggia l’abbraccio della Chiesa al mondo.

Nel 1664 Bernini fu chiamato in Francia presso il re Luigi XIV per realizzare il palazzo del Louvre, ma ben presto fece ritorno a Roma per contrasti con l’ambiente artistico locale.

Tornato in Italia, negli ultimi anni della sua vita Gian Lorenzo continuò a produrre opere suggestive, come la statua della beata Ludovica Albertoni a San Francesco a Ripa. Il 28 novembre del 1680, dopo una malattia che gli aveva paralizzato il braccio destro, morì. Ancora oggi è ricordato come uno dei massimi esponenti dell’arte barocca.

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