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L’ex Sardina di Gorizia: “Siamo diventati come Renzi, partito personale in cui l’immagine conta più di tutto”

Immagine di copertina
Credit: Emanuele Fucecchi

“Un movimento di sinistra non può che essere plurale e democratico. Con discussioni interne per trovare una linea condivisa. La sinistra è critica, è così, poi bisogna trovare una sintesi. Ma non c’è democrazia senza rappresentanza, e la rappresentanza si fonda sulla legittimazione, quindi: chi ti ha votato Mattia? Chi ha votato Jasmine Cristallo? Chi ha scelto queste persone perché fossero portavoci del movimento? E, soprattutto, al di là del chi, cosa andate a dire? Quando andate in tv rappresentate anche me, quando tu vai a sparare una minchiata in televisione, la gente sui territori guarda me”. Ilaria Cecot, 45 anni, ex assessore provinciale di Gorizia, è stata tra le Sardine più attive del Friuli Venezia Giulia e un punto di riferimento per i gruppi della sua regione fino a quando non è stata allontanata dal movimento.

Ha voglia di comparire con nome e cognome?
“Sto riscontrando questo tipo di resistenza, o meglio timore, di finire attaccati in maniera molto pesante e personale dai leader delle Sardine se si osa sollevare dubbi che riguardano il movimento… Forse preferirei l’anonimato così vado incontro a meno rotture di scatole, ma essere attaccata dai fan lo metto nel conto, perché non si può mettere in discussione il ‘Mattia-pensiero'”.

Alcuni mi riferiscono anche della paura che parlare di ciò che non va possa indebolire il movimento esponendolo ad una strumentalizzazione da parte dalla destra…
“Sinceramente essere attaccata da Santori non è che mi faccia paura: il fatto di non lasciare che questa discussione venga strumentalizzata dalle destre, invece, è obiettivamente un dato da tenere in considerazione. Tutti vogliamo bene alla nostra amata sinistra e, di conseguenza, tutto quello che le Sardine hanno fatto o potranno continuare a fare è un bene. Ma è chiaro che il movimento si è indebolito…
Perché si è indebolito?
“Un po’ per una mancanza di prospettiva e un po’ per questa predisposizione all’accentramento da parte del Gotha, come lo chiamo io”.

Forse però l’unico modo per tentare di raddrizzare gli atteggiamenti che potremmo definire antidemocratici è metterci la faccia abbandonando questa specie di timore reverenziale…
“Io non ho problemi a comparire perché a Santori queste cose le ho sempre dette anche in faccia e pubblicamente: se tu continui a non dare risposte, a prendere decisioni arbitrarie tra pochi, a non avere organi eletti di rappresentanza, a non avere una linea politica condivisa, perdonami, chi ci sta ad un certo punto in una cosa del genere?”.
Lei perché non fai più parte del movimento delle 6000 Sardine?
“Io sono fuori perché sono stata sbattuta fuori, e in malo modo”.

Per quale motivo?
“Sono stata accusata di una cosa che non ho fatto, ovvero rilasciare senza autorizzazione un’intervista a Peter Gomez che in realtà non ho mai rilasciato – ero stata invitata nel suo programma tv ma poi non sono andata – e accusata di una cosa che invece ho fatto: chiedere condivisione rispetto a ciò che veniva detto in pubblico da poche persone a nome di tutti. In ogni caso sono stata condannata senza possibilità di replica, senza processo”.

Mi può fare qualche esempio di decisioni non condivise?
“In generale sono molto autoreferenziali, dicono al Pd ‘voi vi siete spartiti i frutti del nostro lavoro’ ma io potrei dire lo stesso di loro, nel senso che lui (Santori, ndr) andava in televisione mentre noi organizzavamo le piazze in tutta Italia. Ed è sempre andato a dire cose che non avevamo condiviso, tipo la patrimoniale all’1%”.

La base delle Sardine non è mai stata coinvolta nel processo decisionale?
“C’è stato un momento in cui sembrava possibile farlo. C’era una struttura che si fondava sulle regioni, poi una specie di comitato centrale con persone di fiducia di Mattia. Ma c’era anche un ente di garanzia. Era già un abbozzo di qualche cosa, solo che poi Santori ha cambiato idea e ha detto che tornava ad accentrare tutto, ha fatto fuori i cattivoni e abolito i coordinamenti regionali, proprio quando questi coordinamenti stavano iniziando a fare massa critica e a porsi interrogativi, scambiarsi opinioni, creare delle idee”.

Cioè proprio quando stava funzionando come dovrebbe funzionare?
“Un movimento che vuole avere una vocazione nazionale dovrebbe fare questo. Ma nel momento in cui la posizione di Santori era diventata minoritaria, a quel punto il giocattolo non gli piaceva più e ha portato via il pallone”.
Quando ha iniziato a giocare da solo?
“Lui la prima epurazione l’ha fatta con i lombardi, cioè le persone che avevano organizzato le piazze di Milano e di Brescia. Persone in gamba, competenti, strutturate. Poi tutte le persone che acquisivano un minimo di visibilità all’interno dei gruppi, e che quindi rischiavano di catalizzare il pensiero, sono state falciate”.

Ma quali erano le richieste giudicate inammissibili dai fondatori?
“Quello che noi chiedevamo era solo di essere ascoltati, cioè tu non vai in televisione e prendi una posizione senza prima aver condiviso la linea con gli altri. Per esempio, la scelta di partecipare ad Amici di Maria De Filippi su Canale 5 ci è stata comunicata con un messaggio alla mezzanotte del giorno prima e comunque senza nemmeno comunicare anche il senso di quello che stavano andando a fare”.
Secondo lei il movimento è imploso? Quanti hanno abbandonato in meno di un anno?
“Io ho visto davvero tanta gente andarsene, tutte le persone che ho conosciuto lì se ne sono andate. La cosa positiva che ha fatto Mattia è stato avvicinare molte persone che non avevano mai fatto politica, ma lo ha fatto da una prospettiva antipolitica, demonizzando la forma partito”.

Eppure proprio pochi giorni fa c’è stato un appello al più grande partito della sinistra italiana per una sorta di alleanza…
“Ma quale sarebbe la nuova alleanza? Cosa cambia? Come si esplica questa cosa? Il momento di fare questa cosa era gennaio, anzi era ancora prima, era durante la campagna elettorale dell’Emilia-Romagna, questa era la cosa intelligente da fare. Mattia invece è partito da un sentimento antipolitico e sta costruendo solo ora un sentimento politico. L’accordo con il Pd per lui era inconcepibile all’inizio perché, diciamoci la verità, metà del movimento era composto da elettori grillini che se ne sono andati con il No al referendum”.

Ma lui non voleva fare un partito, ora lo vuole fare?
“Beh, siamo contenti, però un partito è un partito: non è un marchio registrato, ci sono le assemblee, organi decisionali e soprattutto la rappresentanza deve essere elettiva”.
A proposito del No al referendum, si è trattato per il movimento di una grande sconfitta?
“No, per il movimento è stata un’occasione di rinascita, una boccata di aria fresca. Ma all’inizio non era così chiara la posizione, la posizione era non prendere posizione. Mentre io spingevo per il No, a febbraio la linea ufficiale era ‘noi dobbiamo avere solo un ruolo di informazione, cioè informare sia per il Sì che per il No’. Poi evidentemente Mattia ha capito che, se voleva sopravvivere, doveva spendersi per il referendum e per fortuna lo ha fatto, altrimenti non staremmo a parlare qua io e lei, perché sarebbero già scomparsi”.

Secondo lei c’è modo di non scomparire del tutto e tornare a coinvolgere più persone di quanto si sia riuscito a fare negli ultimi mesi?
“Io ad esempio gli avevo fatto una proposta: è vero che questa cosa te la sei inventata tu ma è vero anche che le gambe gliele abbiamo date noi, ciascuno nella sua piazza. Allora, se vogliamo fare un progetto nazionale, mettiamo in piedi un coordinamento nazionale: quattro persone te le scegli te, una sei tu più altre tre, decidi tu chi, altre sei vanno elette, due per il Nord, due per il Centro e due per il Sud. Così comincia ad esserci una rappresentanza, troviamo un punto di equilibrio, tu porti con te le persone di cui ti fidi, ma apriti ad altri. Invece chi sceglie le persone da mandare a parlare, perché sempre gli stessi, se lo è chiesta? Perché si sceglie tra gli amici degli amici e non per competenza? Non è che non ci fossero le risorse eh. C’era moltissima gente molto competente in tanti ambiti…”.

A proposito dei volti più noti, viene per forza in mente quello di Jasmine Cristallo, che è molto esposta pur non facendo parte del nucleo originario dei fondatori, segno che forse si può trovare spazio nel movimento anche se non ti chiami Mattia Santori…
“Jasmine ha il privilegio di poter parlare quando a tutti gli altri viene chiesto di non rilasciare interviste. Ma devo dire che è una persona che funziona mediaticamente, sa parlare. Ma gli attivisti della Calabria sono due, a parte lei, che io sappia. La Calabria era l’unica regione che non aveva un coordinatore regionale, cioè il coordinatore regionale era lei, ma mancava il coordinamento”.
Cioè coordinava se stessa?
“Ma capisce che stiamo replicando Renzi? Il partito personale, l’immagine prima di tutto. Insomma, il gioco dovrebbe consistere nel venire a un’assemblea, portare una linea politica e convincere la gente. Decidono sempre in quattro poi tu vieni a sapere le cose dalla stampa, è sempre stato così. Capisci che se c’è un marchio, vuol dire che il movimento è di proprietà di qualcuno? È come i Cinque Stelle degli inizi”.

Leggi anche: 1. Zingaretti risponde alle Sardine su TPI: “Caro Santori, ti scrivo” / 2. Dieci domande a Jasmine Cristallo, la sardina che minaccia di querelare TPI / 3. “Noi, usciti dalla Sardine perché nel movimento mancano democrazia e trasparenza” / 4. Sardine, la denuncia di un ex militante pugliese: “Comandano in 4, ci controllano e volevano imporre il no a Emiliano” / 5. La seduta psicanalitica di Santori: nella sua lettera critica il Pd, ma già rivede se stesso

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