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La tragica storia della madre di Rula Jebreal, Zakia, che subì violenze e abusi e non fu creduta

La giornalista ha raccontato la storia della madre, morta suicida quando lei aveva 5 anni, nel monologo che ha tenuto a Sanremo sulla violenza contro le donne

 

La tragica storia della madre di Rula Jebreal, Zakia, che subì violenze e abusi e non fu creduta

Rula Jebreal, la giornalista palestinese naturalizzata italiana chiamata a condurre la prima serata del Festival di Sanremo insieme ad Amadeus, ha tenuto sul palco un emozionante monologo sulla violenza contro le donne, durante il quale ha parlato anche della esperienza personale di sua madre Zakia Jebreal. La donna, palestinese, aveva subito gravi abusi durante l’infanzia e si suicidò dandosi fuoco quando Rula aveva 5 anni.

S&D

“Mia mamma si è tolta la vita dopo un’infanzia di violenze tra i 13 e i 18 anni”, ha raccontato Rula Jebreal in un’intervista uscita oggi su Vanity Fair. “Nessuno le aveva creduto per salvare “l’onore” della famiglia”.

Prima dell’inizio del festival, Rula aveva dichiarato, riferendosi probabilmente alle difficoltà nell’accettare l’esperienza della madre: “Dirò cose che non ho mai detto nemmeno a me stessa finché non ho compiuto 40 anni e sono felice di dirle e condividerle con tutti voi”.

“Mia madre Zakia, che tutti chiamavano Nadia, ha preso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni. Si è suicidata, dandosi fuoco”, ha raccontato la giornalista sul palco dell’Ariston. “Ma il dolore era una fiamma lenta che aveva cominciato a salire e ad annerirle i vestiti quando era solo un’adolescente. Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato la sua tortura. Perché mia madre Nadia fu stuprata e brutalizzata due volte: a 13 anni da un uomo e poi dal sistema che l’ha costretta al silenzio, che non le ha consentito di denunciare”.

“Le ferite sanguinano di più quando non si è creduti”, ha aggiunto Rula Jebreal. “L’uomo che l’ha violentata per anni, il cui ricordo incancellabile era con lei, mentre le fiamme mangiavano il suo corpo, aveva le chiavi di casa”.

Dopo il suicidio della madre, Rula fu portata dal padre, insieme alla sorella Rania, al collegio/orfanotrofio di Dar El-Tifel a Gerusalemme, dove rimase dal 1978 al 1991. Rula considera la fondatrice del collegio, Hind al-Husseini, come una seconda madre, maestra di vita e ispiratrice.

“Io sono diventata la donna che sono perché lo dovevo a mia madre, lo devo a mia figlia che è seduta in mezzo a voi”, ha proseguito la giornalista e conduttrice nel suo monologo. “Lo dobbiamo tutte, tutti, a una madre, una figlia, una sorella, al nostro paese, anche agli uomini, all’idea stessa di civiltà e uguaglianza. All’idea più grande di tutte: quella di libertà”.

“Sono stata scelta stasera per celebrare la musica e le donne, ma sono qui per parlare delle cose di cui è necessario parlare. Certo ho messo un bel vestito. Domani chiedetevi pure al bar ‘Com’era vestita Rula?’. Che non si chieda mai più, però, a una donna che è stata stuprata: ‘Com’era vestita, lei, quella notte?'”.

“Mia madre ha avuto paura di quella domanda”, ha aggiunto. “Mia madre non ce l’ha fatta. E così tante donne. E noi non vogliamo più avere paura. Vogliamo essere amate. Lo devo a mia madre, lo dobbiamo a noi stesse, alla nostre figlie. Nessuno può permettersi il diritto di addormentarci con una favola. Vogliamo essere note, silenzi, rumori, libere nel tempo e nello spazio. Vogliamo essere questo: musica”.

Leggi anche:
Sanremo 2020, il testo integrale del monologo di Rula Jebreal al Festival
TUTTE LE NOTIZIE SUL FESTIVAL DI SANREMO 2020
IL DISCORSO COMPLETO DI RULA JEBREAL
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