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    Nessuno tocchi il 25 Aprile: così la destra vuole sfruttare il Coronavirus per cancellare la Festa della Liberazione

    Ignazio La Russa (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

    In quest'anno così particolare è più evidente che mai il vittimismo di alcuni ambienti della destra italiana, da sempre attraversati da più o meno taciute simpatie con quella dittatura. Ma festeggeremo sempre il 25 aprile perché siamo liberi di farlo

    Di Fabio Salamida
    Pubblicato il 20 Apr. 2020 alle 15:19 Aggiornato il 20 Apr. 2020 alle 15:21

    Il Coronavirus non ci ha liberato dalle noiose polemiche sul 25 aprile

    Se qualcuno sperava che l’emergenza Coronavirus ci risparmiasse almeno dalle noiose polemiche sul 25 aprile che come ogni anno in questi giorni coinvolgono politici e commentatori, purtroppo si sbagliava. Ad aprire le danze, sulle colonne del Giornale, ci ha pensato Alessandro Sallusti: “Cari partigiani e antifascisti – ha scritto il direttore – fatevene una ragione: il virus non è fascista, non è antifascista e, secondo me, ride alla grande della vostra stupidità. E ci ha fatto pure il regalo – uno dei pochi – di liberarci, per la prima volta dal Dopoguerra, della retorica del 25 aprile, quantomeno della sua rappresentazione fisica nella quale, peraltro, non c’è più un partigiano a pagarlo oro”.

    A ruota è arrivata la proposta del vicepresidente del Senato, Ignazio La Russa: “Il 25 Aprile diventi, anziché divisivo, giornata di concordia nazionale nella quale ricordare i caduti di tutte le guerre, senza esclusione alcuna. E in questa data si accomuni anche il ricordo di tutte le vittime del Covid-19 che speriamo cessino proprio in aprile”, ha detto il senatore di Fratelli d’Italia durante una diretta Facebook. E non sono mancate iniziative surreali, come quella di Forza Nuova che sta raccogliendo adesioni per forzare il lockdown e organizzare un 25 aprile di liberazione da quella che chiama “dittatura sanitaria”.

    La verità è che festeggiamo e festeggeremo sempre il 25 aprile perché siamo liberi di farlo: perché se non ci fossimo liberati da quell’invasore e da quella dittatura che all’invasore aprì le porte oggi non potremmo neanche polemizzare sul senso di questa e di altre ricorrenze. Ed è normale che alcuni ambienti della destra italiana, da sempre attraversati da contraddizioni e da più o meno taciute simpatie con quella dittatura, tendano da sempre a buttarla sulla divisione agitando un certo vittimismo di maniera: se è una festa di tutti – ripetono spesso i suoi esponenti – allora non va bene cantare “Bella Ciao“. Ovviamente ogni riferimento ad ex esponenti del Movimento sociale italiano che su alcune foto in bianco e nero compaiono in compagnia di immagini di Benito Mussolini non è assolutamente casuale.

    E invece è proprio “Bella Ciao” il cuore del 25 aprile. Quel canto popolare poi riadattato per celebrare le gesta di quegli italiani che si ribellarono a chi li privava della loro libertà – una privazione violenta e costante, altro che qualche settimana di lockdown – è il motivo che dovrebbe tenerci uniti. Vero che dobbiamo ringraziare anche gli americani, vero che quegli italiani furono una minoranza: ma nella storia c’è sempre qualcuno che ha torto e qualcuno che ha ragione. Per questo è giusto festeggiare chi era dalla parte giusta, perché ora quella parte è la parte di tutti noi, anche di chi ha la sacrosanta libertà di avere idee diverse, anche di chi vorrebbe che quei torti e quelle ragioni fossero dimenticati.

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