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Il diritto di passeggiare coi figli è sacrosanto, e l’Italia non è un paese di trasgressori

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Ci sarà da ricostruire, certo, ci saranno moltissime persone rimaste senza uno straccio di reddito e rischi enormi per l’ordine pubblico e la tenuta democratica del Paese. Servirà una barca di miliardi e non sappiamo ancora se e come l’arcigna Unione Europea, che di questi tempi sta dando davvero il peggio di sé, ci consentirà di spenderli. Fatto sta che è bastata una giornata come quella di ieri per rendere ancor più tangibile quanto questa maledetta crisi ci stia cambiando e non per forza in peggio. È bastata la saggezza della ministra Lamorgese, con la sua circolare rivolta ai prefetti che viene incontro ai bambini, autorizzando i genitori a portarli a spasso per un’ora al giorno vicino casa, per farci comprendere che anche un certo cattivismo, perennemente ingrugnito, ormai è passato di moda.

Non voglio sembrare stucchevole o smielato, ma la sensazione che si avverte in queste settimane è che il Paese, posto di fronte alla sfida piu dura dal dopoguerra, stia reagendo con una maturità che sta sorprendendo tutti, a cominciare da noi stessi. Abituati come siamo a parlar male dell’Italia, anche a causa del provincialismo atavico delle nostre classi dirigenti, compresa quella giornalistica e intellettuale, il fatto di constatare che la stragrande maggioranza dei nostri concittadini stia rispettando senza batter ciglio regole prossime al supplizio ci lascia esterrefatti. Convinti com’eravamo, e come forse siamo tuttora, di essere un popolo indisciplinato, egoista e menefreghista, abbiamo persino giustificato questa prova di saggezza e rigorosa autodisciplina con una riflessione relativa alla paura, certo comprensibile e senz’altro importante nel guidare le nostre scelte prudenti ma non sufficiente per porre in secondo piano la comprensione collettiva del momento storico.

Che ci piaccia o meno, siamo assai migliori di come ci siamo descritti per anni. Siamo migliori delle sparate di certi giornali, del continuo cercare il pelo nell’uovo di determinati commentatori, del masochismo con cui ci flagelliamo al cospetto del mondo e, ovviamente, di come veniamo descritti dagli stereotipi di una certa vulgata estera, rimasta a pizza e mandolino senza rendersi conto che dire Italia vuol dire anche Giotto, Verdi, Brunelleschi e via elencando. Tuttavia, l’aspetto più importante che ci caratterizza, ancor più dei grandi nomi poc’anzi citati, è l’umanità della nostra gente che si rivela quando le cose vanno male. Basti pensare, tanto per citare un piccolo esempio, agli edicolanti che si recano a casa dei clienti per portar loro i giornali ed evitare, soprattutto alle persone anziane, uscite che potrebbero essere fatali.

Basti pensare alla Caritas e a tutti i volontari che sono in azione, in ogni angolo della Penisola, per procurare la spesa a chi ne ha bisogno. È persino superfluo citare l’impegno strenuo di medici e infermieri, il quale non deve però far passare in secondo piano quello altrettanto gravoso di chi lavora nei supermercati, dei trasportatori e di tutti coloro che ci stanno garantendo una parvenza di normalità in un contesto disperato. Perché questa, checché ne dica qualcuno, è una guerra. In guerra si muore, e finora in questa sono morte oltre 10mila persone. In guerra si fa la fila per acquistare i generi alimentari e alcuni si fa fatica a trovarli, e questo sta succedendo. Mancano i bombardamenti, i rastrellamenti e le truppe d’occupazione, meglio così, ci mancherebbe altro, ma sostenere che questa non sia una guerra significa non comprendere la portata straziante e rivoluzionaria dell’evento che stiamo vivendo.

Nessuno uscirà da questo tunnel come vi è entrato, nemmeno il Pontefice o il Presidente della Repubblica. Saremo tutti molto diversi, forse più rispettosi, più disponibili a prenderci cura l’uno dell’altro, probabilmente meno egoisti, magari più capaci di apprezzare le piccole cose che avremo finalmente capito che non sono affatto scontate.E poi ci sono gli artisti. Chi canta sui balconi, chi suona la chitarra, chi interpreta magistralmente la colonna sonora di “C’era una volta in America” di fronte a una Piazza Navona deserta, il meglio del nostro panorama musicale che si ritrova in diretta su Raiuno, guidato da Vincenzo Mollica, un grande giornalista e il buonista per antonomasia, e ci regala gratuitamente una serata di felicità per convincerci che insieme possiamo farcela.

Non so quanti popoli abbiano a disposizione un patrimonio culturale e artistico così smisurato, con autori di livello mondiale che leggono brani delle proprie opere su Facebook, poeti che recitano versi, attori e cantanti che portano nelle nostre case quella meraviglia che solitamente paghiamo al cinema o ai concerti. Anche tutto questo non è per nulla scontato, e sarà il caso di ricordarsene quando, nei prossimi mesi, sentiremo qualcuno lanciarsi in fastidiose filippiche sul declino e il degrado del Paese. Che l’Italia sia in ginocchio è fuor di dubbio, che sia peggio degli altri proprio no.

Sarebbe bello se, quando potremo finalmente tornare a uscire di casa liberamente, guardassimo negli occhi il vicino che magari ci ha donato un sorriso in una giornata particolarmente triste e ricambiassimo il gesto. Se poi decidessimo di abbandonare al proprio destino quei politici che lucrano su ogni paura, quei giornalisti che hanno fatto della cattiveria il proprio cavallo di battaglia e tutti i populisti e i qualunquisti di ogni ordine e grado, state certi che anche la fatica della ricostruzione, morale ed economica, sarebbe meno gravosa. Un passo alla volta.

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