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Quirinale, ipotesi bis Mattarella. Letta a TPI: “Vedrete che alla fine correranno tutti da lui”

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Il settennato dell'attuale presidente della Repubblica scade nel 2022. Ma già sono in corso le manovre per la sua rielezione. Con questi gruppi parlamentari, non c’è dubbio che il suo nome sia l’unico che può raccogliere una maggioranza ampia

Mattarella bis al Quirinale, Letta a TPI: “L’unico con maggioranza ampia”

E se alla fine di arrivasse ad un clamoroso Bis? ll primo che da corpo all’ipotesi che da mesi gira sottotraccia nei Palazzi è Enrico Letta: “Vuoi – mi dice l’ex premier – un pronostico sul Quirinale? Vuoi il nome che nessuno osa pronunciare? Io te lo posso scrivere in un biglietto nero su bianco…”. Letta si ferma, sorride, ovviamente sa che ho già capito quale nome ha in mente, ma fa una pausa e poi aggiunge: “Scommetterei qualcosa che alla fine andranno in ginocchio da Sergio Mattarella e gli chiederanno di fare un secondo settennato”. Chi? “Ma tutti, ovviamente. Forse persino la Lega”. Ovvio che nel 23 luglio in cui il presidente della Repubblica compie 79 anni, le parole di Letta suonino meglio di una torta di compleanno. E non tanto per l’inquilino del Colle, ma per gli italiani – di destra e di sinistra – che in queste ore lo possono festeggiare come uno dei presidenti più discreti e garantisti della storia repubblicana.

S&D

Letta non è tipo da sprecare parole, come è noto. E non è nemmeno un politico di quelli che ogni giorno costruiscono retroscena fantastici da distribuire ai giornalisti con il ciclostile. Se si espone, rivelando per primo quello che molti pensano, un motivo c’è. Mai come nelle prossime Quirinarie, infatti, il problema della rappresentanza politica impatta con quello della necessità di un accordo. Il settennato di Mattarella come è noto scade nel 2022, ma le grandi manovre iniziano molto prima, sono già in corso. A partire da adesso tutto conta, ogni dettaglio: in primo luogo l’accordo con l’Europa che allontana lo spettro di una crisi anticipata, l’unica vera incognita che avrebbe fatto saltare gli attuali equilibri. E allora ecco il ragionamento di Letta: “Con un altro Parlamento, ovviamente, tutti i giochi si azzererebbero, tutto si rimetterebbe in gioco – spiega l’ex premier – e ogni pronostico sarebbe impossibile. Ma in questa legislatura, e con questi gruppi parlamentari, non c’è dubbio che, a prescindere da tutti i nomi che inizieranno a circolare, quello di Mattarella è l’unico che può raccogliere una maggioranza ampia, più ampia di quella che lo ha eletto la prima volta”.

E i Cinque stelle? “Se un po’ ho imparato a capirli, in questi anni, potrebbero diventare proprio loro i primi sostenitori del bis”. Proviamo a spiegare il perché del ragionamento di Letta. Oltre alla consueta divisione tra destra e sinistra, infatti, il Parlamento del 2018 presenta due grandi anomalie rispetto alle previsioni e alle stime dei sondaggi di queste ore sul prossimo voto politico. In questo Parlamento il M5s è di gran lunga il primo partito sia alla Camera che al Senato. In questo Parlamento il peso di Salvini è quasi la metà di quello attuale, il peso di Forza Italia è quasi il doppio, quello della Meloni è addirittura meno di un terzo, quello del Pd più o meno tre punti superiore a quello del partito renziano, uscito – come è noto – con le ossa rotte dalle urne. Questi numeri, dunque, dicono che la forbice di fluttuazione della maggioranza non è mai stata così alta e questo disvalore, paradossalmente, diventa un elemento stabilizzante.

Se il M5s fosse ancora al 33 per cento, per dire, spetterebbe tacitamente al partito di Rocco Crimi e a Luigi Di Maio l’onore di indicare un nuovo presidente. E se in virtù di questa scelta la maggioranza giallorossa si scomponesse sul Quirinale (anche se dal punto di vista costituzionale non esiste nessuna relazione) è evidente che ci sarebbe un contraccolpo politico immediato sul governo. D’altra parte non può ripetersi quello che è accaduto sul Napolitano-bis, con un asse privilegiato Forza Italia-Pd che decide la nomination, sia perché sono cambiate le leadership e un Nazareno è oggi lontano, sia perché anche se individuassero un nome comune i due partiti non avrebbero i numeri per imporre una candidatura che raccolga almeno metà dei voti nell’assemblea elettiva.

Terza ipotesi. Esiste la possibilità di un presidente Gialloverde? In linea teorica, dal punto vista algebrico la risposta è ancora una volta si, dal punto di vista politico è assolutamente impossibile, dopo la rottura tra Salvini e Di Maio. Questo asse politico avrebbe dunque potenzialmente i numeri per affermarsi, ma non la coesione politica: anche in questo caso un minuto dopo imploderebbe il governo. E soprattutto: visto che il contrario è impossibile, ce lo vedete Salvini a votare un candidato a Cinque Stelle?

Altra domanda. Esiste oggi un altro Stefano Rodotà, ovvero un nome che potrebbe mettere insieme una maggioranza giallorossa su un nome gradito al M5s? Se esiste deve essere ben nascosto, perché è difficile individuarlo, non è tempo di Quirinarie, di innovazioni dirompenti del tipo Milena Gabanelli o Piercamillo Davigo. Le fluttuazioni impazzite della politica in questi anni hanno esaltato il bisogno di stabilità del Colle. Ancora più difficile – poi – è che si verifichi il contrario e cioè che un candidato del Pd possa raccogliere una maggioranza aggregando i voti dei pentastellati: Dario Franceschini è da anni il più Quirinabile tra i dirigenti del Nazareno, ma quale contropartita potrebbe portare il M5s a votarlo? Stesso discorso per un altro candidato potenzialmente perfetto come Walter Veltroni. Non è in cima ai desiderata del M5s.

Ecco dunque che in questo scenario Mattarella diventa un bene-rifugio che fa quadrare ben tre cerchi: si porta dietro per trascinamento la maggioranza che lo ha votato, ma oggi è diventato un riferimento per il M5s (che solo due anni fa lo contestava). Il Cursus honorum di Di Maio nelle istituzioni, prima nei panni di vicepremier, poi alla Farnesina, lo ha portato a stretto contatto istituzionale con il capo dello Stato. Allo stesso tempo Mattarella è centrista per vocazione e identità, ma è credibile come uomo di garanzia. È popolare presso gli italiani (come dimostrano i sondaggi), è del tutto disinteressato per via dell’età, mai – in questi anni – ha creato strappi o ha cercato protagonismi, in questo è diventato l’interprete più fedele del ruolo arbitrale che i Costituenti immaginavano per l’inquilino del Colle. È anche relativamente “giovane” (per la carica), se si pensa che alla fine degli eventuali sette anni del nuovo mandato sarebbe ancora meno anziano di quando Pertini fini il suo primo settennato. E che – in quell’ipotetico 2029 – sarebbe anche più giovane del giorno in cui Giorgio Napolitano iniziò il suo secondo mandato.

Se l’anno prossimo, sulla torta delle 80 candeline, qualcuno inizierà a scrivere la parola bis, dunque, sarà un bel regalo. Non per lui, però, non per il possibile bispresidente. Ma per noi italiani.

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