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Cosa ha insegnato a me e ai miei alunni vivere senza internet e smartphone per una settimana

Immagine di copertina

Marcello Contento, professore di economia aziendale in un istituto di Prato, spiega a TPI l'esperimento sociale che ha condotto insieme ai suoi studenti

Avere 15 anni e vivere un’intera settimana senza cellulare e senza internet: stiamo parlando di accettare quello che in molti chiamerebbero un “isolamento forzato”.

Ci vuole coraggio a prendere una decisione simile in piena adolescenza e nell’epoca dell’iperconnessione. Eppure due classi dell’istituto Dagomari di Prato e una cinquantina di allievi del Liceo scientifico San Niccolò di età compresa tra i 15 e i 17 anni si sono messi alla prova e hanno testato la loro resistenza alla privazione di smartphone e web.

L’iniziativa è partita quasi per gioco da Marcello Contento, professore di economia aziendale che ha provocato i propri alunni dopo aver visto come l’attaccamento al cellulare fosse divenuta un’ossessione per tutti, lui compreso.

“Volevo essere coerente e di esempio per i miei ragazzi, così dopo averli provocati dicendo che non sarebbero riusciti a stare un’ora senza telefoni, ho accettato la loro richiesta di farne a meno anche io, ma tutti insieme e per una settimana”, racconta il professore a TPI. “Abbiamo creato la pagina Facebook Social Zero per documentare la consegna dei cellulari, l’annuncio della notizia e lo sviluppo del test. Ovviamente la pagina è stata gestita dai miei colleghi di lavoro, dato che anche io non potevo aver accesso a nulla”.

Come ha organizzato l’astinenza?

Abbiamo raccolto tutti i telefoni lunedì 15 maggio. Ricordo i pianti di alcuni dei ragazzi quando hanno messo lo smartphone nella scatola. Ho pensato che fosse bello e utile trascorrere il tempo insieme, compreso quello extra scolastico: fare esperienze nuove, incontrarsi per delle gite, leggere poesie, andare a teatro o al museo e giocare con quiz per l’intelletto. Il risultato è stato sorprendente.

È difficile immaginarci senza smartphone per più di qualche ora, per i ragazzi deve essere stata ancora più dura…

Le famiglie ci hanno aiutato tantissimo: hanno monitorato i figli, qualcuno ha anche staccato il modem per non istigarli a usare i pc.

All’inizio è stata dura, lo dico anche per me che vivo solo e la sera resto attaccato al cellulare o su internet fino alle due di notte. Poi, con il passare dei giorni, si sono innescati meccanismi diversi: trascorrevamo così tanto tempo fuori casa impegnati in tante attività che la sera eravamo esausti e crollavamo per il sonno.

Molti ragazzi mi hanno raccontato di essere arrivati a casa e di aver passato il tempo parlando con i genitori o con i fratelli, andando a dormire prima del consueto orario.

È impossibile che qualcuno non abbia ceduto alla tentazione…

Una ragazza che aveva deciso di mantenere il proprio smartphone senza connessione solo per comunicare con i genitori, un giorno mi ha confessato di aver attivato la connessione per sbaglio scaricando centinaia di notifiche di WhatsApp. Si è sentita così in colpa da piangere disperata, così le ho detto che se si fosse sentita ancora male avrei interrotto il gioco. Ma i compagni l’hanno sostenuta e il gioco è andato avanti.

Ci racconta un elemento particolare che ha notato?

Una tra le maggiori difficoltà che ho appuntanto era l’organizzazione: dovevamo essere per forza tutti puntuali agli appuntamenti, nessuno poteva avvisare che avrebbe tardato. E dovevamo essere quanto più precisi possibile. Qualche collega è venuto a farmi visita a casa, giusto per accertarsi che stessi bene e sapere come procedeva.

Cosa è emerso da questo esperimento?

Per prima cosa voglio dire che i ragazzi si sono sentiti felici, hanno avuto la sensazione di essere in vacanza e hanno scoperto il valore di stare insieme, di parlare senza limiti di tempo, dando il 100 per cento della loro attenzione. Un giorno stavamo aspettando l’autobus ma eravamo talmente coinvolti dalla conversazione che abbiamo deciso di saltare numerose corse, restando a parlare seduti sul marciapiede dalle sei alle otto senza accorgercene.

Saliti sull’autobus eravamo tutti insieme a parlare, contrariamente a quanto avviene oggi sui mezzi di trasporto dove abbiamo tutti la testa calata sugli smartphone. È stato bellissimo.

È stato un modo per valutare lo stadio di una relazione, quella tra le persone e la rete, che doveva transitare necessariamente per un momento di arresto. Come si fa per tutti i rapporti che diventano morbosi.

Il 22 maggio c’è stata la riconsegna dei cellulari. Come hanno reagito i ragazzi?

Alcuni non volevano riaccenderlo, altri hanno proposto un’altra settimana di astinenza. Direi che l’esperimento è stato un successo, per il momento ci ha fatto capire meglio quanto valore dare al tempo e alle relazioni reali. Io ho conosciuto davvero i miei allievi e questo è stato importantissimo.

Il video del momento della consegna:

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