La difesa comune europea non è la scusa per non agire: è il presupposto

Se si sceglie di aumentare le spese militari, deve esserci una strategia. Vogliamo un’Europa autonoma e indipendente strategicamente? Serve una difesa comune europea. E questa non è la scusa per non agire: può essere il presupposto per un’azione immediata, che sia coordinata e strategica
Chi è nato e cresciuto tra la fine degli anni Novanta e gli inizi dei Duemila ha non poche difficoltà a comprendere il linguaggio e le scelte politiche che si stanno prendendo, in tutto il mondo, sulla difesa, specie in questi ultimissimi mesi. Da piccoli ci veniva spiegato che sì, c’era molta violenza, ma che tutto sommato si trattava di conflitti regionali, limitati, che in qualche modo ci riguardavano solo da lontano. Una lettura quantomeno incompleta, ma che si giustificava con la “lontananza” geografica di quanto accadeva.
Ci hanno giustamente insegnato che l’Unione europea ha garantito la pace più duratura nella storia tra i Paesi europei. Forse ci siamo illusi che in qualche modo si vivesse in una post-storia, esente dai rischi delle grandi guerre, grazie agli sforzi dei nostri nonni per costruire un diritto internazionale e istituzioni a garanzia della pace.
Negli ultimi mesi e negli ultimi anni, come europei abbiamo preso diversi colpi in testa che ci impongono una riflessione su come affrontare gli equilibri internazionali, che cambiano velocemente e aumentano di imprevedibilità. Non più i due blocchi della Guerra Fredda, ma diversi centri di influenza macro e micro che contendono spazi di potere. Gli Usa e la Federazione Russa, la Cina e la crescente India, la Turchia, l’Arabia Saudita, l’Iran. Soggetti politici, con impianti militari crescenti.
In questo solco si inserisce l’Europa, qualcuno dice cullatasi per troppo tempo sugli allori di una certa copertura statunitense. O forse in uno stand by nella speranza che, tutto sommato, la questione della difesa fosse ormai più una prassi, da tirarsi fuori in alcune casistiche specifiche e localizzate, piuttosto che una reale necessità.
Il progetto europeo ha garantito pace, sviluppo e welfare per decine di anni, sarebbe ingeneroso non riconoscerlo. Dobbiamo all’Unione moltissimo, a partire dalla creazione della comunità economica comune, la salvaguardia di democrazia e libertà per i suoi popoli. Tuttavia, dall’avvio della scelerata e imprevista guerra di aggressione della Russia di Putin contro l’Ucraina, l’Unione Europea si è trovata di fronte a una scelta obbligata: prendere decisioni operative sulla politica estera e di difesa, questione che fino a poco prima era stata sottovalutata e giustificata con un “ingessamento” imposto dai trattati, superabile solo con la volontà politica dei governi europei, peraltro attualmente per la maggioranza nazionalisti.
I numeri che occorrono per comprendere cosa è accaduto non sono moltissimi: se la spesa per la difesa Usa nel 2024 è stata di poco inferiore ai 900 miliardi di euro, quella degli Stati Membri Ue è stata di circa 326 miliardi. Molta di meno, ma il 30% in più dal 2021. In tutta Europa, mettendo dentro tra gli altri il Regno Unito, si è trattato invece di 457 miliardi di dollari, il 48% in più dal 2014. Secondo l’Osservatorio sui Conti pubblici dell’Università Cattolica, con il criterio del potere d’acquisto parificato (Ppp), la spesa militare totale dell’Europa è di circa 730 miliardi di dollari nel 2024, il 58% in più rispetto alla Russia.
L’Europa reagisce, quindi, e la rielezione di Trump ha accelerato ulteriormente, quasi come una scossa elettrica, questa volontà di reagire. Due sfide per l’Europa quindi: uno, trasformare la capacità di reazione in un’azione, proattiva e strategica; due, decidere come agire.
Se si sceglie legittimamente di spendere di più, deve esserci una strategia. La pianificazione deve avvenire prima della spesa. Vogliamo un’Europa autonoma e indipendente strategicamente? Serve una difesa comune europea. E questa non è la scusa per non agire: può essere il presupposto per un’azione immediata, che sia coordinata e strategica. E può essere anche il motivo, più che comprensibile, di un innalzamento della spesa e degli investimenti.
L’Unione europea deve scegliere: riarmare le nazioni senza una strategia unitaria di lungo respiro; oppure aumentare la spesa prevedendo condizionalità e meccanismi di collaborazione tra gli Stati membri, con l’obiettivo di una messa in comune dei comandi e quindi degli interessi europei.
Di quei 326 miliardi di euro spesi dagli Stati membri in difesa, meno del 20% è speso collaborativamente. Questo diminuisce l’efficacia della deterrenza, quella sì, più che necessaria oggi. Un esempio pratico? Gli Usa sono dotati di meno di 30 sistemi d’arma; l’Ue ne ha circa 130. Non è difficile immaginare quanto sia complesso coordinare numeri così alti, con linguaggi, regole, procedure diverse.
Gli strumenti messi in campo nell’ottica di una integrazione europea della difesa, come lo European Defence Industry Programme in via di definizione, possono essere un primo passo se non abbandonano l’ambizione e lo spirito unitario. E allora sì, lì è bene investire di più.
La messa in comune dei sistemi di comando e di una interoperabilità che semplifichi un’azione coordinata tra tutti gli Stati Membri ha un costo? Sono soldi da spendere, subito. Quel dato dei 730 miliardi di dollari di spesa aggregata europea per la difesa in Ppp ci suggerisce un qualcosa di molto importante: le risorse ci sono, e possono aumentare con una pianificazione comune. Ogni euro speso in difesa deve essere un euro speso in integrazione. Allora sarà un investimento per difendere davvero l’Europa e provare a garantire un equilibrio che promuova il rispetto del diritto internazionale e della pace.