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Home » Politica

Altro che candidati di alto profilo: ecco la lista degli improponibili per il Quirinale

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Un assembramento per il Colle. Tutti a scrutare il Palazzo più alto, nel senso istituzionale, della Repubblica italiana. E nelle ambizioni c’è la carica degli improponibili, capitanati da Silvio Berlusconi, condannato e tuttora imputato, che ambisce a diventare il Presidente della Repubblica, quindi anche capo del Consiglio Superiore della Magistratura.

S&D

Una perfetta commedia all’italiana, altro che «il profilo alto» chiesto da ogni leader. Ma non è che gli sfidanti siano granché migliori. Basti pensare all’outsider Paola Severino, madrina della legge sulla prevenzione alla corruzione che le ha conferito un surplus di credibilità. Ma che, da avvocata dei poteri forti, innescherebbe un corto circuito: da legale che sfida i magistrati a capo del Csm. Si diceva che in pole position degli improponibili non può che esserci il fondatore di Forza Italia, che nel suo cursus honorum vanta addirittura una sentenza di colpevolezza, con una pena di 4 anni, per frode fiscale. Al netto dei mille conflitti di interessi, Berlusconi ha esultato per l’assoluzione nel Ruby ter a Siena. Sono però ancora in corso i processi di Roma e Milano, giudicati i filoni principali. E, come se non bastasse, l’imprenditore Gianpaolo Tarantini è stato condannato per aver reclutato delle escort da portare a casa dell’amico Silvio. Una condotta tutt’altro che impeccabile in vista dell’ascesa al Colle.

Meno scandaloso è sicuramente il percorso politico di Letizia Moratti, oggi vicepresidente e assessora al Welfare della Regione Lombardia. Eppure nel suo curriculum c’è la condanna della Corte dei Conti per danno erariale nell’ambito delle “consulenze d’oro” al Comune di Milano risalenti al 2007. Allora, da sindaca, elargì lauti stipendi a vari collaboratori: un milione e 900mila euro per incarichi non dirigenziali, a cui si sommò la cifra di un milione destinata agli addetti alla comunicazione. Moratti ha così dovuto dare un risarcimento di 591mila euro. Le sue prodezze sono comunque antecedenti all’esperienza da sindaca. Il suo nome è infatti nella storia per la riforma della Scuola e dell’Università che ha portato a compimento l’opera di precarizzazione dei ricercatori e i tagli degli insegnanti, nel solco dell’indebolimento complessivo dell’istruzione pubblica.

Un’altra donna di centrodestra è la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, finita al centro delle polemiche per l’uso allegro dei voli di Stato. Nel suo percorso professionale spicca la fedeltà totale a Berlusconi, per cui è anche andata ad “assediare” il Tribunale di Milano, quando il leader forzista era stato convocato per l’udienza del processo Ruby. Che per Casellati, come tanti altri berluscones duri e puri, era «la nipote di Mubarak».

Ma l’elenco degli improponibili non comprende solo nomi graditi al centrodestra. Resta in piedi la candidatura di Giuliano Amato, il collezionista di pensioni per un totale di 31mila euro. Una cifra a cui si arriva sommando i 9mila euro di vitalizio e i 22mila di assegno previdenziale, relativo al lavoro da docente e da presidente dell’Antitrust. Lui ha sempre respinto ogni critica, sostenendo di versare una parte, quella del vitalizio, in beneficenza. Di sicuro non ha fatto beneficenza agli italiani quando, nel 1992, da presidente del Consiglio, impose un prelievo forzoso dello 0,6 per cento sui conti correnti con la motivazione di voler salvare i conti pubblici.

Tra gli evergreen c’è Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera e storico alleato del centrodestra berlusconiano, con la sua Udc. Terminato il mandato, si è gradualmente allontanato dagli alleati, fino a lasciare il partito centrista che aveva fondato, abbracciando la causa del referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi. La parabola trasformista si è chiusa nel 2018, quando l’ex “rottamatore” lo ha candidato nelle liste del Pd, di cui è oggi senatore.

E che dire poi di Marta Cartabia, prima donna a diventare presidente della Corte costituzionale? Negli anni alla Consulta non sempre ha brillato di luce propria. Come quando bocciò la legge Fini-Giovanardi sul consumo di droga, favorendo però il ritorno al regime previgente, più severo.
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