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Home » Politica

Giuseppe Conte a TPI: “No alla cieca obbedienza alla Nato, negoziare con Mosca è un dovere”

"Siamo parte fondante dell’Alleanza Atlantica. Io non metto in discussione la nostra appartenenza, ma la nostra postura. In Ucraina serve un negoziato per una conferenza internazionale sotto l'egida dell'Onu col pieno protagonismo dell'Ue e con il coinvolgimento del Vaticano". Su TPI l'intervista al leader M5S Giuseppe Conte

Presidente Conte, partiamo dalla guerra in Ucraina? Da Macron, a Scholz, agli Stati Uniti, molti iniziano a chiedersi fino a che punto il supporto militare all’Ucraina sia l’unica soluzione perché il conflitto cessi.
Perfetto, possiamo partire da qui, per me è un punto decisivo.

S&D

Francia e Germania si chiedono quanto sia produttivo proseguire con l’attuale strategia. E non solo: trenta deputati democratici al congresso degli Stati Uniti hanno chiesto a Biden di trattare con Putin. Che ne pensa?
Io credo che la cosa più legittima sia interrogarsi.

Interrogarci sulla guerra?
La forza delle democrazie occidentali è quella di avere delle opinioni pubbliche che partecipano al dibattito. Sarebbe prioritario però avere questo dibattito nei parlamenti, come noi abbiamo chiesto, senza però riuscire ad ottenerlo.

Perché?
C’è una grande pressione bellicista da parte dei media e della politica. Quando abbiamo chiesto di discutere in Aula, il governo Draghi ci ha detto di no. E siamo stati addirittura rappresentati come dei “guastafeste” che volevano mettere in difficoltà la maggioranza. Nulla di tutto questo, ma ripeto: è normale che nelle nostre democrazie ci si interroghi.

Su cosa?
Sulle domande che in queste ore si fanno tutti. Qual è la nostra strategia? Chi l’ha decisa? E soprattutto: dopo mesi di guerra sta funzionando o no?

E lei cosa ne pensa?
La prima domanda che dobbiamo porci è: qual è l’obiettivo che vogliamo raggiungere?

Perché proprio questo domanda?
Mi hanno colpito molto le parole di Zelensky al Corriere della Sera: “Il nostro obiettivo non è solo isolare la Russia ma ottenere una vittoria militare”.

Non la convincono?
Dipende cosa si intende. La vittoria militare sulla Russia a che prezzo? Perché se l’obiettivo fosse sconfiggere la Russia, un paese che ha un arsenale atomico di seimila testate atomiche, questo significherebbe accettare il rischio di una escalation nucleare. Oppure immaginare una guerra che duri per anni, o decenni, e che ovviamente condizionerà lo scenario geopolitico futuro. Non va bene.

Incontriamo Giuseppe Conte nella sede nazionale del Movimento, in via di Campo Marzio a Roma. Conte fa partire la sua riflessione dalla manifestazione per la pace, dalla guerra, per poi passare alla politica italiana, ai primi giudizi sul governo Meloni, al rapporto  (non facile) con il Pd: “Noi il nostro percorso di chiarificazione identitaria lo abbiamo appena compiuto, per questo cresciamo, loro lo devono ancora iniziare, per questo calano”.

Ritorniamo al conflitto. Quindi si può negoziare anche con la Russia?
Si deve. Questo ovviamente non significa non tenere ferma la condanna dell’invasione, e nemmeno abbandonare a se stessa la popolazione ucraina.

Ma su cosa si può trovare una intesa?
Se tu hai una strategia poi devi perseguirla e io credo che la strategia migliore, in questo caso, sia cercare una via di uscita. E non può essere una vittoria  militare, ma solo un negoziato di pace. È questa la svolta che abbiamo chiesto a gran voce: arrivare a dei negoziati. Concentrare tutti gli sforzi diplomatici dell’Italia per arrivare a questo obiettivo.

Chi dovrebbe fare questo passo?
L’Unione europea, con l’Italia capofila, devono riacquistare una centralità in questa prospettiva di pace con tutti gli attori che possono contribuire a livello internazionale.

A chi giova che la guerra prosegua?
Ci sono tanti aspetti sicuramente economici e anche geopolitici in gioco. Per questo le democrazie si interrogano se conviene concentrare tutti gli sforzi nella direzione milita-re.

Lei è convinto che non si debba.
Nella storia è accaduto diverse volte che in tanti scenari di guerra le grandi potenze abbiano poi abbandonato delle strategie belliche nonostante non avessero raggiunto la vittoria militare, perché non potevano più continuare con quel livello di investimenti.

Intende i costi della guerra?
Gli Stati Uniti dicono di avere già speso, in un solo anno, e in un solo Paese addirittura  quasi 60 miliardi di dollari.

Senza contare i costi indiretti.
Anche per noi il costo di questa guerra è un problema: siamo entrati in una prospettiva di recessione, in una crisi energetica e in una spirale inflattiva indotte dal conflitto. Co-me facciamo a non interrogarci?

Il fatto che gli Stati Uniti non abbiano mai speso una cifra di questo livello, in un solo Paese, e in un solo anno, dai tempi della guerra del Vietnam, fa pensare che gli Usa abbiano  interessi che vanno oltre il solo spettro della difesa dell’Ucraina. Ci sono anche interessi commerciali e geopolitici in questo conflitto?
Ci sono dati di fatto innegabili: in questo momento gli Stati Uniti si stanno avvantaggiando sulla vendita di gas Gnl ad un prezzo quattro volte superiore a quello del loro mercato interno. E di certo le industrie belliche americane sono in prima fila fra le tante che stanno facendo fatturati enormi rispetto al passato. Ma anche la Norvegia guadagna, e la sua bilancia commerciale è schizzata a livelli inimmaginabili prima della guerra. Non parliamo della borsa del gas di Amsterdam. Mentre l’Unione Europea nel suo complesso paga un prezzo molto alto rispetto ai suoi alleati.

Questo significa mettere in discussione l’appartenenza all’Alleanza Atlantica?
Noi siamo parte fondante dell’Alleanza Atlantica. Io non metto in discussione la nostra appartenenza, ma la nostra postura sì: l’Italia non può parteciparvi, nel sistema integrato europeo, limitandosi alla cieca obbedienza. È questo il tema. Dobbiamo contribuire a riconsiderare quella strategia decisa a caldo, per ottenere la pace.

Condivide le sanzioni?
Sono favorevole alle sanzioni sebbene stiano svantaggiando anche noi. Ma vanno mantenute, quando ci sono in gioco principi e valori della  democrazia, il diritto all’autodifesa di un popolo. Allo stesso tempo, proprio per questo motivo, mi chiedo: fino a che punto potremo reggere con questa strategia? Non ho dubbi che la strategia militare del conflitto vada rivista, che la via  delle armi non abbia sbocco, che la pace sia l’unico esito possibile, l’unica prospettiva che offre a tutti una via di uscita. Dobbiamo lavorare per uno scenario geopolitico che ci consenta di affrontare non solo il domani ma il dopodomani.

Cioè?
Chi può pensare oggi – nonostante la sua condotta criminale – che la Russia possa spari-re dall’atlante geopolitico? Chi può credere davvero che indurre un cambio di regime a Mosca porti automaticamente a ricomprendere la Russia fra le grandi democrazie? Affrontare i problemi dell’oggi con lungimiranza significa approntare una strategia di lun-go periodo.

Ma chi deve occuparsi di questo negoziato? La von der Leyen?
L’obiettivo è un negoziato di pace che poi sfoci in una conferenza internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite con il pieno protagonismo dell’Unione Europa e il coinvolgimento della Santa Sede. Questa conferenza può produrre una scenario di pace e sicurezza internazionale.

Però lei deve rispondere all’obiezione che molti continuano a farle, a maggior ragione, dopo l’intervista ad Avvenire con cui lei ha promosso la manifestazione per la pace. La accusano, cioè, di collocarsi in una posizione di equidi-stanza tra i due contendenti. E di aiutare, così, la Russia.
Questa è l’accusa strumentale di chi ha voluto svilire la posizione del Movimento 5 Stelle, continuando a calzare l’elmetto. Il M5s non ha nessuna equidistanza. Io non avrei mai partecipato ad una manifestazione che nella sua piattaforma avesse messo sullo stesso piano i due contendenti. Qui abbiamo un aggressore e un aggredito. E l’aggressione è assolutamente ingiustificabile rispetto alle norme del diritto internazionale. Il M5s stelle ha riconosciuto fin dal primo giorno questo status dell’Ucraina e il diritto della popolazione a difendersi ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.

Quindi lei cosa contesta?
Abbiamo il diritto, come cittadini, di dire la nostra su una scelta così delicata e così in-fluente sul nostro futuro. L’opinione pubblica può orientare i governanti in questa fase: questo è ciò che deve accadere. La manifestazione del 5 novembre segna il ritorno in campo della società civile.

Secondo l’ambasciatore dell’Ucraina lei sbaglia.
Il 5 novembre non parlo io, ma l’opinione pubblica: questa manifestazione restituisce la parola ai cittadini, non al M5s.

Diversi esponenti del Vaticano sostengono che l’Italia possa e debba uscire dalla NATO.
Non è la mia posizione. Qualcuno ricorderà che quando Macron decretò la “morte cerebrale della NATO” io dissi che non ero d’accordo. Ovviamente dobbiamo distingue-re: un conto è mettere in discussione l’adesione ad un trattato, cosa che non intendo fare, un altro è manifestare legittime obiezioni sulla strategia che quell’alleanza persegue. Il problema vero è un altro.

Quale?
L’Europa non sembra pervenuta in questo conflitto. Però questa è una guerra europea, una guerra che si combatte sul suo suolo: se l’Unione europea non giocherà un ruolo da protagonista – che non può essere altro che in direzione di un negoziato di pace – è condannata a perdere la sua leadership.

In America si parla di ridisegnare il sistema di difesa della NATO, ricollocando e dislocando vecchie e nuove testate nucleari nei paesi dell’alleanza. Com-prese quelle che sono basate in Italia. La politica italiana su questo tema tace. Lei se la sente di dire: “Nessuna nuova testata nucleare va dislocata in Italia”?
In questi giorni abbiamo notizia che si vogliono installare dei nuovi ordigni nucleari. Bene, nelle democrazie europee, i governanti informano i cittadini e le opinioni pubbliche sulle decisioni più rilevanti. Allora io chiedo al governo di riferire su queste nuove strategie. Negli Stati Uniti se ne discute tranquillamente. Mentre da noi non ne ha parlato nessuno.

E se fosse lei il Presidente del Consiglio?
Io da Presidente del Consiglio ho fatto della trasparenza il tratto distintivo del mio mandato. Ora voglio sapere se il nuovo Presidente del Consiglio, o il precedente, hanno già preso impegni a nome dei cittadini italiani.

Ha visto che il ministro Crosetto annuncia querela per diffamazione tutti i giornali che gli dovessero attribuire conflitti di interesse?
Sono convinto che ragioni di opportunità avrebbero dovuto sconsigliare la nomina di Crosetto a ministro della Difesa. Se non sbaglio, tra l’altro, proprio in un’intervista alla vostra rivista lo scorso agosto Crosetto – sollecitato su un possibile ruolo alla Difesa – rispose che un suo incarico “sarebbe stato inopportuno, dato il mio lavoro”. Mi pare che basti questo per far cadere il castello di carte di chi nega l’evidenza.

Lei però dice di stimarlo.
Vero. Io lo considero una persona degna.  Però sino al giorno prima era rappresentante delle industrie del settore militare. Se vorrà regolare i suoi rapporti con i giornalisti con le querele sono problemi suoi. Ma la reazione mi sembra inutilmente aggressiva. Se al suo posto ci fosse stato un altro, io penso che anche lui si sarebbe fatto le stesse domande.

Crosetto dice: “Ma io da ministro non mi occupo di commesse militari”.
Non possiamo girarci intorno: Un ministro della difesa segue anche quelle. Certo, non va a vendere armi in giro per il mondo, ma è ovvio che si occupi anche di investimenti militari.

Lui dice: io mi spoglio del conflitto.
Quello è doveroso. Ogni incarico diretto o titolarità  azionaria renderebbero incompatibile la permanenza in quel ruolo. E io vedo che questo governo sta proseguendo la linea bellicista di Draghi.

Ma a chi conviene questa linea?
All’interno di Fratelli d’Italia vedo una vocazione bellicista neanche troppo velata. In questo c’è stata una piena continuità con Draghi, una perfetta intesa.

Cosa intende esattamente?
La vocazione interventista è una iattura. Ma non solo perché è in contrasto con la mia personale vocazione pacifista: è la negazione di un principio fondamentale della nostra Carta Costituzionale.

Anche in politica interna?
Pensi all’ideologia che c’è dietro il decreto sui rave, che  può essere usato contro qualsiasi altra forma di raduno, in piazza, nelle fabbriche, nelle università. Io l’ho definito un provvedimento da stato di polizia.

C’è altro che non va nelle prime mosse del governo?
La sua cultura di fondo, in cui individuo anche un neoliberismo di stampo tecnocratico. Al di là della restaurazione identitaria e del richiamo alla triade Dio-Patria-Famiglia, c’è una linea di continuità economica diretta con Draghi. Infatti Giorgetti, neo ministro dell’Economia, era riconosciuto da tutti come il più ‘draghiano’ dei ministri del passato esecutivo. La legge di bilancio me l’aspetto molto draghiana.

Le faccio una domanda molto brutale usando gli stessi termini usati oggi da molti dirigenti del Pd quando parlano di lei: “Conte – dicono – sta tentando un’Opa su di noi, per prendersi i nostri elettori. Cosa risponde a questa accusa?
Io fin dal principio dissi a Letta: “Mi pare che voi non abbiate capito i nostri principi fondativi, il nostro rapporto profondo con la cultura pacifista.

In che senso?
A marzo, quando è scoppiato il conflitto, ed è partita la corsa al riarmo, io ho subito considerato i 100 miliardi di euro programmati dalla Germania con la rimilitarizzazione dell’esercito, e gli investimenti americani di cui abbiamo parlato, come una vera follia, perché si drenano risorse dalle politiche sociali e ambientali per sostenere l’industria bellica. Il Pd non si è scomposto di fronte a queste mie denunce.

Si, ma non eluda la domanda sul Pd, sul sospetto che lei  voglia “rubare” elettori sul tema della pace.
Lei lo sa che il M5s è nato il giorno di San Francesco? La pace è tra i paragrafi più importante della nostra carta dei principi. Il Movimento organizzava marce della pace quando ancora io non c’ero.  Pensare che il nostro impegno di oggi sia figlio di un cal-colo elettoralistico per sedurre qualche elettore, significa non capire nulla di quel che sta accadendo.

Ma il M5s non si era mai addentrato così tanto nelle analisi geopolitiche. Siete diventati un partito compiutamente di sinistra?
Il Movimento 5 Stelle ha sempre avuto questa postura a favore della pace, io mi sono limitato a consolidarla e ad aggiungerci la mia esperienza in materia di politica estera e di sensibilità geopolitica.

Che ruolo ha avuto in questo, lei?
La definirei una funzione maieutica. Con l’esperienza di governo ci siamo dovuti misurare con i singoli dossier. Abbiamo affinato un orizzonte di valori che c’erano già e li abbiano definiti meglio. Non è stato un percorso indolore ma faticoso: ci è costato scissioni, strappi e abbandoni da parte dei transfughi.

E il risultato finale?
Questo chiarimento è diventato un elemento di forza: si può non essere d’accordo con noi, ma la nostra posizione è cristallina. Il viaggio che il Pd deve ancora fare, e che for-se sta iniziando a fare adesso, noi lo abbiamo già fatto. Oggi noi abbiamo un profilo identitario chiaro.

È questa posizione che vi porta consenso?
Fare un percorso di chiarimento al proprio interno ha un suo prezzo. Noi lo abbiamo fatto con coraggio e responsabilità e oggi, grazie a questa chiarezza, stiamo crescendo.

Più istituti di sondaggi, in queste ore, dicono che state sorpassando il Pd di uno o due punti. Non dica che questo non la rallegra perché non ci crediamo.
(Ride). Se dovessi dispiacermi di sondaggi favorevoli dovrei cambiare mestiere. È ovvio che mi fa piacere che ci indichino come il secondo partito italiano.

Siete il primo partito del centrosinistra.
(Ride). Siamo il primo partito progressista.

Ma oggi vi considerate di sinistra o no?
Di sicuro il viaggio è compiuto: ci collochiamo in questo emisfero della politica, in posizione alternativa ad una destra conservatrice ma a tratti anche reazionaria.

E chi siete?
Siamo la vera alternativa a questa destra. La nostra vocazione è la rottura dei privilegi e dello status quo. Siamo progressisti, perché esprimiamo una forte aspirazione alla giu-stizia sociale ed ambientale e perseguiamo una prospettiva trasformatrice della società.

Perché secondo lei dopo il voto voi avete continuato a crescere e il Pd a calare?
(Sorriso). Non mi faccia fare il politologo.

Beh, ma una idea sulla sua “bottega” la avrà pure.
A me pare che – a parte il fango che hanno provato a tirarci addosso – già in campagna elettorale il nostro profilo era quello di una forza progressista capace di parlare di temi concreti e di dare risposte alle urgenze dei cittadini. Pensi a Giuliano Ferrara che ci ha definito “la forza più riformista d’Italia”.

Teme di apparire troppo ancorato al meridionalismo e alla difesa delle fasce più deboli della società?
Questa etichetta del Movimento come “partito del Sud” è falsa, ci è stata affibbiata du-rante la campagna elettorale per ostacolare la nostra ascesa. Noi in realtà siamo il parti-to che ha sempre difeso il Sud ma ha anche operato più efficacemente a favore del Nord.

Addirittura?
Ma secondo voi dove sono andati a finire, in maggioranza, i 130 miliardi stanziati con ben cinque diverse variazioni di bilancio durante il Conte II? Per rispondere basta ri-cordare quali sono state le Regioni più colpite dalla Pandemia…

Erano fondi della sanità…
E industria 4.0? E il fondo nuove competenze? E le agevolazioni fiscali? Dove sono la stragrande maggioranza delle industrie? E ancora: la maggior parte dei cantieri del Su-perbonus si trovano in Veneto. Tutte le nostre misure hanno finito per arricchire inevi-tabilmente la parte economicamente più avanzata del Paese.

Lei oggi pensa di poter contendere voti al Pd anche nel partito Ztl? Di poter convincere i ceti borghesi di non essere, come dice Calenda, “il partito degli scappati di casa”?
Questo era uno stereotipo falso e volgare già prima, se considera che il M5S era il gruppo politico con il maggior numero di laureati in Parlamento.

Stia attento alla domanda trabocchetto: è più voto di scambio il reddito di cittadinanza o l’innalzamento della soglia di contante?
Questa storia del voto di scambio sul reddito di cittadinanza, che richiama dinamiche di stampo mafioso, è talmente infamante che nemmeno rispondo.

Lo nega, dunque?
Fatemi capire: se uno fa una misura per chi è in difficoltà fa voto di scambio, mentre un partitucolo che fa una misura a favore degli interessi dei lobbisti agisce legittimamente?

Di chi parla?
È chiaro.

Quindi niente voto di scambio?
Assolutamente no. Parliamo piuttosto dell’aumento del tetto del contante!

Per dire cosa?
Lo European House Ambrosetti, che studia la cashless society, sostiene che se questa riforma passasse ci sarebbe un impatto di evasione sul Pil dell’1,7%, parliamo di 28 mi-liardi aggiuntivi di sommerso.

Ma dopo le proteste  la Meloni parla di tetto a 5mila.
E allora sono 14 miliardi! La Meloni i dossier deve studiarli: 5 mila euro in contanti è il 30% del reddito medio di una famiglia. Ma neanche un benestante gira con 10mila eu-ro in contanti in tasca, suvvia!

Lei dice che questa misura aiuta i poteri criminali?
Sicuramente è un favore a mafiosi e corrotti. Si sta smantellando la prospettiva di digitalizzazione della pubblica amministrazione e l’incentivo ai pagamenti tracciati contro l’economia sommersa. Il paradosso di questa destra è che nutre l’economia in nero. Gli spalloni faranno festa.

Vi accusano di  fare opposizione distruttiva e non costruttiva.
La nostra sarà una opposizione intransigente. Saremo durissimi, non ci interessano accordi sottobanco. Ma saremo disposti a confrontarci su tutti i temi concreti.

Ad esempio?
Le pensioni: un settore su cui intervenire sicuramente,  detassando le pensioni fino a mille euro. Costerebbe 5 miliardi e daremmo 80-100-150 euro in più a ciascun pensio-nato.

E le badanti?
Un milione sono in regola,  un altro milione lavora in nero.  Dovremmo incentivare l’emersione di quest’ultima area consentendo le deduzioni al 50% di tutti i contributi. Così pagheremmo tutti meno.

Con il Pd la strada del dialogo è chiusa?
Da questo Pd abbiamo preso una porta in faccia. Ora andiamo avanti per la nostra strada.

Perché non si può marciare insieme?
Mi ha stupito il discorso della fiducia di Letta, ancora centrato sull’agenda Draghi.

Lei non lo accetta?
Io no, ma se lo ritengano facciano pure.

Lei accetterebbe il principio – del centrodestra – che chi arriva primo nella coalizione governa?
Quel patto è il prodotto di un cartello elettorale: litigavano all’opposizione, ora litigano anche al governo.

E lei non vuole una coalizione?
Io voglio prima di tutto che si parli di temi. Noi abbiamo fatto un percorso al nostro interno, ora il Pd ha iniziato il suo.

Ma nel Lazio si vota fra tre mesi!
C’è stata una esperienza di governo comune che si è rivelata positiva. Ma non possiamo non tener conto di tutte le vicende che sono successe negli ultimi mesi.

Nel Pd si parla di candidare un assessore, tra Leodori o D’Amato. Mentre Repubblica scrive che voi proponete la candidatura di Fassina o Marino.
Questi ultimi due nomi li devo smentire. Io non ho mai proposto nessuna candidatura. I nomi degli assessori che circolano mi sembrano molto legati alle dinamiche interne del PD. Quanto a noi faremo una riflessione tra di noi, cercando di fare una sintesi nell’interesse della comunità regionale.

Con che spirito?
Quello di poter porre nel Lazio una sfida competitiva al centrodestra.

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