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Addio Emiliano Mascetti, ultimo gentleman di un calcio che non c’è più

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È morto oggi all’età di 79 anni Emiliano Mascetti, icona per antonomasia dell’Hellas Verona, la squadra di cui fu dapprima capitano, per più di 10 anni sul campo, e poi architetto, nel ruolo di direttore sportivo, nella realizzazione della più bella favola della storia del calcio italiano.

S&D

Parlare a chi segue il mondo del pallone oggi degli avvenimenti di 37 anni fa, di quella magica stagione 1984/85 in cui una provinciale dominò il campionato dall’inizio alla fine, è più che anacronistico. Si fatica, nel contesto attuale, a pensare a quel torneo in cui gli scaligeri sbaragliarono la concorrenza conquistando lo scudetto, dopo aver condotto la classifica ininterrottamente dalla prima all’ultima giornata. Fu quanto di più simile, nella storia del football nostrano all’impresa delle mille camicie rosse garibaldine, partite in sordina da Quarto ed arrivate, tra la sorpresa generale, trionfanti a Teano. Eppure, per i vecchi sentimentali della palla a spicchi come il sottoscritto, gli eventi di quella irripetibile cavalcata restano il ricordo per eccellenza in barba a tutte le successive imprese degli squadroni costruiti a suon di miliardi.

L’Hellas Verona, società nata 119 anni fa all’ombra dell’Arena, il cui nome testimoniava la fresca rinascita olimpica nella terra d’Omero, dopo una fugace apparizione in Serie A nel 1957/58, vi tornò in pianta più stabile 10 anni dopo. In quella squadra c’era un 24enne ragazzo comasco dal fisico più simile ad un modello che ad un rude incontrista: Emiliano Mascetti, arrivato dal Pisa l’anno precedente. Con l’esclusione di un biennio, dal 1973 al 1975 al Torino, Ciccio, com’era noto nell’ambiente, avrebbe vestito la casacca del club 330 volte, giocatore con il maggior numero di presenze in Serie A, un record che probabilmente resterà suo in eterno. Uomo d’ordine a centrocampo, come si amava definire a quei tempi, Mascetti è stato anche il sommo rigorista del calcio italiano negli anni settanta con una serie di 16 tiri dal dischetto centrati consecutivamente. Uno di questi, realizzato contro la Roma sul campo neutro d’Arezzo il 28 gennaio 1973 mi spezzò il cuore consegnando al Verona la vittoria in un rude scontro da bassa classifica condito da non poche polemiche per il discutibile arbitraggio del Signor Porcelli da Lodi.

Come, però, scritto in apertura, il nome d’Emiliano Mascetti vivrà per sempre nei cuori gialloblu per aver dato vita nella prima metà degli anni ottanta, in tandem con l’allenatore Osvaldo Bagnoli, al più grande Hellas Verona della storia, quello che venendo dalla Serie B, dopo due tornei già straordinari chiusi al quarto posto, al terzo tentativo nel 1984/85 conquistò il titolo di Campione d’Italia. Ad inizio millennio, uno strano gioco del destino mi aveva portato a conoscere Luciano Chesini, un architetto di Bosco Chiesanuova, trapiantato a Roma, la cui sorella, Emanuela, aveva sposato proprio Mascetti. Fu, quindi, semplice ideare insieme all’allora direttore di Tuttosport Giancarlo Padovan, uno speciale per celebrare il ventennale del titolo scaligero. Grazie ai buoni uffici di Chesini, mercoledì 20 aprile a 2005 ebbi il privilegio d’incontrare non solo Mascetti, ma anche Mister Bagnoli, cui diedi appuntamento a pranzo al rinomato ristorante veronese “I dodici apostoli”.

Emiliano era un uomo che emanava simpatia già a distanza. Ci demmo subito del tu. Lo ribattezzai Dorian Gray posto che dimostrava vent’anni in meno dei 62 che aveva all’epoca. Per rompere il ghiaccio, gli rammentai la drammatica partita d’Arezzo del 1973, da lui decisa dal dischetto. Questo ricordo stappò il sughero della sua nostalgia sugli otto anni, dal 1988 al 1996, trascorsi nella capitale come Direttore Sportivo alla Roma. In realtà, come appariva sempre più chiaro, man mano che la nostra conversazione prendeva corpo, la squadra giallorossa era stata, suo malgrado, il motore che aveva generato la conquista del tricolore dell’Hellas. Infatti, erano stati proprio i due miliardi e settecento milioni, messi da Dino Viola nella busta per riscattare la comproprietà di Maurizio Iorio che avevano, poi, permesso a Mascetti d’acquistare i due fuoriclasse stranieri, colonne della squadra vincitrice dello scudetto: il danese Preben Elkjaer ed il tedesco Hans – Peter Briegel.

Mentre l’attività de ”I dodici apostoli”, si paralizzava, con camerieri, cuochi e tutti gli altri avventori che abbandonavano le rispettive posizioni per formare spontaneamente un semicerchio di avidi uditori intorno al nostro tavolo, Ciccio continuava il suoi racconto concentrandosi sui rapporti con la Juventus, società con cui il Verona, nell’estate del 1984 aveva ben due giocatori in comproprietà: Giuseppe Galderisi e Massimo Storgato. Boniperti e Mascetti avevano convenuto d’evitare le buste. Ognuno avrebbe tenuto un giocatore senza esborso di soldi da nessuna parte. Il geometra, come Emiliano amava definire Giampiero Boniperti, aveva la prelazione sulla scelta ed optò per Storgato. Una settimana dopo, però, voleva cambiare idea prendendosi invece Galderisi. Mascetti si oppose: “Abbia pazienza, geometra, oramai abbiamo costruito la squadra sapendo d’avere un centravanti. Mi spiace, non si può fare.” fu la sua risposta liquidatoria a Boniperti.

A questo punto, il clima si era talmente scaldato, compici anche un paio di bottiglie d’amarone, da sciogliere l’inizialmente distaccato Bagnoli che tra l’ironia mia e di Mascetti cominciò a sostenere che “Silvano Fontolan avesse i piedi buoni e che non era vero che Luciano Marangon non coprisse anche in difesa.” Fu uno dei pomeriggi più divertenti che ho mai trascorso a parlare di sport nella mia vita e lo fu esclusivamente per merito del calore umano di Mascetti, tale da sciogliere anche un iceberg. Per questo oggi sorrido tristemente pensando al grande personaggio che ci ha lasciato i cui racconti quel giorno, mi hanno regalato negli anni tanti momenti lieti.

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