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Liliana Segre consegna una pagina del suo diario dal lager per rispondere al centrodestra

Immagine di copertina
Liliana Segre e la pagina del suo diario dai Lager.

La senatrice a vita, sopravvissuta ad Auschwitz, risponde ai senatori di Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia che si sono astenuti al voto della sua mozione con una pagina di diario scritta nei campi di sterminio nazisti

Liliana Segre risponde al centrodestra con una pagina del suo diario dai lager

La mozione per istituire una commissione contro razzismo, antisemitismo, istigazione a odio e violenza a prima firma Liliana Segre è stata approvata in Senato con 151 voti favoreli. Ma i senatori Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia si sono astenuti. La senatrice a vita ha voluto rispondere al centrodestra con una pagina del suo diario dal Lager.

S&D

Liliana Segre ha consegnato il suo prezioso scritto di molti anni fa sulla prigionia ad Auschwitz-Birkenau al Corriere della Sera. Il titolo è: 1944, La stanza.

Questa pagina è la sua risposta agli astenuti al voto della sua mozione. I senatori di Lega, FI e FdI hanno giustificato l’astensione al voto dicendo che la mozione potrebbe essere in contrasto con i valori di patria e famiglia.

Liliana Segre, che secondo il recente report dell’Osservatorio sull’antisemitismo riceve una media di 200 insulti a sfondo antisemita al giorno, si augurava infatti che la proposta fosse approvata da tutta l’aula senza scontri o tensioni, ed ha ascoltato incredula il dibattito lanciato dai senatori del centrodestra, che sono riusciti a trovare gli argomenti per opporsi a un’iniziativa di buon senso.

“Visto che l’opposizione pensa che non mi occupi di patria e famiglia, da questa pagina si evince — dice Liliana Segre — che già nel lager amavo la mia patria, anche se mi aveva mandato lì”.

La pagina di diario scritta da Liliana Segre dai Lager: 1944, La stanza

La stanza era grande, lunga e stretta e vuota completamente. C’erano due porte e una finestra piccola, vicino alla finestra la stufa. La stufa era di ferro, era appena tiepida ma quel leggero tepore era annullato dalla corrente gelida che veniva dalla finestra. Stavo attaccata alla stufa e guardavo fuori la distesa di neve e le macchie indistinte delle prigioniere in fila, lontano verso i fili spinati.

Avevo una consapevolezza nuova della mia nudità e del mio cranio rasato. La rasatura era stata crudele, la macchinetta passava duramente sulla povera testa quasi ormai pelata. I miei capelli neri lunghi, ricci, ribelli erano per terra e non avevo potuto tenere per me neanche il nastrino verde che li legava nella mia vita precedente. Non ero mai stata così sola e così infelice. Le ore passavano e ogni tanto entravano dei soldati, mi guardavano, ridevano, scambiavano una battuta di spregio. Avevo fame, sete e freddo. Nessuno mi diede nulla né da bere né da mangiare né da asciugarmi, dopo la doccia rimasi bagnata mentre aspettavo che i miei stracci venissero disinfestati.

La scoperta di un pidocchio sulla mia faccia e il mio gesto di ribrezzo disperato avevano attratto l’attenzione della kapò che mi aveva mandato subito alla disinfestazione e alla rasatura: io, la fortunata alla quale un mese prima all’arrivo a Birkenau non erano stati tagliati i capelli per un capriccio della sorvegliante, nell’invidia delle altre prigioniere. La mia faccia era terribile riflessa nel vetro. Mi facevo paura, volevo gridare, volevo piangere, volevo urlare la mia disperazione a quel cielo grigio: era inutile.

Dopo ore entrò una ragazza. Avrà avuto forse due o tre anni più di me, anche lei nuda e disperata. Si avvicinò alla stufa e ci guardammo con pietà fraterna, già amiche, già sorelle, con occhi adulti. Tentammo in tutti i modi di parlare ma non ci capivamo assolutamente (forse era cecoslovacca o ucraina) e allora non so più a chi delle due venne in mente di tentare con il latino scolastico delle nostre prime frasi delle scuole medie, così lontane da lì. E fu fantastico poterci scambiare dolci brevissime frasi: Patria mea pulchra est («La mia patria è bella»), Familia mea dulcis est («La mia famiglia è dolce»), Cor meum et anima mea tristes sunt («Il mio cuore e la mia anima sono tristi»). Fu molto importante quel momento e anche se non ho mai saputo il nome di quella ragazza, con lei ho vissuto un’altissima affinità spirituale e la massima condivisione in una condizione umana bestiale. Grazie amica ignota, spero che tu sia tornata a raccontare di quel giorno di marzo 1944 nella «Sauna» di Birkenau.

La pagina del diario di Liliana Segre è stata pubblicata in esclusiva dal Corriere della Sera. Il testo è stato raccolto da Alessia Rastelli.

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